LE
SIRENE BUGIARDE
La Germania accelera (+ 1,0), l'
Italia indietreggia (0,5). Per qualche anno le due economie erano state
accomunate dallo stesso male tanto da sembrare gemelle. In entrambe bassa
crescita e una popolazione invecchiante e calante; in entrambe una vasta
regione in ritardo (l' Est, il Sud) che invece di spingere l'economia, la
rallentava e appesantiva i conti pubblici; entrambe nell' euro. Il mezzo gaudio
del male comune, invece, non finisce oggi: la differenza era visibile anche
prima che uscissero le cifre del quarto trimestre 2004. La stagnazione
risultava da opposte tendenze: in Germania forti esportazioni e bassi consumi
interni, in Italia l'inverso. In Germania un formidabile aumento di
competitività, in Italia un calo quasi drammatico; in Germania investimenti e
innovazione, in Italia no. In realtà, i due Paesi hanno operato in modo davvero
diverso, negli anni recenti, per uscire dalla stagnazione. Chi ha operato? In
parte, certo, i governi, cui spettano la sintesi e la guida. Ma c'inganneremmo
se ci fermassimo qui. Non si tratta solo di governo, ma di classe dirigente,
dunque insegnanti, giornalisti, magistrati, imprenditori, sindacalisti, insomma
chiunque con l'esempio e col potere eserciti un'influenza sul pensiero e il
comportamento di altri. Non si tratta solo di recessione, una fase del ciclo
che si misura in trimestri, ma di ristagno e arretramento, che si misurano in
lustri. Non si tratta solo di economia, che è produzione della ricchezza
materiale, ma di società. Conosciamo leve e manovelle per guidare la macchina
dell'economia tra i rallentamenti e le accelerazioni congiunturali. Ma la
crescita, a differenza del ciclo, è una biologia più che una meccanica: è un
dinamismo della società, non solo dell'apparato produttivo; è espressione di
maggiore o minore vitalità, di fiducia in se stessi e nel futuro, di spirito
creativo. Scienza e politica economica suggeriscono che cosa aiuta la crescita
o l'impedisce; ma faticano a provocarla o antivederla. Tuttavia, poiché la
politica ama promettere molto e la società da essa tutto pretende, il rischio
di errori di politica economica è elevato. L'errore ha la melodia invitante di
una canzone. E due strofe della canzone, che le sirene cantano spesso in
duetto, mi sembrano particolarmente pericolose. Prima sirena: si stava meglio
quando si stava peggio. Avevamo l'inflazione e il disavanzo a due cifre, ma
almeno crescevamo, così qualcuno mormora. Ma ci siamo già scordati di quanto
male si stesse allora? Vogliamo riflettere alla condizione in cui oggi sarebbe
l' Italia se non avesse compiuto la rincorsa della stabilità negli anni '90 e
stesse fuori dell'euro, prossima a essere preceduta da ben sei Paesi che,
entrati nell'Unione un anno fa, presto saranno anche nell'euro? Pensiamo
davvero di poter rincorrere l'Asia con svalutazioni continue che facciano
regredire il valore del nostro lavoro a quello di un operaio cinese? Sono state
proprio le droghe del cambio e del disavanzo a fiaccarci. Seconda sirena: la
leva per uscire dallo stallo è a Bruxelles. Non è vero, la leva è in Italia;
non soltanto a Roma, capitale della politica, ma in ogni regione e provincia.
Nulla di ciò che Bruxelles (col nostro concorso) permette o vieta è di
impedimento alla crescita. La riprova è che con quegli stessi permessi e
divieti altre economie prosperano. Scuola, giustizia, ricerca, infrastrutture,
concorrenza, legalità, meritocrazia, burocrazia pubblica dipendono interamente
da noi. La Cina è la stessa per Germania, Italia, Finlandia. Le sirene cercano
di irretire non solo la politica, ma anche la classe dirigente. È dunque
importante che ognuno di noi abbia punti fermi nel ragionare sul difficile,
eppur superabilissimo, momento.
Tommaso
Padoa Schioppa