«VAJONT, ACCUSO I
SUPERSTITI DI PROFESSIONE»
Lo
scrittore-alpinista Mauro Corona contro lo spettacolo della tragedia
«Il Vajont? Ha
creato una nuova professione: quella del superstite». Mauro Corona, lo
scrittore-alpinista di Erto, paesino nella valle in
cui il 9 ottobre 1963 una frana travolse duemila persone cancellando per sempre
dalla carta geografica il paese di Longarone, non conosce la diplomazia e
sceglie la Fiera per lanciare un duro j'accuse su
quello che è successo dopo. Dopo la frana, ma anche dopo lo spettacolo di
Barba e capelli lunghi, il solito look
da «disperso nei boschi», Corona è arrivato ieri con le due figlie al Salone
dove questa sera alle 20 (Sala gialla) presenta il suo Vajont, quelli del dopo (Mondadori). Il suo è
un libro strano, un po' pamphlet, un po' inchiesta, costruito raccogliendo
testimonianze nel paese, nelle osterie, nelle strade. «Non faccio nomi, ma ho
voluto documentare tutto - dice - non ho inventato niente. Sono voci, discorsi
che si fanno e che nessuno ha avuto finora il coraggio di mettere nero su
bianco. Io li ho registrati, apertamente, alla luce del sole così nessuno può dire che me li sono inventati».
Il libro è costruito come un dialogo a sei
all'Osteria del gallo cedrone: protagonisti quattro avventori, un superstite
che ha avuto cinque morti in famiglia e l'oste nato dopo il disastro e che per
questo viene emarginato dagli altri («sembra sia una
colpa non essere crepati nel Vajont o non essere nati
prima», dice a un certo punto). «Dopo il caso Paolini
in molti hanno sfruttato il Vajont
per interessi personali - spiega Corona -. Sono apparsi più libri negli ultimi
due anni che nei quaranta prima. Intendiamoci, Paolini,
con la sua orazione civile, ha fatto solo del bene a questa terra, tutti devono
essergli grati. Ma poi ha lasciato l'opera a metà, come un aereo che, dopo il
decollo, si stabilizza a una certa quota. Avrebbe
potuto usare la fama raggiunta, anche in seguito, per cercare di salvaguardare
Erto, fare pressioni sullo stato, lanciare iniziative per cercare di
ristrutturare un paese antico che sta andando in rovina. Invece
sono già crollate duecento case, una addosso all'altra come in un gioco di
carte. Sarebbe stata un'opera meritoria, da parte di Paolini, in fondo il Vajont ha
fatto del bene anche a lui».
Una frecciata, ma anche uno stimolo a
riaprire il caso Vajont, a tornare a
occuparsi di quella terra, che
Corriere
della Sera di Sabato 6 maggio 2006