CINA, IL BOOM SEPPELLIRA’ IL PARTITO

 

  Può sembrare che il Partito comunista cinese non sia mai stato meglio. All’interno non deve affrontare serie sfide. Sulla scena internazionale si parla di ascesa, non di tracollo, della Cina. A quanto pare i diplomatici cinesi non fanno che andare in giro a incontrare i propri interlocutori americani ed europei, stringere accordi r dar lustro all’immagine di Pechino nel mondo. Eppure, forze inarrestabili minacciano la sopravvivenza del partito, che ha scarse possibilità di restare al potere per altri 35 anni. In sostanza, il partito rischia di cadere vittima dello stesso miracolo economico del quale è stato artefice. La sua riluttanza a imporre della legge e a trattenersi dall’interferire nell’economia del Paese rischia di rallentare la poderosa crescita degli ultimi anni. In linea puramente teorica, supponiamo che la Cina continui così. Altri 35 anni di crescita economica stabile significano un reddito annuale pro capite di circa settemila dollari. Professionisti, possidenti, capitalisti stacanovisti aumenteranno fino a diventare centinaia di milioni. Sarà quasi impossibile per un regime autoritario mantenere il potere in una società così moderna. Se non sarà il successo economico a porre termine al predominio di un unico partito in Cina, ci riuscirà probabilmente la corruzione. Governi liberi da significative limitazioni di potere crescono sistematicamente avidi e corrotti. Accade oggi in Cina. La disciplina di partito si è frantumata. La vendita di cariche di governo a fini personali è diventata pratica diffusa. Una corruzione tentacolare e autorizzata può trasformare un’autocrazia in evoluzione in un regime rapace. In un’epoca post-ideologica, l’unica giustificazione al monopolio politico del partito può essere la capacità di migliorare la qualità di vita della popolazione cinese. Il partito aderisce ancora formalmente a un amalgama di marxismo-leninismo e nazionalismo ma è poco credibile. Un partito di governo privo di valori fondamentali non conquista le masse e non è in grado di rendersi attraente. Le elites sono sempre più disincantate, ciniche e timorose sul futuro del partito. Si racconta che molte autorità, tra le quali un governatore provinciale, consultino regolarmente indovini. Un partito capace di reinventarsi e rigenerarsi riuscirebbe a scansare i pericoli all’orizzonte. Il Partito comunista cinese, però, va incontro alla paralisi. Nel 2040 compirà i 199 anni, di cui 91 al potere.

  Regimi a partito unico non hanno stimoli interni a riprogettarsi e non sono capaci di correggere la propria rotta. Tensioni e malessere accumulati sono trascurati, finché non precipitano in crisi più gravi. Il Partito comunista cinese ha già avuto occasione di sperimentare questo ciclo, la Rivoluzione culturale l’ha quasi distrutto. Si è ripreso dal disastro del quale era stato origine solo reinventandosi radicalmente e adottando una politica di riforme di mercato. Se saranno onesti, gli indovini diranno ai leader della Cina che il futuro non è radioso.

 

Minxin Pei
sinologo

Foreign Policy

(tradizione di Maria Serena Natale)

 

Corriere della Sera di mercoledì 21 dicembre 2005

 

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