IL CASO THAILANDIA
Ribellarsi è giusto se la libertà
è a rischio
Thaksin
Shinawatra, primo ministro thailandese
e magnate industriale, si sarà pure ritirato, ma non vuol dire
che se ne sia andato. L'ex premier, una versione asiatica di Silvio Berlusconi, ha esacerbato la classe media minacciando la stampa (quando non è riuscito a comprarla), procurando
ricchezza e potere alla sua famiglia e ai suoi amici, e - ultima goccia -
vendendo la quota di famiglia del maggiore gestore di telefonia mobile di
Singapore, dalla quale ha ricavato 1,9 milioni di dollari, senza neanche darsi
la pena di pagarci su le tasse. Ma una combinazione di demagogia e di elargizioni lo ha reso un eroe nelle aree rurali, dove la
gente ha problemi più urgenti della libertà dei mezzi di comunicazione nelle
città. Nonostante la vittoria elettorale, Thaksin ha deciso di prendersi una pausa dall'agone
politico e non farà il primo ministro, almeno per qualche tempo. Questo non
servirà a risolvere i problemi della Tailandia. Il suo passo indietro, anche se
temporaneo, è comunque una vittoria parziale dei
dimostranti. Che le dimostrazioni riescano a
modificare indirizzi politici e contribuiscano a far cadere governi, è
indubbio. L'abbiamo visto succedere, negli anni Ottanta, nella Corea del Sud e
nelle Filippine. È noto, invece, che non hanno avuto successo in Cina nel 1989.
Queste dimostrazioni hanno qualcosa in comune. Sono un fenomeno urbano e sono
guidate da élite istruite. Le agitazioni politiche
nelle campagne tendono a essere meno organizzate, più
sporadiche e spesso più violente. Le manifestazioni di piazza, che si protesti contro l'imperialismo statunitense o per la libertà
di stampa, tendono a riflettere degli interessi metropolitani. È impossibile
amministrare un'economia urbana moderna senza l'appoggio della classe media.
Allora è democratico cercare di costringere un primo ministro eletto a dare le
dimissioni o tentare di ottenere la revoca di una legge con manifestazioni di
piazza? La risposta dipende da come funzionano le istituzioni democratiche. Se l'opinione pubblica può liberamente esprimersi attraverso i mass
media e se i politici possono rappresentare in Parlamento gli interessi dei
loro elettori, non ci sono ragioni per cui i dimostranti debbano mobilitarsi.
Anche se basta dare un'occhiata agli altezzosi
funzionari che governano la Francia (guardate una foto qualsiasi di Dominique de Villepin, il primo
ministro che non è mai stato eletto) per provare simpatia per le dimostrazioni
francesi, i manifestanti delle scorse settimane avevano poche giustificazioni
per quello che stavano facendo. Se vogliamo, gli interessi
degli studenti e dei lyceens parigini sono fin troppo
rappresentati rispetto a quelli dei ragazzi delle periferie e dei quartieri
poveri, le cui possibilità di lavorare aumenterebbero se la legge cambiasse.
Per una volta si prova un pò di simpatia per il primo
ministro mandarino che sta cercando di minare i privilegi della classe media.
La Thailandia, d'altro canto, è un Paese che era
governato da un primo ministro che minava la stessa democrazia. Quando il capo di un governo usa la sua ricchezza per bloccare
la libera espressione dell'opinione pubblica, protestare è sacrosanto. Prima di
diventare primo ministro, Thaksin non solo era l'industriale
più ricco del Paese, ma era anche proprietario di un impero delle
telecomunicazioni che aveva comprato quote della sola televisione privata
indipendente del Paese. Thaksin, come primo ministro,
da una parte allettava i giornalisti offrendo loro laute prebende, dall'altra
ostacolava quelli che insistevano a voler rimanere indipendenti. I direttori di
giornali non allineati sono stati fatti fuori e
sostituiti con amici di Thaksin. In questo modo il
dissenso politico aveva sempre meno spazio. Anche se i contestatori erano
soprattutto di Bangkok e appartenevano alla classe media -
mentre Thaksin è rimasto un eroe nei villaggi
di campagna - per i dimostranti le questioni in gioco andavano ben oltre i loro
meri privilegi. Si può discutere se tatticamente sia stata una mossa saggia
boicottare le elezioni, come ha fatto l'opposizione. Ma la scelta strategica di
resistere a un politico che ha abusato della sua
carica monopolizzando i luoghi di espressione dell' opinione pubblica è
sicuramente stata giusta.
Ian Buruma
(Traduzione di Maria Sepa)
Corriere
della Sera di giovedì 13 aprile 2006