IL CORAGGIO DI RICOMINCIARE

Siamo così immersi nelle difficoltà della congiuntura politica da dimenticare che in realtà è da quando la Seconda Repubblica è nata che essa è in crisi, è dal '94 che essa non funziona. A renderla così inefficace è un vizio d'origine: l'assenza di una «costituzione materiale». L'assenza, cioè, di quella cornice di regole, non definite formalmente ma rispettate per tacito accordo da tutti gli attori, che assai più delle regole scritte consentono a un sistema politico nel suo complesso di funzionare. Come funzionò, per l'appunto, il sistema della Prima Repubblica, il quale era sì «bloccato» (perché privo di alternanza di governo) ma ciò nonostante riuscì a produrre partiti solidi, alleanze durature, leadership qualificate, soprattutto una decisione politica di quantità e qualità notevoli. Laddove il sistema della Seconda Repubblica è invece esattamente l'opposto: non è bloccato (conosce l'alternanza di governo fin dalle origini) ma non funziona: cioè non ha mai prodotto né politica di qualità, né partiti, né leader autorevoli, e tanto meno riesce ad articolarsi in schieramenti solidi. La costituzione materiale della Prima Repubblica si riassumeva in due regole da cui discendevano tutte le altre: la Democrazia Cristiana non avrebbe messo il Partito Comunista fuori legge; e dal suo canto il Pci rinunciava ad ogni proposito rivoluzionario e adottava una linea aperta ai ceti medi e ai cattolici. Due regole che assicurarono una premessa indispensabile per il funzionamento della costituzione formale: il reciproco riconoscimento degli avversari. Due regole che, come spesso capita in questi casi, erano nate in un certo senso per forza propria, dalla storia del Paese, dalla necessità di evitare dopo il '45 una possibile, nuova, guerra civile.
Il guaio della Seconda Repubblica è di essere nata, invece, anziché dalla storia dal caso (o se si preferisce dai casi: giudiziari), senza il concorso vero della politica e perciò priva di una costituzione materiale. Senza la cui risorsa coesiva, per l'appunto eminentemente politica, anche la costituzione formale, però, serve a poco, come vediamo ormai da quindici anni. Ecco infatti che lo spazio pubblico si frantuma e si disarticola in ogni senso, tutto vive e muore in un giorno, gli attori politici tendono a presentarsi o con un che di perennemente trasformistico e di ondivago ovvero fissati in tratti parossistico-temperamentali, quasi da personaggi della Commedia dell'Arte (il Cavaliere, il Professore, come Scaramuccia o Pantalone); mentre la guerra civile, da incubo vero da esorcizzare, diviene l'allusione fasulla con cui ognuno cerca di costruire a sé e al proprio avversario quella consistenza che sa mancare a entrambi.
La Seconda Repubblica ha dunque bisogno soprattutto di una costituzione materiale, questa volta scaturita non dalla storia ma dalla consapevolezza della politica. Gli ambiti su cui da parte dei suoi rappresentanti è necessario convenire, intorno ai quali fissare gli opportuni paletti, e con la garanzia di tutti impegnarsi a rispettarli, sono ovvii: i rapporti tra la sfera giudiziaria e la politica, il conflitto d'interessi e l'uso dei media, i princìpi della legge elettorale. Solo così, solo con un mutuo e preliminare accordo che delimiti il terreno dello scontro, sarà possibile uscire da questo pantano, ricominciare davvero. Ciò che altre volte ha fatto la storia deve oggi e qui, in Italia, avere il coraggio di farlo la politica, cioè i suoi capi se, come dovrebbe essere, sono capaci di rischiare, di scommettere: magari anche contro il proprio passato.

 

 

Ernesto Galli della Loggia

 

Corriere della Sera di domenica 3 giugno 2007

 

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