L’ULTIMO ASSALTO AGLI INDIANI. CON
L’ECSTASI |
Come in
un vecchio film sul West. I «bianchi» corrompono gli «indiani»,
ma al posto del liquido che brucia le budella gli offrono l'ecstasy
che brucia le cervella. Le pastiglie sono l'uncino
con il quale le organizzazioni criminali agganciano giovani senza futuro
nelle desolanti riserve indiane degli Stati Uniti. E
li trasformano in complici. Le autorità - come documenta un articolo del New York Times - sono
preoccupate: segnali convergenti dicono che i trafficanti di droga stanno
creando i loro rifugi nelle zone abitate dai nativi americani. Negli Stati
del Nord, al confine con il Canada. In quelli del Sud lungo
la calda frontiera messicana. E nascono
pericolose alleanze con gang indiane che si uniscono a quelle ispaniche, poi
insieme «lavorano» con i cartelli che gestiscono il flusso di stupefacenti.
Dal Canada arrivano pastiglie di ecstasy, un tipo di
marijuana particolarmente potente - la BC bud - e
armi. Dal Messico cocaina e hashish. Lungo queste rotte
la droga raggiunge i centri importanti: Los Angeles, San Francisco, Chicago,
New York e la capitale, Washington. La diffusione della
bande è agevolata dal fatto che in molte riserve la sicurezza è
gestita dalla tribù. E dunque i federali dell'Fbi intervengono con difficoltà. Inoltre in alcuni Stati
dove gli indiani si sono lanciati nel grande affare dei casinò
ci sono personaggi con grande disponibilità di denaro. All'opposto, le
condizioni di estrema miseria e degrado di altre
riserve trasformano i giovani in facili prede per i trafficanti. Il New York Times segnala il
coinvolgimento di elementi - sempre a titolo individuale, è bene ricordarlo -
delle tribù Navajo, Piedi Neri, Zuni,
Mohawk, ma ovviamente il fenomeno può aver
contagiato altre realtà etniche. Non mancano casi di infiltrazione
di bande messicane: gli appartenenti alla gang rinsaldano i rapporti sposandosi
con donne indiane. In una riserva nel Nord-Ovest del Wisconsin un'organizzazione
ha messo in piedi un giro da 3 milioni di dollari nell'area di Milwaukee. I
sistemi usati per far arrivare la «merce» sono diversi e fantasiosi. I più sofisticati sono quelli adottati dai trafficanti basati in
Canada, nell'estesa e poco popolata British
Columbia. In paesaggi mozzafiato, tra laghetti e boschi affollati di orsi, i «banditi» trasferiscono negli Usa grandi
partite di droga. Le affidano a corrieri in mountain-bike, a «spalloni» che si infiltrano tra
le gole, a piccoli aerei (spesso idrovolanti che possono planare nei
laghetti) che lanciano i carichi, poi segnalati dai sensori che indossano gli
sciatori in funzione anti-valanga. Altri scendono lungo i fiumi con battelli
veloci o imitano gli esploratori pagaiando a bordo di canoe. Molti si
affidano alla tecnologia: visori notturni, sistemi satellitari Gps, tute mimetiche coperte di sostanze per renderle meno
«visibili» ai sensori. In un paio di casi, i doganieri Usa
hanno scoperto tunnel ben attrezzati. A Sud invece i
trafficanti si affidano agli immigrati clandestini, ai coyoteros
(gli uomini che gestiscono il passaggio lungo il Rio Grande) e a formazioni
organizzate. La droga transita a bordo di veicoli, bus e qualche volta
nello zaino di chi cerca fortuna negli Usa. La prima base di questa
«corrente» è rappresentata dalle riserve dove vivono gli Zuni,
ciò che resta degli Apaches, i mitici Navajo. Parliamo di aeree
attraversate da poche strade e poche auto, che aumentano - e neppure troppo -
solo nel periodo estivo. Da Sud, probabilmente con l'appoggio di elementi locali, la «merce» viene inviata verso il Midwest, la California e talvolta la costa orientale. La
polizia ha ingaggiato degli scout indiani per cercare tracce nel deserto. Un gruppo, che si è battezzato «Lupi Invisibili», è
diventato famoso in Arizona riuscendo a intercettare
molti trafficanti. Ne fanno parte agenti in
rappresentanza di una decina di tribù. E sono così bravi che il governo
federale li ha inviati all' estero per istruire
altri trackers. Un riscatto per la nazione indiana.
Guido Olimpio Corriere della Sera di lunedì 20 febbraio 2006 |