BORRELLI: MANI PULITE?

NON HA LASCIATO RISULTATI DURATURI

  L’interpretazione autentica del celeberrimo “resistere, resistere, resistere” sta in un’altrettanto celebre frase di Giorgio Gaber, Francesco Saverio Borrelli distende un sorriso ironico e cita: “Io non temo il signor B. in sé, ma temo il signor B. in me”. Il “signor B.”, ovvio, sarebbe il Cavaliere, Borrelli usa lo stesso understatement di quando accenna Di Pietro come a quel “pubblico ministero diventato poi uomo politico”. In ogni caso, ricostruisce, il suo discorso all’apertura dell’anno giudiziario 2002 “era un appello a lottare contro se stessi, la tentazione di far prevalere gli interessi personali sulle regole. Non era, com’è stato interpretato, un’esortazione alla popolazione a una sorta di guerra di resistenza contro il regime… pardon, volevo dire contro l’assetto politico esistente”.

  E qui l’uomo che guidò il pool Mani pulite scoppia a ridere assieme al pubblico, gli è scappato così, applausi. Del resto poco importa, l’essenziale sta appunto nel gaberianoBerlusconi in me”. L’intervista concessa a Giovanni Dognini, direttore di Radio Città del Capo, e ripresa sul sito www.arcoiris.tv, è una sorta di rivisitazione critica degli anni di Tangentopoli. Con una considerazione centrale e desolata: “Non mi sentirei di dire che Mani pulite ha lasciato risultati duraturi. Da qualche anno non ho più il polso della situazione ma sa comìè, un grande feeling tra l’italiano medio e il senso della legalità non c’è mai stato”.

  Borrelli appare in gran forma, tale e quale al fatidico ’92. e pensare che quel 17 febbraio, quando beccarono Mario Chiesa con la mazzetta, “sembrava un’operazione come le altre”. Nessun disegno politico, “lo escludo radicalmente, non foss’altro perché le teste del pool erano, come dire, un’insalata mista, qualcuno aveva simpatie per un rigorismo di destra, qualcun altro remote militanze di sinistra, mentre Di Pietro era un popolar-cattolico che non aveva idee particolari, almeno allora. Quanto a me, mi diedero dello stalinista, ma devo confessare che la mia formazione è liberale, di tipo crociano…”.

  Comìè noto l’inchiesta s’allargò a macchia d’olio, “non è che prima la magistratura non avesse indagato, c’erano stati singoli casi, ma lì si cominciò ad avere la sensazione netta che si trattasse di una corruzione sistemica, una situazione di tipo paramafioso nel quale l’economia e le formazioni politiche si accordavano e si condizionavano a vicenda”. Il “periodo eroico” durò fino al ’94, poi l’aria cambiò. Certo, “il mondo politico si ricompattò, riprese le redini dopo quella che è stata impropriamente chiamata supplenza, ed è partita la campagna di delegittimazione”. Ma c’è stato anche altro: “Ad un certo momento il cittadino ha avuto la sensazione che i magistrati stessero un po’ passando il segno, che pretendessero di portare il cittadino medio a una misura di rigore calvinista. Prima si vedevano rotolare nella polvere teste importanti. Ma poi le indagini si sono avvicinate alla vita quotidiana e questo ha dato un po’ fastidio, urtava contro la nostra abitudine ad “aggiustarsi” nel rapporto con la pubblica amministrazione”. In più c’è la lentezza, “una giustizia che arriva molto anni dopo nega se stessa”.

  Così eccoci qua, c’è ancora qualcuno che resiste? Borrelli torna a sorridere: “Qualche filone di resistenza sopravvive e forse negli ultimi tempi abbiamo avuto qualche segnale che qualcosa, nel nostro Paese, prossimamente potrà cambiare…”.

 

Gian Guido Vecchi

 

Corriere della Sera di sabato 24 dicembre 2005

 

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