MINISTRO, TOLGA LE CURE “PRIVATE” DAGLI OSPEDALI

 

Spendiamo, in Italia, per la salute meno di altri Paesi, ma ci ammaliamo di meno e viviamo più a lungo. Un po’ di merito va al Servizio Sanitario Nazionale. S’è fatto quasi 30 anni fa, sul modello inglese, perché tutti potessero aver accesso alla cure. Ma lo spirito di solidarietà che animò quella riforma s’è perso.

   Fino a qualche anno fa i medici degli ospedali lavoravano anche nelle case di cura private e cos’ c’era il caso che il dottore dell’ospedale suggerisse all’ammalato una clinica, ma là bisognava pagare. Poi gli ospedali sono diventati aziende, e quale azienda consente ai propri dipendenti di lavorare da un’altra parte? Allora si sono cambiate le regole. I medici che lavoravano solo per il SSn avevano un’indennità e vantaggi di carriera, e potevano anche esercitare la professione privata, in ospedale (“intramoenia”). Così se uno ha un tumore e deve fare la Tac del polmone capita che si senta dire “l’appuntamento è tra sei mesi, ma si può fare anche oggi pomeriggio, sempre qui in ospedale, se lei paga”. Certe volte l’ospedale non aveva spazi adatti e così si e consentito ai medici di “farla fuori”, l’”intra”-moenia, nei loro studi privati.

   Un sistema così erode il rapporto di stima che si deve stabilire tra chi ha bisogno di cure e il suo medico ed è in contrasto con i principi che hanno ispirato il SSN. Si dirà: “perché non consentire a chi ha le possibilità economiche di pagarsi le prestazioni?” giusto, ma potrebbe essere fatto in strutture private, purché siano “private-private”. Chi all’apice della carriera desidera avere un maggior ritorno economico dalle competenze che ha acquisito, potrebbe scegliere la medicina privata. E l’ospedale assumerà più giovani, di cui c’è grande bisogno. Si dirà: “ così gli ospedali perdono i proventi dell’intramoenia”. No, basta far pagare un ticket a chi può permetterseloe ci sarebbe ro anche i soldi per pagare stipendi più alti a chi in ospedale ci sta tutto il giorno (e sarebbe ben felice di lavorare per ridurre le liste d’attesa, quell, s’intende, per prestazioni davvero necessarie).

   Qualche giorno fa i sindacati dei medici hanno mandato una lettera al ministro della Salute con cui chiedono di continuare a fare l’intramoenia nei loro studi privati. Ma non sembra che il ministro sia disponibile (ed è giusto, sparirà così una norma, tutta italiana, davvero bizzarra) e ha preparato un emendamento con cui chiede a tutti gli ospedali di organizzarsi per la professione privata. Ma perché non toglierla del tutto l’intramoenia, fuori e dentro, signor ministro?

   Nel Manifesto per la rinascita della sanità un gruppo di medici della Lombardia scriveva: “non deve succedere che all’interno della stessa struttura del servizio pubblico chi ha possibilità economiche sia curato prima e meglio di chi non ne ha” (e che per la salute ha già pagato tasse e contributi). E’ rimasta lettera morta. Signor ministro non perda l’occasione di mettersi dalla parte degli ammalati. Scontenterà qualche medico, ma la gente –soprattutto chi davvero malato- gliene sarà grata.

 

Giuseppe Remuzzi

 

Corriere della sera di domenica 10 luglio 2006

 

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