LA COMMISTIONE
Dopo il
ritiro di At&t dalla
partita per l’acquisto di Telecom il quadro è
cambiato. Ma il mutamento di proprietà rimane
all’ordine del giorno. E diventa ancora più interessante, in questa nuova
situazione, il modo in cui l’Unità di ieri, con un articolo di Rinaldo Gianola, ha riferito e commentato la possibilità che Silvio
Berlusconi e Roberto Colaninno
si mettano d’accordo, con la benedizione di Mediobanca, per conservare l’azienda all’Italia. Il tono è
quello leggero di un giornalista che ha raccolto notizie interessanti e le
comunica ai lettori con un pizzico di distaccata ironia. Vi sono alcuni
passaggi sul conflitto di interessi di Berlusconi e sulle possibili ricadute politiche di una tale
operazione, ma trattati con la levità e il garbo di chi preferisce concentrare
la sua attenzione su una delle tante vicende che rendono la vita sorprendente.
Suppongo che qualche vecchio lettore dell’Unità abbia sbarrato gli occhi
leggendo questo articolo nel suo quotidiano preferito
mentre Berlusconi approvava il pugno di ferro con cui
Vladimir Putin ha disperso i manifestanti di Mosca e
San Pietroburgo. Quando il
leader di Forza Italia approfittò di una conferenza stampa a Roma per difendere
la politica cecena del presidente russo, tutta la
sinistra commentò le sue parole con indignazione. Come ricorda l’autore
dell’articolo, Colaninno è l’imprenditore che
acquistò Telecom con l’approvazione di Palazzo Chigi quando
il presidente del Consiglio era Massimo D’Alema. Mentre Berlusconi è il leader politico a
cui la sinistra ha attribuito quasi tutte le sventure della politica italiana
dell’ultimo decennio. Ma nell’articolo non vi
sono né riprovazione né indignazione. Qualcuno si sarà chiesto se non stia
apparendo all’orizzonte un compromesso storico tra finanza rossa e finanza azzurra, non meno importante di quello che Enrico Berlinguer annunciò dalle colonne di Rinascita dopo il
colpo di Stato cileno del settembre 1973.
Non sono
in grado di prevedere l’esito di questa iniziativa,
soprattutto in un momento in cui il ritiro dalla partita di At&t
crea la possibilità di scenari diversi. Realistica o meno, l’ipotesi riferita
dall’Unità e il modo in cui è stata presentata dal
giornale di Antonio Gramsci suggeriscono tuttavia
almeno due riflessioni.
In primo
luogo, Telecom deve restare italiana
e questo obiettivo è più importante di qualsiasi altra considerazione.
Nazionalismo economico? Desiderio di conservare al Paese uno dei pochi
«campioni» che gli sono rimasti? Forse, ma soltanto in parte. Al fondo del
problema esiste un’altra ragione. Il mondo della politica (governo, partiti,
sindacati) vuole interlocutori nazionali perché teme, con ragione, che i
proprietari stranieri rifiuterebbero di giocare la partita con le regole a cui
siamo abituati. Si ridurrebbe drasticamente lo spazio per i salvataggi, la
cassa integrazione, i pensionamenti anticipati, i tavoli sindacali con la
partecipazione del governo. Le grandi aziende devono restare italiane perché
con gli italiani si tratta e, prima o dopo, ci si mette d’accordo. Con gli
altri è più difficile.
In
secondo luogo non bisogna mai prestare troppa attenzione ai sanguinosi insulti
e alle terribili accuse che gli opposti schieramenti italiani si scambiano al di sopra del fossato che li divide. Quel fossato, in
realtà, è un rigagnolo che può essere attraversato in un senso o nell’altro
senza rossore e imbarazzi non appena le circostanze e gli interessi
suggeriscono un cambiamento di fronte. Non vorrei che qualcuno definisse questo
stile «realista». Il realismo è una virtù seria che occorre praticare con un
forte rigore morale. Questo è soltanto una forma di opportunismo
o, peggio, di scetticismo disincantato e amorale.
Corriere
della Sera di martedì 17 aprile 2007