SINISTRA E VALORI
Il dialogo finito con i cattolici
Senza troppi clamori si sta consumando sulla
scena politica italiana un decesso illustre: quello del cattocomunismo. È
questo il significato alla fine più importante delle cronache delle ultime
settimane, anche se, come è ovvio, la fine che oggi si
annuncia viene da lontano, è il frutto di almeno due grandi fenomeni congiunti
all'opera da tempo. Il primo fenomeno è rappresentato dal mutamento sostanziale
dell'agenda politica italiana come del resto di tutti i Paesi occidentali.
Ormai il grande scontro tra capitale e lavoro, tra la prospettiva proprietario-capitalistica e
quella statal-socialista, che ha dominato per più di
un secolo la vita pubblica, è alle nostre spalle.
Di conseguenza è alle nostre spalle anche
tutta una serie di «spartiacque» che sono stati decisivi per determinare
storicamente l'identità della destra e della sinistra. Guardiamo al panorama
dei nostri maggiori problemi attuali: la competizione con i nuovi attori dello
sviluppo mondiale (Cina, India, ecc.), l'ondata migratoria, la crisi
demografica, l'insostenibilità della spesa assistenziale,
il declino della stabilità del lavoro e della sua cultura. Ebbene,
quale di questi problemi nasce dallo scontro tra capitale e lavoro? Quale di questi problemi ha soluzioni alternative che possano
realmente dirsi «di destra» e «di sinistra»? Nessuno, direi. Si
aggiunga, almeno nel nostro continente, un ulteriore
elemento decisivo: il fatto che ormai, per tutto ciò che riguarda l'ambito
economico-sociale ad avere la parola decisiva non sono quasi più i parlamenti e
i governi nazionali, ma l'Unione Europea.
È a Bruxelles e a Francoforte che si decidono
i parametri vincolanti delle politiche economico-monetarie
da cui dipende tutto. Ed è stato per l'appunto grazie a Bruxelles e Francoforte
che da anni si è imposta dovunque la svolta liberista
alla quale, oggi, anche i più riottosi ministri di Rifondazione comunista sono
obbligati ad adeguarsi. Insomma, in Italia come dappertutto non c' è più spazio
per «terze vie», «elementi di socialismo» o altre sperimentali velleità, alternative a quanto stabilito in sede europea. È questo
fatto, insieme al mutamento radicale del quadro socio-economico,
che ha determinato la fine della centralità nel dibattito politico dei paesi
europei, e dunque anche dell'Italia, dei temi strettamente economici, un tempo
invece dominanti. Il vuoto così creatosi è riempito ogni giorno di più da temi
immateriali, in particolare da quelli etici riguardanti l'esistenza umana e gli
stili di vita, perlopiù messi all'ordine del giorno dai progressi della
scienza.
Attualmente è
intorno a questioni come la riproduzione artificiale della vita, la
sostituibilità di parti del corpo, o la possibilità di autodeterminazione della
morte, ma anche l'ammissibilità del matrimonio tra omosessuali, l'adozione di
minori da parte degli stessi, è intorno a questi temi soprattutto che si
accende il dibattito politico. Ed è in relazione ad essi
che si è verificato il secondo fenomeno che ha portato in Italia alla fine del
cattocomunismo: cioè il cambiamento deciso della composizione sociale e quindi
dell'ideologia della sinistra. La fine della centralità dello scontro
capitale-lavoro - o comunque il suo rimodellarsi
secondo prospettive inedite -, unitamente alla deindustrializzazione, ha
prodotto l'allontanamento dalla sinistra di quote consistenti di lavoratori
industriali (ne sono prova i risultati elettorali delle regioni del Nord). Gli
antichi caratteri «di classe» della sinistra sono ormai sul punto di sparire, e
la prevalente base operaia, contadina e di popolo minuto di una volta è stata
progressivamente sostituita dai ceti medi del pubblico impiego, dagli
insegnanti, dagli addetti alle grandi corporazioni «civili» (magistrati,
professori universitari, giornalisti), dalla media e alta borghesia. Questi
gruppi sociali sono spesso interessati sì, economicamente, alla protezione
«pubblica» del proprio reddito/status, ma dal punto di vista ideologico non
conservano più nulla delle vecchie posizioni che per decenni hanno costituito
l'identità diciamo così etico-pubblica del vecchio
Partito comunista e della sinistra in genere.
Non più il sospetto per tutto ciò che
sapesse di individualistico, di piacere fine a se
stesso, di «borghese», non più diffidenza per i valori acquisitivi, non più
disponibilità a pensare la vita soprattutto come impegno, e neppure, ormai, la
più piccola traccia di quel tanto di moralismo magari un po' ipocrita, di
esibito perbenismo che caratterizzava quegli orizzonti di un tempo. Ora, all'opposto,
i nuovi ceti di riferimento della sinistra sono tutti immersi in un'atmosfera
che appare dominata dalla più radicale soggettività, nonché
da una morale di tipo individualistico-libertario (si
ha il diritto di fare ciò che si vuole, basta che non si danneggi un altro;
quanto allo Stato, esso non deve immischiarsi di nulla), pronti a identificarsi
con tutte le mode, i tic, i gusti, i consumi della modernità purché, beninteso,
rivestiti di un'opportuna patina di «eleganza».
Si comprende senza fatica come i due fenomeni
di cui ho fin qui parlato - la conversione dall' economia
all'etica dell'agenda politica, e l'avvento a sinistra in posizione dominante
di un'ideologia di tipo acquisitivo-libertario -
sconvolgano alla radice il panorama sul cui sfondo si è mosso per decenni il
cattocomunismo. Il quale ha sempre conservato una natura magmatica, ha sempre
rifuggito da teorizzazioni precise (con l'eccezione
forse di quelle compiute in anni ormai remoti da Franco Rodano e Claudio
Napoleoni), ma forse proprio per questo ha rappresentato una prospettiva e vorrei dire di più: una suggestione potente che ha
attraversato tutta la vita politica italiana. La prospettiva, cioè, di un incontro tra due «popoli» e due «culture
popolari» all'insegna della solidarietà sociale, della comune rappresentanza
dell'«umile Italia» delle masse raccolte all'ombra dei campanili e dell'idea
socialista, della lotta contro la «miseria», della simpatia per il Terzo Mondo
e della diffidenza verso gli Stati Uniti, e infine di una costumata intima,
sobrietà, di un senso alto e serio della vita. Il tutto, come si capisce, in polemica
contro il Paese dei «signori», contro l'Italia della «borghesia», la sua
cultura castale, la sua
mentalità egoista, gerarchica, malthusiana, le sue
simpatie atlantiche.
Chi
vuole cogliere di quante cose diverse, ma pure tutte
convergenti, si alimentasse il cattocomunismo non ha che da leggere qualche
pagina di Pasolini o di Don Milani,
rivedere qualche vecchio film neorealista di Rossellini
o De Sica, scorrere qualche discorso di Dossetti o
qualche nota riservata di
Questa trama antica e tenace di relazioni, di intese, di sintonie non dette, di affinità profonde, sta
oggi andando in pezzi. È lacerata dall'impossibilità di trovare una base
economica significativa in comune nel mondo nuovo
dominato dal liberismo brussellese; dalla eguale
impossibilità di trovare una terza via ideologica in comune, stante l'obbligatoria
reverenza liberaldemocratica a cui tutti sono ormai
tenuti. Ma soprattutto la prospettiva cattocomunista è squarciata dal dissidio radicale - e che
sembra destinato a radicalizzarsi sempre di più -
proprio su quel terreno dei valori che un tempo, viceversa, era forse quello
che più teneva insieme cattolici e comunisti. Questi ultimi, divenuti post, e
andata perduta ormai ogni vestigia sociale di
«popolo», appaiono totalmente assorbiti entro un orizzonte «borghese» che in
nulla più si distingue da quello del resto della società italiana, un orizzonte
definito da un fortissimo soggettivismo etico, da una spinta edonistico-acquisitiva, da un programmatico relativismo
culturale, perfino ormai tentato dai fremiti dell' anticlericalismo. Il mondo
cattolico e la Chiesa si trovano invece sulla sponda opposta: impegnati, come
sanno e come possono, a combattere proprio contro il bagaglio etico e
ideologico che oggi a sinistra raccoglie i maggiori consensi. È, la loro, una
battaglia disperata, ma, almeno a giudizio di chi scrive, nobile e importante come
spesso sono le battaglie delle minoranze contro le opinioni, e l'inevitabile
conformismo, delle maggioranze. Quale che sia il suo esito, appare però chiaro
che comunque anche su questo piano l'antico dialogo
con i cattolici tanto caro alla sinistra di ispirazione comunista ha ormai
perduto ogni possibile verosimiglianza; e con esso sembra ormai finita pure la
lunga stagione del cattocomunismo.
Corriere
della Sera di domenica 18 giugno 2006