El Silencio è il nome dell'isola
nell'arcipelago del Tigre, sul delta del Paraná, dove il cardinale e gli alti prelati di Buenos
Aires passavano il weekend. L'isola del
silenzio è il titolo del nuovo libro in uscita da Fandango (pagine 177,
euro 15) di Horacio Verbitsky,
giornalista di «Página/12» che, dopo aver
documentato in una quindicina di saggi gli orrori della dittatura argentina,
affronta qui il ruolo svolto dalla chiesa cattolica negli anni della grande repressione, tra il 1976 e il 1983, che provocò
trentamila desaparecidos, un milione e mezzo di
esiliati, novemila prigionieri politici, quindicimila fucilati nelle strade.
In realtà El Silencio non
è soltanto uno spunto narrativo con il quale si apre e si chiude l'inchiesta,
ma un luogo concreto che testimonia il coinvolgimento diretto di una parte del
clero nella repressione. L'isola, venduta da un vicario della curia a un prestanome della Marina, servì per un mese come luogo
di detenzione per alcuni prigionieri politici della Scuola di meccanica della
Marina che doveva essere resa presentabile all'ispezione della Commissione
per i diritti umani interamericana che si svolse nel settembre 1979. In effetti le stanze dove si applicava la picana, uno strumento di tortura elettrico, o i bagni
dove si picchiavano a sangue i prigionieri, le celle dove venivano violentate
le donne furono trasformati in luoghi immacolati. Nessuno tuttavia ha mai
creduto, nemmeno negli anni Settanta, alle favole raccontate dagli uomini del
generale Videla e dell'ammiraglio Massera. Non lo credevano a Washington e nemmeno in
Vaticano, dove in un drammatico incontro con Paolo VI svoltosi
nell'ottobre 1977 Massera disse che la giunta
militare era disposta ad assumersi tutte le sue responsabilità. L'inchiesta
di Verbitsky, giornalista di parte ma che si serve
di una documentazione minuziosa resa ancora più efficace da una prosa
asciutta e nervosa, si basa su tre livelli. C'è l'aspetto ideologico, ben
rappresentato dall'influenza che in Argentina hanno
avuto i reduci dell'Oas algerina e il gruppo della Cité catholique di Jean Ousset, teorizzatore della
violenza cristiana
contro i pericoli del Marxismo leninismo, titolo di un
libro che in Argentina fu prefato nel 1961 dal cardinale Antonio Caggiano. C'è poi l'inequivocabile presa di posizione di
molti prelati al fianco della dittatura militare in una guerra civile che
assieme alla società spaccò il clero argentino tra fautori di
istanze rivoluzionarie e sostenitori della tradizione. Tra gli
interpreti più emblematici di questa linea spicca la
figura di monsignor Emilio Teodoro Grasselli, segretario dell'ex primate Caggiano che secondo Verbitsky
vendette El Silencio ai
militari e che era in stretto collegamento con alcuni ufficiali della Scuola
di meccanica. Secondo molte testimonianze monsignor Grasselli aveva una lista di desaparecidos
dove i morti erano segnati con una croce. Si adoperò, è vero, per farne fuggire
molti all'estero, procurando biglietti aerei intestati al conto corrente
della Marina, ma operò in un terreno ambiguo dove non si può stabilire se il
bene fatto ad alcuni possa giustificare la
responsabilità morale di trattare con assassini e torturatori. Forse Grasselli
non toccò così da vicino l'abisso come capitò al
cappellano Alberto Angel Zanchetta
che raccoglieva le confessioni di Adolfo Scilingo,
l'uomo incaricato di eliminare gli oppositori gettandoli in mare da un aereo,
né fu un fanatico come il provicario Victorio Bonamín, che arrivò a dichiarare in un' omelia: «Quando
c'è spargimento di sangue c'è redenzione». Ma la normalità della sua azione lo rende più inquietante.
La prosa diventa più cauta e sfumata quando Verbitsky
affronta il terzo livello, che coinvolge personaggi come i cardinali Pio
Laghi, all'epoca nunzio apostolico a Buenos Aires, e Jorge
Bergoglio, il porporato indicato come la più seria alternativa a Joseph Ratzinger nella successione a Giovanni Paolo II,
negli anni Settanta padre provinciale dei gesuiti in Argentina. La tesi forte
che emerge dall'Isola del silenzio è che anche le
alte gerarchie, e quindi il Vaticano, conoscevano l'orrore. In particolare l'autore
contesta a Pio Laghi di essere stato il collegamento tra monsignor Grasselli
e le ambasciate, quindi non poteva non sapere, ma
soprattutto l'amicizia con l'ammiraglio Emilio Massera,
testimoniata dalle frequenti partite a tennis e dal fatto di aver celebrato
il matrimonio dei figli e battezzato i nipoti. Laghi si è
già difeso in un libro-intervista spiegando che i contatti con le autorità
gli servivano per aiutare i desaparecidos. Le
accuse a Bergoglio si basano soprattutto sulle
parole di due padri gesuiti, Francisco Jalics e
Orlando Yorio che furono sequestrati
perché avevano aderito a una comunità di base. Liberati dopo cinque mesi,
sembra per l'intervento diretto del Vaticano e non del loro superiore, i due
religiosi, espulsi dalla Compagnia, lanciarono il sospetto che Bergoglio li considerasse degli
irrecuperabili e li avesse perciò abbandonati al loro destino. Il cardinale
ha respinto in maniera categorica e circostanziata le accuse e un suo
collaboratore ha osservato se non sia il caso di
riflettere sulla concomitanza tra la pubblicazione di questa inchiesta e il
conclave. Verbitsky ha a sua volta risposto da aver
concluso il lavoro in febbraio, prima della morte di
papa Wojtyla. Al di là dei
sospetti tutti da provare, resta da approfondire l' interrogativo sul perché
parte della Chiesa davanti alla dittatura di Videla
scelse la strategia del silenzio.
Dino Messina
Corriere della Sera di domenica 26 marzo 2006
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