Anziani tra
iniziative ministeriali e proposte di legge
Fondo sì, forse,
anzi no: Storia di una legislatura
“Un provvedimento
altamente implausibile”: con queste parole il ministro per l’Economia Domenico
Siniscalco ha decretato – in una recente audizione presso la commessione Affari
sociali della Camera – la fine delle speranze di introdurre un fondo nazionale
per i non autosufficienti in questa legislatura. A meno di sorprese
pre-elettorali, se ne riparla nella prossima.
Negli ultimi anni
il dibattito pubblico ha dedicato una certa attenzione al fondo
(prevalentemente per anziani). Diverse le ipotesi avanzate, accomunate dall’obiettivo
di incrementare la spesa pubblica dedicata a questo gruppo. Lo strumento
impiegato dovrebbe consistere in un prelievo obbligatorio (contributi da lavoro
o fiscalità) da chiedere alla popolazione. La proposta di un
fondo nazionale è sostenuta dalla diffusa convinzione della necessità di un
maggior impegno del Governo in materia. Un vivace fermento, nondimeno, riguarda
la possibile costituzione di fondi regionali.
L’attuale
legislatura offre un ricco bagaglio di esperienze:
ripercorriamone le tappe.
L’attivismo del ministro
Sirchia. L’interesse del dibattito pubblico verso le politiche per i non
autosufficienti e il loro finanziamento è stato in questa legislatura maggiore
rispetto al passato. Il ministro per la Salute, Girolamo Sirchia, ha molto
contribuito a farlo crescere, individuando giustamente in un maggiore
finanziamento pubblico il passaggio decisivo. L’attivismo, tuttavia, non è
stato accompagnato dalla definizione di un progetto chiaro
e spendibile. Sirchia si è espresso inizialmente a favore dell’istituzione di un fondo facoltativo. Ha poi proposto l’introduzione di un fondo obbligatorio, l’idea da lui sostenuta con
maggiore forza. Le risorse ulteriori necessarie per
attivare tale fondo sono state stimate in circa 10 miliardi (a fonte di tali
stime non è mai stata precisata). Questa cifra andrebbe raccolta attraverso un
contributo a carico dei lavoratori e recuperando risorse all’interno della
spesa pubblica esistente (spostando risorse dalla Sanità acuta al
sociosanitario ed eliminando inefficienze). Indicazioni mai sviluppate in un
articolato progetto di riforma.
Un tassello
decisivo per la costruzione di tale progetto era atteso dall’apposita
commissione insediata dal ministro per la Salute – insieme al collega Roberto
Maroni – le cui conclusioni sono state rese pubbliche nel dicembre 2002. la “Commissione di studio sulla prevenzione e il trattamento
della non autosufficienza con particolare riferimento agli anziani” ha invece
concentrato i propri sforzi nella definizione di un modello organizzativo finalizzato
a un maggiore coordinamento dei soggetti impegnati nell’assistenza. Ha suggerito
di sperimentare tale modello, cosa che sta attualmente
accadendo in alcune Asl della Lombardia. La Commissione ha affermato che se
tale sperimentazione darà esiti positivi si potrà
pensare di istituire un fondo nazionale obbligatorio per la non
autosufficienza. La Commissione non ha fornito indicazioni
specifiche in tema di finanziamento e ha suggerito di rinviare
ulteriormente l’azione in materia.
Il periodo che
segue la diffusione dei risultati della Commissione
vede ridursi l’impegno di Sirchia su questo argomento e con il primo trimestre 2003
si esaurisce il suo attivismo. Stretto tra le precarie condizioni della finanza
pubblica e la priorità assegnata alla riduzione della
pressione fiscale, il fondo per i non autosufficienti non ha ottenuto
molto credito dall’Esecutivo.
La proposta della commissione Affari
sociali. Dal secondo semestre 2003 ad animare il dibattito è stata
principalmente la commissione Affari sociali della Camera, che ha presentato
una propria Pdl unificata (relatrice Katia Zanotti, Ds), che propone l’istituzione
del fondo nazionale per il sostegno della persone non
autosufficienti. La proposta riguarda le persone non autosufficienti di ogni età. Intende finanziare prestazioni socio-assistenziali,
ferme restando le responsabilità del Ssn. Le finalità sono: favorire l’utilizzo della rete dei servizi,
erogare voucher e assegni di cura, fornire le risorse per il pagamento della quota
sociale a carico degli utenti in strutture residenziali. L’indennità di accompagnamento è collocata al suo interno, ma con la
propria autonomia (è diritto esigibile), lasciando ai beneficiari l’opzione se
sostituirla con la fruizione delle prestaziooni previste dal fondo. Quest’ultimo
è alimentato attraverso un’addizionale dello 0,75% si Irpef
e Irpeg a livello nazionale (con la possibilità per le Regioni di raccogliere
un ulteriore 0,5%) e garantirebbe 4,5 mld. Nelle intenzioni dei promotori, la
Pdl è il primo passo di un percorso di riforma
imperniato sull’introduzione dei livelli essenziali socio-assistenziali. Su molti
aspetti, tuttavia, il testo rimanda ad atti
successivi. E’ il caso, tra gli altri, di: definizione dei livelli essenziali,
definizione della non autosufficienza e dei criteri per accertarla, modalità di gestione del fondo, suo riparto tra le Regioni.
Pur se frammentaria e carente, la Pdl è l’unica proposta organica
presentata in questa Legislatura. E’ una proposta
bipartisan, approvata in commissione da maggioranza e opposizione (tranne
Rifondazione comunista). L’Esecutivo l’ha bloccata poiché va in senso
contrario alla sua strategia di abbassamento della
pressione fiscale. Recentemente la commissione ha modificato le modalità di reperimento delle risorse previste nel progetto.
Si mantiene l’incremento della pressione fiscale ma
attraverso diverse forme di prelievo e riducendo il gettito previsto a circa
2,1 mld. Il Governo non ha cambiato il suo atteggiamento negativo nei
confronti del progetto.
L’incoerenza con
la politica economica del Governo rappresenta il motivo principale per la
mancata attivazione del fondo. Contro la sua
introduzione viene inoltre, da più parti, avanzato un argomento riguardante gli
assetti istituzionali. Con la riforma del titolo V della Costituzione – come
noto – la materia di servizi e interventi sociali è diventata competenza
esclusiva delle Regioni. Nel mutato scenario, molti ritengono che lo Stato non
possa effettuare un trasferimento di risorse alle
Regioni vincolato a uno specifico impegno (l’assistenza ai non autosufficienti).
I sostenitori del fondo, invece, ne affermano la
legittimità poiché esso finanzierebbe i livelli essenziali delle prestazioni
sociali, unica competenza per servizi e interventi sociali rimasta alla Stato.
I nodi da sciogliere. L’analisi di
quanto accaduto mette in luce i nodi da sciogliere affinché si
possa introdurre il fondo. Primo, i bisogni degli individui non autosufficienti
devono diventare una priorità del Governo. Ciò non è mai accaduto sinora, e l’importanza assegnata dall’attuale
Esecutivo alla riduzione della pressione fiscale è risultata un ostacolo
insuperabile per l’introduzione del fondo. Secondo, servono passi in avanti
nell’elaborazione di progetti concreti. Il dibattito sull’effettivo profilo che il fondo potrebbe assumere
è ancora frammentato e incerto. Basti pensare che la proposta della Affari sociali – pure assai scarna – è la più completa
esistente; d’altra parte, si possono seguire vie anche molto diverse da quelle
lì indicate. Varie le possibili modalità di raccolta delle
risorse necessarie: un prelievo obbligatorio da chiedere alla popolazione? recuperare risorse da altre voci della spesa pubblica, la
Sanità acuta o magari le pensioni? diverse possibilità
anche per l’utilizzo delle risorse ottenute grazie al fondo: a quali
prestazioni dedicarle (socio-assistenziali – come propone la Zanotti – o sociosanitarie?)
come inserire le prestazioni finanziate con tali risorse nell’attuale sistema
di servizi e interventi per i non autosufficienti? Terzo, si deve trovare un
equilibrio tra Stato, Regioni e Comuni. Innanzitutto, va capito l’effettivo
spazio di manovra dello Stato dopo i cambiamenti dell’assetto
istituzionale italiano recentemente avvenuto. In ogni modo, un maggiore
intervento statale non dovrebbe deresponsabilizzare
Regioni e Comuni. Il punto è delicato, si pensi ai numerosi rimpalli di
responsabilità degli ultimi anni – tra i diversi livelli di governo
– su chi debba sostenete la spesa ulteriore per i non autosufficienti. Sembra utile
ragionare in merito a strategie capaci di collegare l’incremento della spesa
nazionale a forme di crescente finanziamento da parte di Regioni e Comuni.
Cristiano Gori
Istituto per la
Ricerca sociale – Milano