“Il pericolo è il
caos federalista, non la dittatura»
ROMA -
Non ha nulla da dire sul concetto di «dittatura della maggioranza», espressione
accademica più che bicentenaria con cui studiosi e legislatori americani
indicano il pericolo di un'eccessiva concentrazione di
poteri. Definizione, anche, che ben prima della citazione fatta venerdì da
Romano Prodi è stata più volte usata nelle aule della
politica italiana. «Però - commenta il costituzionalista cattolico Stefano
Ceccanti - mi ha stupito il successivo salto logico di Prodi, quel riferimento a una possibile "dittatura del premier".
Piuttosto, avrebbe dovuto parlare del gigantesco caos che si creerebbe se passassero le riforme istituzionali del centrodestra».
Un'uscita politica, più che nel merito? «Direi un eccesso di propaganda
rispetto alla verità. Sembra che nel centrosinistra qualcuno, convinto di avere già la vittoria in tasca, cede agli umori più
spontanei del proprio elettorato invece di cercare di conquistare nuovi voti.
Eppure ci sarebbe un'autostrada di argomenti con cui spiegare agli italiani
perché quella riforma non sta in piedi. Sarebbe una
linea magari meno eccitante, ma più sobria». Qualche
esempio? «Prendiamo un aspetto del rapporto
centro-periferia come la scuola. Nel testo della maggioranza compare tra le
competenze di tutti: dello Stato, delle Regioni... creando così complicazioni e
forte aumento della conflittualità. Ma il caos
peggiore si avrebbe nell'iter delle leggi». Si riferisce al ruolo del Senato
federale? «Certamente, un Senato con il potere di bloccare
tutte le leggi. Oggi chi ha la maggioranza a Montecitorio ce l'ha con tutta probabilità anche a Palazzo Madama; la
riforma invece prevede data e sistema elettorali diversi per ciascuna Camera e
dunque un'altissima probabilità di maggioranza di segno contrario: il che
significa paralisi totale. Inoltre, anche se ci fossero le stesse maggioranze,
al Senato non sarebbe più possibile ricorrere alla fiducia». Aumenterebbe il
potere dei partiti minori? «In base al testo ci sarebbe un generale enorme
rafforzamento del loro potere di ricatto, perché si
prevede che, ferma la maggioranza a livello quantitativo, il premier possa
cambiare. E allora facciamo un esempio: una coalizione
ottiene il 53% dei consensi; arriva il momento di votare la Finanziaria, o un
altro provvedimento, e qualsiasi partito con il 3% più uno può minacciare di
far cadere non solo il governo, ma la legislatura». Augusto Barbera sostiene
che «il capo del governo in sostanza sarà una sorta di re travicello».
«Esattamente». Insomma, ha ragione Prodi a bocciare la
riforma? «Mancano le garanzie, i contrappesi; non si
riconoscono i diritti dell'opposizione; il premier è più debole...Prodi non è
stato troppo duro, ma ha sbagliato gli argomenti».
Daria Gorodisky
Corriere
della Sera di domenica 13 marzo 2005