Ma quale censura su Internet? Siamo più che tolleranti,
dice il governo cinese. E le nostre regole sono in
linea con quelle che i Paesi occidentali hanno adottato. Anzi. Le abbiamo
copiate, queste regole, niente meno che dagli Stati Uniti. Le aziende
americane (Microsoft, Google, Yahoo,
Cisco) sono ben felici di cooperare con noi. Non è
stato un assist azzeccato, il discorso tenuto da uno dei capi del
dipartimento per gli affari di Internet. Quelle
aziende sono ora sotto accusa, a Washington, e nel
mirino della sottocommissione per i Diritti Umani. «Avete contribuito a
decapitare le voci del dissenso», ha tuonato ieri uno dei rappresentanti del New Jersey. «Le vostre azioni disdicevoli in Cina sono una disgrazia - ha gridato Tom Lantos, un democratico - non riesco a capire come
i responsabili delle vostre società riescano a dormire la notte». E il repubblicano Chris Smith: «La cooperazione con la tirannia non dovrebbe venir perseguita per il solo fine di far
profitti». Di qua dal Pacifico, di quel «processo» avviato negli Usa ai danni di quattro colossi poco importa. Tanto gli
affari sono affari. E gli
affari sono stati chiusi da un po'. Così è persino facile per Pechino dire
senza pudore la sua.
Censura? «Noi oscuriamo solo i siti pornografici e quelli
che inneggiano al terrorismo», afferma il viceresponsabile
dell'Ufficio che vigila sul Web, Liu
Zhengrong. Magari. Se le cose stessero per davvero
così a Pechino o a Shanghai o a Shenzhen o a Xian un qualsiasi pc consentirebbe ad esempio di leggere le notizie della Bbc. Invece la Bbc
è «off limits». E, dunque, stando alle
categorie del pensiero ufficiale, o è un sito porno o è un sito terroristico.
E la Bbc non è mica l'unico
esempio. È il più evidente dei casi che sbugiardano la politica della intolleranza culturale. La Cina
è un Paese affascinante, dinamico, misterioso. In cui tutto
cambia tranne che l'impedimento alla circolazione della libera opinione.
Persino tredici ex importanti funzionari di Stato e di partito si sono
permessi di denunciare questo clima da guerra fredda. L'ex segretario di Mao, Li Rui, con l'ex capo della
propaganda, Zhu Zehou, l'ex
direttore del Quotidiano del Popolo, Hu Jiwei, l'ex vicedirettore della agenzia
Nuova Cina, Li Pu, e altri hanno scritto una
lettera coraggiosa. «Solo un sistema totalitario ha bisogno di censurare le
notizie... una violazione della Costituzione...allo scopo di controllare la
pubblica opinione hanno ridotto la libertà di
parola, costruito liste di proscrizione e condotto investigazioni segrete. Atti ridicoli e offensivi che vanno oltre i confini della legge».
Un macigno gettato nello stagno. Ma il guaio è che gli zelanti esecutori
dell'apparato di controllo sulla stampa e su Internet hanno di questi tempi
vita facile nel presentarsi per ciò che in realtà non sono.
A fargli molto più che un occhiolino sono i quattro
marchi americani ora impegnati a giustificarsi davanti al Congresso. Perché vi siete piegati alle imposizioni di Pechino? I
suddetti quattro grandi marchi hanno deciso che il gioco valeva la candela. Ovvero che pur di entrare in Cina per Google
valeva la pena di spegnere il suo motore di ricerca e di azzerare la
consultazione di siti collegati a sostantivi satanici del tipo «Tienanmen», «Tibet», «Dalai
Lama». Che per Microsoft, del liberalissimo
Bill Gates, valeva la
pena di chiudere il blog il quale si permetteva di
criticare il partito comunista. Che per Cisco
valeva la pena di mettere a disposizione delle guardie rosse di Internet quegli strumenti capaci di potenziare i
silenziatori della censura. Che, infine, per Yahoo
valeva la pena (secondo un gruppo di difesa dei diritti civili) di
contribuire alla condanna di alcuni dissidenti (Li Zhi, otto anni di carcere; Shi
Tao, dieci) grazie alla delazione informatica. Insomma, i bei principi
piegati alle necessità mercantili. Per quale motivo scandalizzarsi?
Centodieci milioni di internauti cinesi, che saranno
fra due anni 180, fanno gola ai colossi del settore. E
allora ha ragione il signor Liu Zhengrong,
vicecapo dell'Ufficio di Stato che controlla
Internet: venite qua? Siete i benvenuti ma osservate
la nostra legge. La Bbc è un covo di pornodive o di
kamikaze. A Washington è bufera. Pechino se la ride.
Fabio Cavaliera
Corriere della Sera di giovedì 16 febbraio 2006
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