AVIARIA

 

Fino a poco tempo fa alla parola “pestilenza” si era soliti associare le epidemie del passato, la peste in primis, ma anche quelle di vaiolo, colera, tifo.

Quando si pensava a qualcosa di simile ai nostri giorni il fantasma che si agitava nella mente era quello dell’AIDS, del virus Ebola, della SARS.

Nessuno, fino a qualche mese fa, ha mai associato quel termine alla “banale” influenza.Eppure all’inizio del secolo scorso, nel 1918, l’epidemia passata alla storia col nome di “spagnola” ha ucciso oltre quaranta milioni di persone in tutto il mondo.

Morirono di spagnola, in un anno, più persone di quante ne morirono sui campi di battaglia della Grande Guerra.

Intere famiglie furono cancellate.

Morirono anche gli eschimesi di remoti villaggi della tundra.

La scienza si è sempre domandata il motivo di una così elevata mortalità, perché a morire fossero prevalentemente i giovani, e perché una letalità simile non si sia mai più verificata nelle successive epidemie, anche in quelle più virulente come per esempio quella dell’asiatica.

Alcuni scienziati, anni fa, si sono messi alla caccia del famigerato virus.

Un gruppo di questi ha cominciato a cercarlo nei cadaveri degli eschimesi morti di spagnola e sepolti nel “permafrost”, rovistando nei cimiteri di remote cittadine dell’Alaska e della Norvegia.

Altri hanno condotto la ricerca sui campioni bioptici (ancora inclusi in paraffina e archiviati) che i medici militari americani avevano prelevato dai soldati morti di spagnola mentre erano nella fase di addestramento in patria prima di essere inviati sui campi di battaglia europei.

Entrambi hanno cercato di “riportare alla vita” il famigerato killer ricercandone il menoma o tracce di esso.

La ricerca non ha dato risultati conclusivi, ma alcuni dati ed analogie fanno pensare che quello del 1918 potrebbe essere stato un virus simile a quello dell’attuale influenza aviaria, l’H5N1.

Gli anatomo-patologi che eseguirono le autopsie sui morti di allora descrissero quadri assai simili a quelli della SARS ma simili anche a quelli riscontrati nelle vittime dell’attuale “aviaria”.

Su questi presupposti e su questa storia si è scatenata la campagna mediatica che dura tuttora.

L’allarme ha fatto il giro del mondo producendo in tutti la sensazione che una pandemia simile a quella della spagnola sia non solo possibile ma addirittura imminente.

Qualcuno è arrivato a calcolare gli effetti dell’epidemia affermando che nei soli Stati Uniti la mortalità potrebbe essere pari ad un milione e mezzo di vittime; più vittime di quelle che in un anno ne fanno le cardiopatie, il cancro, l’ictus, l’AIDS, le patologie polmonari croniche ed il morbo di Alzheimer messi insieme.

Eppure i dati che comportano tanto allarme sono estremamente labili.

Finora le vittime umane del virus si contano in poche decine e nessuno ha mai dimostrato (tranne 1 solo caso descritto da “Nature”) che il virus H5N1 possa trasmettersi da uomo a uomo.

Le pandemie influenzali si sono sempre presentate ad intervalli di 20-40 anni.

Pensare che una pandemia simile a quella dell’asiatica (1957) o a quella del virus A2 Hong Hong (1968) possa ripresentarsi è più che giustificato.

Altrettanto giustificato è tenere d’occhio un virus che ha dimostrato la capacità di fare (in casi rari) il salto di specie.

E’ giustificato preparare ed organizzare la macchina della prevenzione e dell’assistenza (magari con qualche investimento in più).

Non è giustificato alimentare un allarme mediatico che sta conducendo la gente a non mangiare più uova e galline e a vaccinarsi in massa per l’influenza (nella falsa convinzione che la vaccinazione per l’influenza comune possa proteggere dall’eventuale pandemia di aviaria).

In questi giorni i nostri ambulatori sono presi d’assalto da chi si vuole vaccinare.

Sono state prese d’assalto, con meno disappunto da parte dei nostri colleghi farmacisti, anche le farmacie, che hanno registrato, per il vaccino antinfluenzale, il tutto esaurito.

Tutto esaurito registrato anche da parte delle case farmaceutiche per le scorte di oseltamivir e zanamivir, i due farmaci antivirali che potrebbero servire a curare l’infezione (anche se gli ultimi ceppi di virus isolato hanno mostrato di essere diventati resistenti al primo).

Nell’economia di mercato, gli allarmi possono essere utili anche a questo.

A fare affari.

Vien da pensare che una volta, per alimentare il contagio, gli untori giravano ad imbrattare panche e muri; oggi usano gli strumenti mediatici.

Quello che è sicuro è che l’aviaria, da noi, in qualche maniera ha già colpito.

I nostri portafogli.

 

Roberto Mora

 

Verona medica n. 5 dicembre 2005

 

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