MOORE ALL’ATTACCO
Il regista irrompe
nella politica, assicurazioni terrorizzate
Camice da chirurgo, mascherina sterile,
solito cappellino da basket, Michael Moore guarda, ironico, il pubblico che entra nel cinema,
mentre si infila un guanto di lattice: i ragazzi «radical
» che sciamano verso la sala sulla Broadway per
l'anteprima di Sicko, sghignazzano davanti al
manifesto e simettono in fila per il biglietto. Un
«poster» che non promette niente di buono per lobbisti,
comunicatori e uomini di marketing dell'industria farmaceutica e delle
assicurazioni sanitarie. Sono arrivati ben mimetizzati e sanno che il bisturi
del regista è per loro. Il film, come sempre con Moore,
è un atto di denuncia efficace, ma anche demagogico.
Fa a pezzi le assicurazioni americane di cui
mostra l'ottusità burocratica. Espone i casi — comunissimi in America — di
persone che si vedono negare un trattamento perché troppo costoso o perché
accusate di aver nascosto le loro patologie al momento di sottoscrivere
Tra vicende di chemioterapia negata e
soccorritori di «Ground Zero» venerati come eroi
cinque anni fa, ma abbandonati al loro destino una volta colpiti da fibrosi polmonare per i fumi respirati tra le macerie, di
spunti per la satira graffiante di Moore, quella di
Fahrenheit 9/11, ce ne sono pochi. Ma Sicko non sarà
un «flop» perché, più che come semplice film, è stato
concepito come il veicolo di un movimento d'opinione che il regista ha già
cominciato a costruire con l'appoggio dei fratelli Weinstein,
gli ex boss della Miramax che, venduti i celebri «studios », hanno ricominciato da zero e ora sono i
produttori di Moore.
A Washington sono già iniziate le proiezioni
private offerte a politici, lobbisti e blogger, mentre se ne sta preparando una anche per gli
analisti finanziari di Wall Street che si occupano di
assicurazioni e industrie del farmaco. Due giorni fa Moore
è stato acclamato da mille infermiere che hanno visto il film in un teatro di
Sacramento. Subito dopo la loro organizzazione,
E per il suo lancio vero e proprio — sarà
proiettato dal 29 giugno in ben tremila sale americane—le cose sono state fatte
in grande. «Healthcare- Now!»,
un'organizzazione che si batte per una sanità pubblica «universale» (oggi 47
milioni di americani non hanno alcuna copertura), sarà davanti a tutte le sale
con i suoi tavoli e una petizione da firmare, mentre anche gli attivisti
radicali di «Moveon.org» e quelli di «Physicians for a National Health Program» si stanno mobilitando per promuovere Sicko. Scende in campo anche Oprah
Winfrey che dedica una puntata del suo programma tv
alla crisi della sanità. I gruppi assicurativi, abituati a macinare centinaia
di miliardi di dollari di profitti (
Ai giornali che chiedono loro di replicare
alle accuse di Moore per ora oppongono solo «no comment». I produttori del film si aspettano un'offensiva
legale e, convinti che la miglior difesa sia l'attacco, hanno già messo in
campo un'agguerrita squadra di avvocati e comunicatori che si preparano a
inondare i giornali di documenti «compromettenti» ottenuti dai pazienti e anche
da molti dipendenti di queste società. Moore, che l'altra sera si è presentato a sorpresa alla
proiezione di New York, ha ringraziato il pubblico, ha fatto
autografi su molti biglietti d'ingresso e ha invitato tutti a
partecipare alla campagna per una riforma radicale della sanità, stavolta gioca
a fare il cineasta misurato: nessun manager messo alla berlina come il capo
della General Motors in Roger&Me, nessun politico ridicolizzato come Bush o Wolfowitz in Fahrenheit.
Lo stesso Moore
confessa di essersi reso conto che in passato, maramaldeggiando,
è riuscito a vincere l'Oscar per i documentari o la Palma d'Oro a Cannes, ma
non ha inciso sulla realtà: «Irrompere nell'ufficio dell'amministratore
delegato della GM non è servito spingere l'azienda a fare auto migliori,
presentarsi a casa di Charlton Heston
(celebre scena di Bowling for Columbine
con l'attore che al tempo era presidente della Nra, la lobby delle armi, ndr)
non ha ridotto le sparatorie nelle scuole». E Bush,
sbeffeggiato nel
Stavolta, puntando più sulla sostanza del
problema che sugli effetti spettacolari, Moore spera
di giocare un ruolo politico. Difficilmente la sua ricetta radicale avrà
successo: nella sanità il mercato non è mai decollato e le assicurazioni
funzionano male, maazzerare un sistema di queste
dimensioni non è possibile. Mai come oggi, però, le condizioni sono state
propizie per una riforma profonda, visto che non solo i pazienti sono sempre
più furibondi, ma anche i datori di lavoro, che fin qui hanno acquistato le
polizze sanitarie per i loro dipendenti, spesso non ce la fanno a pagare un
conto divenuto salatissimo. Dopo l'Iraq, la sanità è il tema più «gettonato »
della campagna elettorale.
Tutti i candidati democratici hanno in
programma una revisione del sistema, ma nessuno — nemmeno Hillary
Clinton, lodata nel film per il suo tentativo di riforma del 1993 — propone soluzioni radicali. Sicko sarà un problema anche per loro: scegliendo la
ricetta della medicina «socializzata» demolirebbero un pezzo dell'economia
americana e si alienerebbero le simpatie dei moderati; limitandosi a prevedere
un sistema universale garantito dal pubblico, ma comunque gestito dalle
assicurazioni, deluderanno i fautori di un intervento radicale che ormai sono
un esercito. E che, ora, hanno anche un portabandiera.
Massimo Gaggi
Corriere
della Sera di domenica 24 giugno 2007