QUANDO IL POPOLO SCOPRE CHE IL POTERE E’
NUDO
«Noi
vogliamo un re. Ma dobbiamo tenerci un imbecille, una
marionetta, un traditore, uno spergiuro; un uomo che ormai la gente detesta e
in nome del quale regnerà la malafede». Dixit un
prete, Thomas Lindet, nel
luglio del 1791, dopo che il re di Francia Luigi XVI
aveva cercato di scappare da Parigi per sottrarsi alla Rivoluzione. Dopo che il
fuggiasco era stato rocambolescamente
acciuffato nel villaggio di Varennes, a due passi
dalla frontiera dei Paesi Bassi austriaci, ed era stato ricondotto nella
capitale sotto scorta armata. E dopo che i deputati dell'Assemblea
nazionale, pur sentendosi traditi dal tentativo di fuga del sovrano, avevano
deciso di mantenere Luigi XVI sul trono: re disprezzato e dimezzato, ma pur
sempre re. Non è facile per un popolo liberarsi di chi è al potere. Non
è facile neppure in democrazia, quantunque il suffragio universale rappresenti
il più semplice e il più garantito degli strumenti di revoca del mandato
popolare: perché il potere è carismatico anche quando ha perso ogni carisma, e
perché prima ancora di essere controllo sull'informazione
o reciprocità di favori il potere è fascino del déjà vu, logora chi non ce l'ha.
Meno che mai era facile liberarsi di un re nell'età delle
monarchie assolute. «Quando si scorre l'elenco degli imbecilli e inetti
che hanno occupato il trono, si è tentati di non
salvarne nessuno», poteva ben scrivere il curato Lindet.
Che però era il primo a sapere con quante esitazioni, quanto
a malincuore, i francesi andavano disamorandosi del loro re. Pubblicato
dal Mulino, lo splendido libro di uno studioso americano, Timothy
Tackett, racconta proprio questo: la fine della
storia d'amore fra un popolo e un re. Per raccontarla, giustamente l'autore non
avverte il bisogno di trattare dell'ultimo show-down, quello
parigino del gennaio 1793: la ghigliottina sulla Place
de la Révolution, la folla avida di sangue, l'esecuzione di Luigi XVI per mano
del boia. Storico di razza, Tackett sa che in ogni
storia d'amore finita male non è decisivo il momento della vendetta, ma il momento del disincanto: quando un amante si accorge che l'altro
è diverso da come l'ha pensato, l'ha voluto, l'ha immaginato. In politica, decisivo è il momento in cui un popolo si
accorge che il re è nudo. La storia d'amore non era ancora finita la notte del
21 giugno 1791, quando Luigi XVI, sua moglie Maria
Antonietta e i loro due bambini, con un paio di guardie del corpo e di dame di
compagnia, si infilarono in due carrozze per scappare
di nascosto dalla reggia delle Tuileries e puntare in
incognito verso la
frontiera. Travestito da lacchè, il
re non era nudo. E il popolo di Francia continuava a
fidarsi di lui, nonostante la diffidenza con cui fin dal 1789 Luigi XVI aveva
guardato agli eventi e agli uomini della Rivoluzione. I francesi diffidavano
bensì della regina, Maria Antonietta l'Austriaca:
molti la odiavano, accusandola di essere corrotta, immorale, ninfomane. Ma
finché il re non era scappato nottetempo, dopo avere travestito se stesso e i
suoi bambini, i francesi avevano creduto nell'antico mito del re buono traviato dai cattivi consiglieri. A Varennes, quel mito si scontrò con la realtà di un oscuro
patriota, un giovane mastro di posta, Jean-Bapstiste Drouet, che volle saperne di più su quel convoglio diretto
oltre frontiera. Già da giorni circolava la voce che il re di Francia meditasse di squagliarsela, e inquietanti movimenti di
truppe mercenarie erano stati registrati nella zona. Allora, Drouet non si accontentò di mettere a disposizione dei
viaggiatori due tiri di cavalli freschi. L'intraprendente mastro di posta volle
guardar dentro le due diligenze, scrutandone i passeggeri a
uno ad uno. E l'incosciente sovrano di Francia non
fece nulla (o quasi) per nascondere la propria identità. Aduso alla devozione
del popolo, Luigi XVI non aveva capito che l'incantesimo amoroso era finito.
Così, come in una qualunque pièce del teatro settecentesco, ebbe
luogo l'agnizione. Nel viaggiatore travestito da lacchè
Drouet riconobbe i lineamenti del sovrano, che gli
erano noti attraverso la sua effigie sulle monete. Arrestare il convoglio fece tutt'uno con l'arrestare il re. Poi, i patrioti di Varennes si riunirono a consiglio.
Un'improvvisata giuria composta da un magistrato, un
droghiere e un conciatore ordinò di rispedire la famiglia reale a Parigi. Un
picchetto armato fu allestito alla bisogna. E nei quattro giorni successivi, in
un viaggio di ritorno tanto emozionante per i patrioti quanto umiliante per il
sovrano, decine di migliaia di uomini, donne, bambini
si unirono al corteo che lentamente procedeva verso le Tuileries:
un popolo di sudditi che la nudità del re aveva trasformato in un popolo di
cittadini. «Imbecille», «idiota», «stupido», «codardo», «mostro», «patetica
ombra di re»: pubblicando articoli sui giornali o scrivendo agli elettori di
provincia, i deputati dell'Assemblea costituente non andarono per il sottile
nell'esprimere davvero quel che pensavano di Luigi XVI al suo ritorno da Varennes. Se lo conservarono sul trono a dispetto del
discredito nel quale era caduto, fu soltanto perché molti di loro temevano che
la Rivoluzione potesse altrimenti divenire qualcosa di incontrollabile.
Neppure per una classe politica è facile liberarsi di un re, soprattutto
quando si temono (a torto o a ragione) le conseguenze di un
trasferimento della sovranità. Inquietanti, in effetti, furono le ricadute del
ritorno di Luigi XVI a Parigi, re nudo e virtualmente prigioniero. Sul Campo di
Marte, una manifestazione di protesta contro la decisione di mantenerlo sul
trono si risolse, per ordine dei moderati, in un massacro degli innocenti. Ma nella Francia di provincia, il timore che la Rivoluzione
potesse fallire, e che l'antico regime potesse rinascere dalle proprie ceneri,
diede spazio a una spinta radicale. I patrioti intrapresero una caccia all'uomo
contro chiunque fosse sospetto di ostilità alla
Rivoluzione, in particolare nobili e preti. Così, raccontando la storia di Un re in fuga, Timothy
Tackett finisce per fare storia delle origini del
Terrore. In un film del 1982 altrettanto riuscito di questo libro, Ettore Scola
diede la sua versione della fuga di Luigi XVI dalla Francia
in rivoluzione. Il regista immaginò radunati in un'unica diligenza sei o sette
personaggi lo scrittore Restif de la Bretonne, una misteriosa aristocratica francese, un giovane
giacobino, il rivoluzionario americano Thomas Paine, una cantante lirica italiana,
il libertino Giacomo Casanova che il road-movie conduceva infine al villaggio
di Varennes: nel cuor della notte del 21 giugno 1791,
giusto in tempo per constatare che la voce in giro era esatta. Luigi XVI aveva
cercato di fuggire, ma era stato riconosciuto, fermato, e ignominiosamente
spedito a casa. Ormai, ciascuno dei personaggi era chiamato a fare i conti con
la fine di un grande amore, e a trovarsi un posto nel mondo nuovo. Un mondo
finalmente senza il re. Né travestito, né nudo.
Il saggio di Timothy
Tackett, «Un re in fuga. Varennes,
giugno 1791», il Mulino, pp. 240 Euro 20.00.
Mario Luzzatto
Corriere
della sera di mercoledì 29 marzo 2006
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