L’EDITORIALE CHE MANCA

 

Il New England M. J. del 28 luglio ha pubblicato uno studio, condotto in collaborazione tra le facoltà di medicina dell’Università di Graz (Austria) e della Virginia University, sull’efficacia della Echinacea Angustifolia nelle infezioni da rhinovirus, il banale raffreddore.

Le conclusioni a cui perviene lo studio sono quelle che gli estratti di Echinacea, da soli o in combinazione, non hanno nessun effetto clinicamente rilevante.

Sullo stesso numero del Journal sono pubblicati due editoriali.

Il primo ha per titolo “Studying Herbal Remedies” e prendendo lo spunto dallo studio sull’Echinacea richiama l’attenzioone del lettore sul fatto che il mercato delle erbe medicinali è in espansione ma che esistono pochissimi, se non addirittura non esistono affatto, studi che ne abbiano sperimentato con metodi scientifici l’efficacia e stabilita l’utilità.

L’Echinacea angustifolia, vi si legge, conosciuta anche come “purple coneflower” “fiore rosso a forma di pigna), era un rimedio diffuso già tra i nativi americani (i pellirossa) che lo usavano per le malattie respiratorie (ne facevano infusi, impiastri, o addirittura lo fumavanno nella pipa).

Dopo di loro i coloni ne hanno diffuso l’uso ed è stato e viene ancora impiegato oltre che per il raffreddore e le malattie respiratorie per altre diverse condizioni come la stomatite, la dispepsia, il mal di pancia, il mal di denti e addirittura i morsi di serpente.

Dagli Stati Uniti l’Echinacea è stata esportata in Europa ed in Germania. All’inizio del 1900 il suo uso si è diffuso nei paesi anglosassoni, soprattutto come rimedio per le malattie respiratorie, ma anche come cicatrizzante e come anti-infettivo.

Tra il 1950 ed il 1991, riferisce l’editorialista, sono comparsi in letteratura più di 200 lavori, quasi tutti d piccole dimensioni, privi di crismi scientifici e tutti sponsorizzati dall’industria.

L’altro editoriale di cui dicevo, ha per titolo “Making Antimalarial Agents Avaible in Africa”.

Vi si legge che l’ “Africa Malaria Report 2003” preparato dall’Unicef dipinge per il continente africano un quadro tutt’altro che lusinghiero sul controllo della malaria.

Nonostante l’intensificarsi degli sforzi per il suo controllo il numero dei bambini che muoiono di malaria sta aumentando nell’Africa dell’Est ed in quella del Sud mentre si è ridotto assai di poco nell’Africa dell’Ovest.

Uno dei motivi del fallimento degli sforzi finora condotti è la ?imperturbabile avanzata” dei ceppi di plasmodio clorochina resistenti.

Questo proprio mentre una nuova classe di composti antimalarici si diffondono e sono ampiamente usati, e con successo, in Asia dove la resistenza alla clorochina è comparsa per prima già nel 1960. i nuovi rimedi sono estratti da una pianta, l’Artemisia Annua, che era conosciuta già da anni in Cina proprio per queste sue proprietà.

Ora Cina e Vietnam sono tra i maggiori produttori di artemidine (le sostanze estratte appunto dall’artemisia annua).

La diffusione di questi rimedi nel “mercato” africano è però assai modesta.

Il primo motivo di questo è il costo. Le artemidine costano infatti almeno 10 volte di più della clorochina che rimane il rimedio più usato e diffuso, ma purtroppo anche quello che diventa sempre meno efficace.

L’altro motivo è la preoccupazione dei “produttori” di artemidine di perdere, per l’emergenza di ceppi resistenti, un farmaco promettente. Così, su indicazioni delle maggiori autorità sanitarie mondiali le artemidine vengono attualmente impiegate (e vendute) in combinazione con almeno un altro farmaco antimalarico.

Si tenta infatti di preservarne l’efficacia proprio come si fa con i farmaci per l’Aids e la tubercolosi. Due farmaci efficaci macon differenti meccanismi di azione si proteggono l’un l’altro impedendo l’emergere di ceppi resistenti.

Questo (la vendita solo di prodotti in associazione), ha condotto a renderne meno disponibile l’accesso a questi farmaci in Africa.

Uno dei prodotti commerciali attualmente venduti e che contiene la terapia di combinazione (arthemether-lumefantrine) costa (senza o quasi margini di profitto) 2,40 dollari per un ciclo completo in un adulto mentre un ciclo di clorochina costa 10 centesimi di dollaro.

Chi ha pochi soldi compra la clochina, non le artemidine.

Per questo le artemidine non “decollano” nel mercato africano.

Dal 1999 i Naziotal Institutes of Health (NIH) hanno speso negli Usa 1500 miliardi di dollari per la ricerca sulla medicina alternativa.

Quasi la metà di queste risorse sono state utilizzate dal National Center for Complementary and Alternative Medicine (NCCAM) e per buona parte in ricerca sulla “erbe inutili”.

Il frutto di questa ricerca?

“No evidence of efficacy and little evidence of inefficacy”.

Mentre il mercato delle piante inutili è in crescita nei paesi ricchi, quello delle piante utili non cresce nei paesi poveri, e qui i bambini continuano a morire di malaria.

Qualcosa negli sforzi che le nazioni ricche stanno facendo per quelle povere evidentemente non funziona.

 Se buttiamo i soldi per quello che è inutile e non abbassiamo il prezzo di quello che invece è utile vuol forse dire che stiamo sbagliando politica (o che non siamo onesti).

Questo, sul New England, non è scritto.

E’ l’editoriale che mi sarei aspettato, e che invece manca.

 

Roberto Mora

 

Verona medica n. 2 giugno 2005

 

PRIMA PAGINA