La regione Lombardia è stata una delle prime regioni italiane a varare una misura di sostegno al diritto alla studio, consistente in un sussidio parziale alla famiglie utilizzatrici delle scuole private . Ma a vantaggio di chi? Grazie al generoso contributo della Fondazione Cariplo, e alla disponibilità dell’Assessorato alla Cultura della Regione Lombardia, abbiamo potuto analizzare alcuni dati relativi agli utilizzatori del buono scuola (ftp://ftp.iza.org/dps/dp1475.pdf).
I buoni
scuola, come ogni altro sussidio, producono un divario tra il prezzo pagato
dall’utilizzatore finale ed il prezzo riscosso dal fornitore. Questo produce un
vantaggio sia per gli utilizzatori che per i
fornitori: i primi ottengono il servizio desiderato ad un prezzo
inferiore,mentre i secondi incassano un ricavo superiore a quanto
ottenibile in assenza del sussidio. A parità di altre condizioni, un buono
dovrebbe produrre un aumento delle quantità consumate, in questo caso del
numero di iscritti alle scuole private. Questa
sembrerebbe essere la principale motivazione che ha
spinto il governo regionale a promuovere il buono scuola, nel tentativo di
ridurre il deflusso di iscrizioni registrato dalle scuole private alla fine
degli anni ’90. Da notare che questa motivazione prescinde
totalmente da una valutazione sulla qualità dell’istruzione fornita dalle
scuole private.
Compiere una
valutazione dell’impatto del sussidio concesso a chi
frequenta le scuole private non è semplice, in quanto manca a tutt’oggi una
anagrafe completa sia di tali scuole sia dei loro utilizzatori. I dati
disponibili presso l’Amministrazione Regionale si riferiscono soltanto a chi ha
fatto domanda per il buono scuola e che, così facendo, dichiara anche quanto paga di retta scolastica. A partire dall’
Variazioni percentuali – scuole private
secondarie del secondo ciclo –
Lombardia 2002/01-2001/00 – dati riferiti a
214 scuole secondarie
|
iscritti |
rette al netto dell’inflazione |
rette al netto di inflazione e buono scuola |
redditi delle famiglie |
insegnanti abilitati nelle scuole private |
scuole private secondarie |
|
|
|
|
|
licei confessionali |
2.27 |
0.58 |
-0.18 |
-2.15 |
0.29 |
licei non confessionali |
-4.33 |
1.58 |
0.77 |
-5.33 |
0.02 |
istituti tecnici confessionali |
-2.03 |
1.61 |
-1.53 |
2.54 |
-0.02 |
istituti tecnici non confessionali |
-5.17 |
2.33 |
-0.18 |
4.04 |
0.33 |
Totale |
-1.79 |
1.41 |
-0.48 |
-0.45 |
0.17 |
I nostri calcoli indicano che l’offerta di istruzione privata in Lombardia è molto più sensibile
alla variazione delle rette di quanto non sia la domanda di istruzione. Questo
significa che l’introduzione del buono scuola tende
più ad aumentare l’offerta di posti disponibili nelle scuole private che a
spingere le famiglie a scegliere di mandare i loro figli nelle stesse. Per
questo motivo sono le famiglie che si avvantaggiano maggiormente dell’esistenza
del sussidio.
Per essere
più precisi, le nostre stime indicano che il 17% del sussidio
è stato incamerato delle scuole, mentre il restante 83% è stato incassato dalle
famiglie. Questo significa che per ogni euro speso dalla Amministrazione
Regionale, solo 17 centesimi si sono tradotti in finanziamento alle scuole
private, mentre il restante è consistito in una redistribuzione a beneficio
delle famiglie. Poiché queste ultime sono in media più ricche,
questa redistribuzione ha avuto natura regressiva. Questo è quanto
accaduto nell’immediato: nel lungo periodo le nostre stime suggerirebbero
effetti più consistenti, in quanto la riduzione delle
rette scolastiche attuata grazie al buono scuola (pari al 25% del prezzo
originario) dovrebbe produrre un aumento delle iscrizioni nell’ordine del 10%,
contribuendo per questa via alle casse delle scuole private, ma pur sempre in
misura contenuta.
In sintesi, se l’obiettivo principale del buono scuola era quello di sostenere il settore privato nella fornitura di istruzione, lo strumento si è rivelato poco efficace. Nel primo anno di introduzione del buono solo il 38% degli iscritti ha fatto uso di questa misura, mentre tale percentuale è salita al 61% nel secondo anno. Il buono scuola è poco selettivo (ne beneficiano tutte le famiglie al di sotto di massimali di reddito molto elevati) e poco incisivo (l’abbattimento del 25% del costo può essere insufficiente per famiglie a reddito molto basso - fatto questo che ha condotto alla modifica nel secondo anno, con l’introduzione di una aliquota di sussidio pari al 50% per le famiglie a reddito più basso). Si è così compiuta un'operazione redistributiva all'inverso, regalando soldi del contribuente alle famiglie con redditi medio-alti, senza fornire sostegno effettivo alle scuole private. Se non fosse stato per il divieto costituzionale di sostenere l’istruzione privata con soldi pubblici, una politica più efficace (e meno costosa per l’erario) sarebbe stata quella di trasferire questi fondi direttamente alle scuole private. Ma questo avrebbe richiesto di valutarne l’effettiva qualità, in termini di preparazione offerta e di servizi erogati. Su cui è legittimo nutrire molti dubbi anche alla luce dell
'indagine Pisa.