ALCUNE
CONSIDERAZIONI SULLA TUTELA DELLA SALUTE
Nel Titolo II “Rapporti etico-sociali” della nostra ottima Costituzione repubblicana l’articolo 32 recita:
“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.
Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per 88disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della vita umana.”
E’ una prosa mirabile e straordinaria per chiarezza, concisione, efficacia. E’ il principio su cui poggia tutto l’architrave della tutela al diritto alla salute insieme all’articolo 117 che ne affida alle Regioni la competenza organizzativa e programmatoria.
Dal momento in cui la Costituzione entrò in vigore, l’1 gennaio 1948, passarono trent’anni prima che fosse approvata il 21 dicembre 1978 la legge 833, istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale, a tutt’oggi in vigore.
Basi fondamentali del Servizio Sanitario Nazionale, organizzato per Ulss –Unità locale sociosanitaria-, furono e sono (anche se con qualche variazione importante): il finanziamento attraverso la fiscalità generale e il carattere universalistico).
Il Servizio Sanitario Nazionale non ha avuto vita facile.
Dal 1978 al 1992 è stato osteggiato più o meno ferocemente e ambiguamente da alcune forze politiche e da alcune fazioni interne presenti in modo particolare nella classe medica, il cui rappresentante tipo può essere considerato Eolo Parodi, al tempo presidente della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici e oggi, guarda caso, responsabile nazionale sanità di Forza Italia.
Ciò nonostante, il SSN ha ottenuto notevoli risultati programmatori, organizzativi e gestionali. Attraverso l’integrazione ospedale territorio prima inesistente si sono razionalizzati strutture e servizi, si è dato corpo alle funzioni di prevenzione e riabilitazione, si sono posti in essere presidi fondamentali per l’ambiente e per la sicurezza sui posti di lavoro.
E’ stato uno sforzo enorme che ha prodotto e ottenuto risultati diseguali sul territorio nazionale.
Alcune reali incapacità della politica di essere all’altezza dei propri compiti e delle proprie responsabilità hanno fatto riemergere una vena qualunquistica latente eppure presente nella società.
L’avvento di tangentopoli ha completato la frittata. Con il decreto 502/92 seppure parzialmente e beneficamente modificato con il 517/93 si sono inconsapevolmente poste le basi per l’attuale confusione istituzionale e gestionale.
La situazione attuale
Nel biennio 1994/1995 il sistema politico italiano è quasi completamente cambiato: nuovi partiti senza alcuna tradizione politica e culturali si sono affermati elettoralmente, altri hanno preso (o fatto finta di prendere) atto che i valori e i modelli fino ad allora riferimento della propria azione politica erano falliti cercando quindi di reinventarsi.
Si apriva una transizione che non si è ancora chiusa nella quale il problema principale non è l’adozione di programmi e progetti da portare all’attenzione dei cittadini per chiederne il consenso ma una giostra infinita di tatticismi ed opportunismi finalizzati a presentare un candidato vincente supportato da una coalizione magari eterogenea ma (si spera) vincente. Programmi, progetti, strategie, scenari futuri: tutto allegramente gettato nella pattumiera.
Pensare che la sanità, isola felice, sfuggisse alla paranoia e alla confusione, si è rivelata pura utopia.
Gli assunti teorici della sanità gestita come un “mercato” nella quale c’è bisogno di “aziendalismo” , di “concorrenza” e chi più ne ha più ne metta per servire i “clienti”, pure sostenuti ma rimasti politicamente largamente minoritari, al momento del cambiamento di sistema politico sono diventati la stella polare della sanità. A questa se n’è aggiunta un’altra, il federalismo, allegramente animato dalla diatriba tra i sostenitori del “federalismo solidale” e quelli (si presume) del “federalismo non solidale”, tra lo Stato e le Regioni, tra queste ultime e i Comuni –con qualche incursione delle Province-, sempre più assordante e sempre più incomprensibile.
Insomma, un pasticcio terribile nel quale la politica con la P maiuscola c’entra come i cavoli a merenda e dal quale non si riesce ad uscirne.
Nel frattempo il deficit di governo del sistema sociosanitario aumenta a vista d’occhio anche attraverso un impressionante capovolgimento della scala di valori: non si riesce a rendere territorialmente il servizio, beh allora regionalizziamo i principi, per cui una serie di provvedimenti, tra cui quello sui tickets – sulla cui applicazione concordo una volta stabilito che non sono un ristoro alle finanze disastrate ma un deterrente all’abuso dei servizi (che esiste), sono uguali per tutti e prevedono le esenzioni-, permette vergognose diversità tra regione e regione, senza che questo determini una opposizione forte e coerente.
Il problema è, in definitiva, che la cultura (se così può essere chiamata) leghista intrisa di egoismo, grettezza, provincialismo, razzismo si è insinuata anche in ambiti politici e sociali molto più estesi.
Ad essa, è indispensabile aggiungere la constatazione che ci troviamo in presenza di una classe dirigente (per modo di dire) orgogliosa – Veneto docet – della propria ignoranza e arroganza, che da quasi dieci anni sta tentando di smantellare un servizio sociosanitario invidiato in tutto il mondo.
Il
futuro
Nel ragionare sul futuro è necessario aver ben presente lo scenario rappresentato dall’Unione Europea, che per ora non ha competenze in campo sociosanitario – solo ultimamente si è riusciti faticosamente a costruire nell’ambito farmaceutico (ricerca e industria) una piccola politica comune. Resta comunque il fatto che, dati per scontati il rafforzamento e consolidamento della casa europea, siamo comunque in presenza di sistemi sanitari nazionali complessivamente a preminente interesse pubblico ma fortemente differenziati sia nel finanziamento che nella gestione. Ad esempio mentre Italia e Gran Bretagna finanziano il loro SSN attraverso la fiscalità generale, in Francia e in Germania il sistema eminentemente mutualistico è finanziato da imprese e lavoratori. Ciò pone problemi non indifferenti di equità nel trattamento sociosanitario. Per fare un piccolo esempio, in Germania fino a prima della riforma Schoeder, il costo del funerale rientrava nelle prestazioni che la mutua di appartenenza doveva rimborsare. E ulteriori problemi si porranno, da risolvere con gradualità e saggezza, avendo come stella polare la salvaguardia del diritto alla tutela della salute.
Intanto però, è giusto ritornare a cosa è necessario recuperare oggi in termini di cultura politica affinché le conquiste realizzate con grande fatica nella sfera dei diritti sociali non siano fatte a pezzi.
In primo luogo, bisogna recuperare la consapevolezza del primato dell’interesse pubblico in sfere fondamentali della società quali l’istruzione, la salute, la previdenza. In ognuno di questi settori il nostro Paese ha dimostrato di saper coniugare brillantemente il generale interesse pubblico con il personale interesse privato.
Stabilito questo, è fondamentale ritornare alle coordinate elementari della buona amministrazione, che sono costituite da una adeguata politica di investimenti indispensabile per mantenere alto il livello formativo e professionale, strutturale, tecnologico del SSN, sola in grado di mantenere un bilancio economicamente e socialmente compatibile.
Serve, in definitiva, che la Politica senza timori o ipocrisie torni ad occuparsi in modo serio, continuo dei problemi della nostra società. A maggior ragione quella che della difesa di principi etici e di larghi interessi sociali ne fa ragione della propria esistenza.
Roberto
Buttura