APOCALYPSE NOW, ROMANZO ALLA MOBY DICK

 

  «Ognuno ottiene quello che vuole. Io volevo una missione, e per scontare i miei peccati me ne assegnarono una. Me la portarono in camera neanche fosse il servizio ai piani». Riverso sul letto dell'albergo di Saigon, gli occhi ipnotizzati dalle pale del ventilatore appeso al soffitto, il capitano Benjamin Willard (Martin Sheen) aspetta gli ordini per partire verso un viaggio nell'orrore. Dovrà raggiungere e uccidere Kurtz (Marlon Brando), ex colonnello dei corpi speciali, che si è arroccato in Cambogia e conduce una propria guerra impiegando metodi spaventosi. Le stesse cose deve aver pensato Francis Ford Coppola quando si imbarcò nell'impresa di Apocalypse Now: quasi 40 settimane di riprese nelle Filippine, un budget di spesa incontrollabile che finì per mangiargli i guadagni del Padrino I e II (1972 e 1974), le case e tutto il resto, e che lo portò vicino al suicidio. Intanto, Martin Sheen rischiava di morire per un infarto, un tifone spazzava via il set, Brando avanzava richieste intollerabili. E gli elicotteri dell'esercito filippino si prodigavano in uno sporco doppio lavoro: la mattina andavano a colpire i guerriglieri, poi arrivavano sul set per sfilare davanti alla macchina da presa con l'accompagnamento di Wagner.

  A quel film Coppola e i suoi ex compagni della scuola di cinema dell'Università di Los Angeles pensavano fino dalla fine degli anni '60. L'amico John Milius stava scrivendo una sceneggiatura che aveva per titolo The Psychedelic Soldier, o Apocalypse Now: c' erano le storie folli che si raccontavano della Sporca guerra, il surf dopo il bombardamento col napalm, l'uso di droghe, le atrocità commesse dall' uno e dall' altro esercito. A un certo punto, ricorda Coppola, Milius e George Lucas pensarono di realizzare una pellicola a basso costo, 16 millimetri, il set in California, vicino a Stockton. L'idea di usare il romanzo Cuore di tenebra di Joseph Conrad (1902) forse era di un altro amico, Carroll Ballard, in seguito però Milius l'avrebbe fatta propria. Si trattava di trasferire il racconto semiautobiografico di Conrad dal Congo sfruttato dai belgi al Sudest asiatico: quel libro, che già aveva tentato Welles (restano delle foto con il grande Orson truccato da Kurtz ma il film non venne mai realizzato), si prestava assai bene per raccontare la guerra maledetta. Ma poi Lucas e Milius lasciano perdere. Coppola, che nel frattempo ha fondato la propria casa di produzione, la Zoetrope, torna alla carica: riprende il copione e cerca di affidarne la regia agli amici. Il loro rifiuto lo costringe a prendere sulle sue spalle la «missione».
  Nel '75, con l'abbandono di Saigon, la guerra finisce. Le riprese cominciano due anni dopo nelle Filippine. Dalle oltre duecento ore di riprese viene tratto un film di centocinquanta minuti: presentato a Cannes nel '79, vince la Palma d'oro ex aequo con Il tamburo di latta di Schloendorff e l'anno dopo riceve alcuni Oscar (fra cui quello per la fotografia a Vittorio Storaro).
  Nel 2001, Coppola riapre molti tagli e aggiunge circa quarantatré minuti presentando la versione Apocalypse Now Redux, di cui ora la casa editrice Alet propone la sceneggiatura, con prefazione dello stesso regista (170 pagine, 9): è firmata da Coppola, Milius e per i monologhi della voce fuori campo di Willard da Michael Herr, il giornalista di Esquire autore del più bel libro sul Vietnam. Quel Dispacci, uscito nel '77, pubblicato in Italia recentemente sempre da Alet. Ci sono quattordici scene in più. In particolare, è stato ripristinato l'episodio della piantagione francese lungo il fiume Nung (un nome fittizio per Mekong), che era stato completamente eliminato. Willard e i suoi, poco prima di arrivare alla fortezza del colonnello Kurtz, fanno tappa presso la famiglia DeMarais, ultimi coloni francesi rimasti a difendere i loro possedimenti. Altre due inserzioni sono importanti: la notte con le conigliette di Playboy che Willard regala ai suoi ragazzi in cambio di carburante. E Marlon Brando-Kurtz che legge ad alta voce degli articoli di Time pieni di menzogne sulla guerra. E poi c'è il cambiamento del finale: se la prima versione terminava con il bombardamento della postazione di Kurtz, con la musica dei Doors (The End), qui non c'è nessuna incursione. E mentre Willard si allontana, sullo schermo nero compaiono i titoli di coda.
  Il grande romanzo americano. A quasi trent'anni di distanza, si continua ancora a parlare di Apocalypse Now. Per esempio, Sam Mendes, nel film Jarhead (2005), mostra i marines della prima Guerra del Golfo che assistono, applaudendo, alla scena degli elicotteri che scaricano napalm sulla musica della Cavalcata delle Valchirie. Forse la ragione vera di questa persistenza è che quel film - come ha scritto lo storico della letteratura Robert Detweiler - è il vero Grande romanzo americano, l'opera di narrativa cercata desiderata tentata (invano?) per tutto il Novecento, qualcosa che potesse reggere il confronto con Moby Dick di Melville. È un romanzo magmatico, caotico, i cui sterminati materiali (oltre duecento ore di filmato) forse non hanno ancora raggiunto la forma definitiva. Qualcosa che può essere paragonato all'ultima edizione di Proust, con tutte le aggiunte e le varianti. O a Petrolio, il romanzo postumo di Pasolini.
  È un testo, quello di Apocalypse Now, che mescola racconti di una guerra vera con una quantità impressionante di letteratura. Nasce, com'è noto, da Cuore di tenebra, il racconto lungo in cui Joseph Conrad rielaborava le sue esperienze (1890) nel Congo belga. Capitano in seconda su un battello che risaliva il fiume, Conrad era andato a recuperare un agente coloniale ammalato - anche nel libro si chiama Kurtz: muore però di malattia sulla barca che dovrebbe riportarlo indietro - i cui metodi brutali avevano messo in allarme la compagnia coloniale. Libro di denuncia dell'orrendo sistema di sfruttamento praticato dai belgi in Congo, Cuore di tenebra (pubblicato in volume nel 1902) era anche un viaggio alla scoperta degli abissi più atroci dell'animo umano. Vent'anni dopo l'uscita del racconto, il poeta T.S. Eliot vuole porre come epigrafe al suo poema La terra desolata proprio una citazione da Cuore di tenebra («The horror, the horror», le ultime parole di Kurtz). Nella revisione operata da Ezra Pound, l'epigrafe viene tolta; ma nel 1925 un'altra frase di Conrad introduce la poesia Gli uomini vuotiMistah Kurtz, he dead»).
  Tutto questo compare nel film: Brando-Kurtz recita Gli uomini vuoti (anche Dennis Hopper dice alcuni versi, quelli famosi del finale, del mondo che finisce con un lamento, non con un'esplosione). Su un tavolino vicino a Kurtz la macchina da presa inquadra quattro libri, la Bibbia, un volume (non si sa quale, forse potrebbe essere il Faust) di Goethe, e poi Il ramo d'oro di James Frazer e Indagine sul Santo Graal di Jessie Weston, i due testi di antropologia che avevano permesso a Eliot di rileggere Cuore di tenebra come una versione moderna della quest del Graal: Kurtz è il Re Pescatore, a cui è stata sottratta la sacra coppa. È ferito, malato (è pazzo) e questo ha reso desolata la terra. Solo la sua morte potrà ridare avvio alla rinascita della vegetazione. Anche i versi della canzone The End, scritti da Jim Morrison, alludono a riti di morte e resurrezione. E il titolo del film, Apocalypse, con la sua derivazione dal Nuovo Testamento, evoca la fine dei tempi quando, spezzati i sigilli, le verità ultime saranno rivelate. Nell'episodio dei coloni francesi, poi, durante il pranzo, un bambino recita L'albatros di Baudelaire. Infine c'è il testo che Kurtz sta scrivendo, un dattiloscritto (su una pagina, scritto a mano, si legge: «Bombardateli, sterminateli tutti») che Willard porta via con sé. Ma il suo contenuto non ci sarà svelato, proprio come avveniva con la Relazione scritta dal Kurtz di Conrad.

 

Ranieri Polese

 

Corriere della Sera di mercoledì 21 giugno 2006

 

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