STUDENTI CON L’ACQUA,
VIGILANTES CON LE JEEP
Due volti dei volontari Usa alla «frontera» sul confine messicano
DAL
NOSTRO INVIATO TUCSON (Arizona) - Nel deserto il reverendo Robin Hoover porta barili d'acqua
potabile, tutti i giorni all'alba. Carmen Mercer - di
tanto in tanto - ci fa un giro in fuoristrada, aria condizionata al massimo,
cappello di paglia in testa e calibro 38 alla cintola, scrutando preoccupata l'orizzonte.
Non sono uno scherzo i 45 gradi all'ombra che infuriano in questi giorni sul
confine tra gli Stati Uniti e il Messico, linea rovente tra il Nord e il Sud
del mondo. Robin e Carmen cercano
le stesse persone, disperate e allo stremo delle forze. Il primo vuole aiutarli
a vivere, a non morire di sete; lei invece ha un binocolo in mano e la radio
accesa per chiamare la pattuglia di confine, incaricata di riportarli oltrefrontiera. Che vivano,
benissimo, basta che se ne tornino a casa loro. L'immigrazione clandestina dal
Messico è tornata d'improvviso a occupare l'agenda
della politica Usa, i pensieri e le preoccupazioni degli americani. È un gioco
vecchio, ma che conviene a molti.
Alla Casa Bianca, per
riaprire un fronte di politica estera più popolare di quello mediorientale.
Ai liberal che vogliono dimostrare come l'ondata
conservatrice e xenofoba sia in fase di esaurimento. Ai politici messicani, che si affronteranno nelle elezioni
presidenziali di domenica prossima, dove la cuestion
migratoria pesa, e non poco. Con 11 milioni di immigrati
illegali sul suolo americano e un flusso che non accenna a diminuire, è bastata
una scintilla in un vecchio villaggio dell'Arizona per riaccendere il fuoco. A Tombstone vive
Tremila anime, Tombstone
è a poche miglia dal confine, ma di Messico non c'è traccia, nemmeno uno degli
onnipresenti taco fast-food
che hanno invaso l'America a scapito degli hamburger. Qui, per ragioni
turistiche, si preserva il vecchio West duro e puro. Famiglie arrivano a frotte
per visitare saloon da Cinecittà,
fare due chiacchiere con lo sceriffo, passeggiare sulla carrozza postale,
comprare tazze con la faccia di John Wayne e alle 14, tutti i giorni, assistere alla
ricostruzione della sparatoria dell'Ok Corral, che qui avvenne, quattro cowboy da una parte e
quattro dall'altra. Ok Cafè è il nome del ristorante
di Carmen Mercer, vecchietta terribile di Minuteman e viceleader del
movimento. Un manifesto sulla porta ritrae il solito zio Sam
con cilindro e dito puntato che dice «I want you!»: «Volontari cercansi per difendere
le nostre frontiere, vieni con noi». Immigrata anche lei - è arrivata dalla Germania nel 1979 -
Con Robin Hoover, pastore della First Christian Church, attraversiamo
in jeep un altro pezzo di deserto, partendo da Tucson,
un corridoio dell'immigrazione tra due catene di montagne. La sua
organizzazione umanitaria Humans Borders
riempie tutti i giorni una cinquantina di cisterne di acqua
in punti dove si presume arrivino a piedi i clandestini, stremati da due o tre
giorni di cammino. L'individuazione dei punti è legata alla tragedia quotidiana
della morte nel deserto. «Mappiamo la zona con un Gps, a partire dai posti dove
vengono ritrovati i corpi, o soltanto le ossa, di quelli che non ce l' hanno
fatta a finire la traversata», spiega il pastore. Solo in Arizona, uno dei
quattro Stati di confine, perdono la vita 400 clandestini all'anno.
Human Borders ha centinaia
di volontari, spesso studenti di altri Stati. In
questi giorni, il reverendo porta in giro 15 liceali del Minnesota. «Voglio che
spieghino ai loro genitori la realtà e che a catena questo messaggio arrivi ai
loro legislatori. L' America non è cresciuta grazie ai muri e ai fili spinati.
Non è giusto cominciare adesso. E soprattutto non
serve a nulla».
Rocco Cotroneo
Corriere
della Sera di domenica 25 giugno 2006