«L'egemonia catto-comunista ignorò i concetti di libertà e concorrenza»
Ricorre
il 20 maggio il bicentenario della nascita di John Stuart Mill, uno dei maggiori
teorici della democrazia liberale. È l'occasione per interrogarsi sulle ragioni
della scarsa conoscenza e considerazione di cui ha goduto in Italia e per
attribuirgli finalmente il riconoscimento che merita. I motivi della fragilità
della cultura liberale in Italia sono noti (hanno a che fare
con la doppia egemonia, marxista e cattolica), ma questa fragilità permane
anche oggi. Va rilevato, tuttavia, che anche all'interno della già minoritaria
tradizione liberale italiana Mill è stato spesso
sottovalutato o frainteso. Due esempi per tutti. Guido De Ruggiero rimproverava
all'«empirista» John Stuart
Mill la mancanza di una vena speculativa. E il giudizio di Benedetto Croce è stato ancor più negativo
e miope perché, pur riconoscendone la fede liberale, criticava nella concezione
milliana la meschina attenzione ai concetti di
benessere e di felicità e l'erronea credenza che il liberalismo sia
individualismo utilitario così da abbassare lo Stato a strumento dell'edonismo
dei singoli. È vero che negli studi più recenti (si pensi a Giuseppe Bedeschi) il pensiero di Mill viene adeguatamente interpretato e valutato, ma la maggior
parte degli studiosi e dei leader che si dichiarano liberaldemocratici
parlano poco di Mill e soprattutto non mostrano di
apprezzarne l'attualità. Mill è stato uno dei
protagonisti del dibattito intellettuale e della vita politica dell'Inghilterra,
impegnandosi costantemente per la difesa dei diritti civili e politici, a
cominciare dal voto per le donne. Ha lasciato un contributo originale e
profondo in campi diversi del sapere, ma è in particolare come teorico della politica
che va apprezzato. Nelle due celebri opere complementari, Sulla libertà e Considerazioni
sul governo rappresentativo, Mill difende con passione una concezione della politica
caratterizzata da una maggiore libertà individuale e da un governo più responsabile
e più efficiente. Come Tocqueville prima di lui e
come Weber dopo di lui, Mill
esprime la preoccupazione circa il destino della libertà individuale nella
società democratica di massa e difende tale libertà contro il dispotismo dello
Stato e il conformismo della massa. Il principio base della libertà è che «l'umanità
è giustificata, individualmente o collettivamente, a
interferire con la libertà d'azione di chiunque altro soltanto al fine di
proteggersi: il solo scopo per cui si può legittimamente esercitare un potere
su qualunque membro di una collettività civilizzata, contro la sua volontà, è
per evitare un danno agli altri». La difesa di una sfera di autonomia
di scelta individuale dalle interferenze del potere politico è il presupposto
della innovazione, che a sua volta è il presupposto del progresso morale,
ovvero il maggior sviluppo delle facoltà individuali produce la prosperità
generale. Questa concezione liberale è al tempo stesso
saldamente democratica, poiché Mill è convinto
che la democrazia sia la miglior garanzia della libertà e che la miglior forma
di governo sia quella in cui i diritti e gli interessi dei cittadini hanno la
sicurezza di non essere trascurati perché i cittadini stessi possiedono la
forza per difenderli. Ma l'esistenza di un governo rappresentativo,
rigorosamente limitato dal costituzionalismo e dall'esercizio della libertà, è
minacciata, da un lato, dalla tirannia della maggioranza e dalla continua
crescita del potere del governo e, dall' altro, dal
fatto che il governo rappresentativo, come la civiltà moderna, tende a
scivolare verso
Alberto Martinelli
Corriere
della Sera di giovedì 20 aprile 2006