Non è il
sistema con cui si vendono i diritti televisivi dei campionati (collettivo o
soggettivo) e neppure la distribuzione di quelle risorse a rendere impari i
tornei nazionali. Giusto cercare soluzioni migliorative,
indispensabile una strategia di cessione unitaria, basilari norme per
emittenti e club pur evitando interventi legislativi. Ma non si può
ignorare la vera causa della diminuita competitività, dove peraltro l'Italia
sta meglio di Inghilterra, Francia, Spagna,
Germania, Portogallo. Basta leggere le classifiche. È stata la Champions
League a gironi, introdotta nel
1992-93, a
creare disparità economiche non recuperabili. Fin quando sono esistite tre
coppe (Campioni, Uefa, Coppe)
ad eliminazione diretta, con spazi televisivi ben distribuiti, la crescita
dei club europei è stata armonica, pur nelle logiche diversità fra grandi e medio-piccoli. Quando per impedire una
secessione delle società più importanti, sedotte dall'idea di farsi una sorta
di Nba continentale, l'Uefa
ha ampliato la Champions, organizzandola a gironi,
dandole in esclusiva due serate tv, garantendo a chi vi prendeva parte un
certo numero di gare sicure, abolendo la Coppa delle Coppe e ridimensionando la Coppa Uefa,
gli equilibri nei tornei nazionali sono stati irrimediabilmente rovinati.
Intendiamoci: gli scudetti erano sempre appannaggio
dei club più ricchi, più seguiti, con vivai migliori. Ma ogni tanto qualcuno,
sia pure episodicamente, saliva sul trono, rompeva la monotonia. Ora il
dominio si è accentuato, basta leggere la tabella degli scudetti. Perché i
miliardi della Champions piovuti nelle casse di chi
vi partecipa quasi abitualmente, hanno arricchito un
gruppo di 16-20 club rendendoli inavvicinabili dai competitori interni. Leggete la tabella dei premi pagati in questi anni dall'Uefa, aggiungetevi i miliardi derivanti dagli
incassi, gli sponsor, il merchandising ed altre entrate collaterali. Persino
uno sciocco capirebbe perché i campionati sono così poco competitivi e
cercherebbe di rimuoverne le cause. In un articolo pubblicato il 7 novembre
2004 sull'Observer si accusa proprio la Champions di aver creato in Europa un'élite
di club ricchi che accrescono il loro dominio sui
campionati nazionali, portando i tifosi alla noia. Anche nella Premier League, si sostiene, lo squilibrio competitivo
si è gravemente accentuato fra Manchester, Arsenal,
Chelsea e le altre 17. Alcuni nomi storici
rischiano la
scomparsa. Lo stesso presidente Johansson,
secondo il giornale, avrebbe privatamente ammesso che la Champions
è diventata un mostro che ha prodotto una lotta
ineguale in tutti i Paesi europei. Per limitare i danni si è
corretta la formula, abolendo il secondo turno a girone, anticipando l'eliminazione
diretta. Si è proposto d'inserire un certo numero di giocatori provenienti
dal vivaio, ma non sarà facile farlo e rappresenterebbe
un palliativo. Dal 2009 la formula verrà
ulteriormente cambiata. Un fatto è certo: la classifica dei club più ricchi è
dominata da quelli che prendono parte più assiduamente e con migliori
risultati alla Champions. Con la formula a 32
squadre, essa diventa una sinecura per le 16 ammesse di diritto ai gironi:
hanno sei partite garantite e molte chances di
arrivare agli ottavi. Per questo il secondo posto nel nostro campionato vale
oro. Leggere le tabelle è istruttivo: presenze in coppa, premi Uefa e scudetti sono interdipendenti.
Giorgio Tosatti
Corriere della Sera
di venerdì 27 gennaio 2006
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