I TROPPI SILENZI DELLA POLITICA
Le controversie
di schieramento politico sarebbero seguite da un uditorio maggiore, o più
attento, se fossero collegate a questioni sostanziali. Ma i protagonisti sulla
scena prediligono argomenti come le reciproche fedeltà personali e i rapporti
tra i loro partiti, senza concedere specifici ragguagli su temi d'interesse
generale.
Quali ragguagli? Per cominciare, dati
più attendibili o comprensibili sullo stato delle cose in Italia. Parlando a
Bruxelles, qualche tempo fa, il capo del governo dichiarava, sulle condizioni
della nostra economia, che «abbiamo un sommerso del 40 per cento» (Corriere, 17
giugno). Che cosa intendeva? Secondo un'indagine condotta dal Censis il
complessivo lavoro «irregolare» nel 2005 va stimato al 27,9 per cento (Repubblica,
21 luglio). Sarebbe gradito che le dispute interminabili e ripetitive, tra
partiti e schieramenti, fossero dedicate anche all'esame di simili questioni,
maggiori o minori.
Ancora nessuno poi, dal governo e
dall'opposizione, ha chiarito con cifre plausibili come si possa ridurre l'abnorme
debito pubblico. Sarà fastidioso ripeterlo, ma è così. Neanche si discute su
quali e quante opere pubbliche infrastrutturali, urgenti o di necessità
prioritaria, siano realizzate finora secondo il programma governativo. Per
finanziare sviluppo e lavori pubblici, ora si discute sulla convenienza
effettiva, sull'opportunità politica e sul modo di metter mano alla tassazione
delle rendite finanziarie. Nei partiti affiorano calcoli e pareri diversi o
aggrovigliati, ma non si pronunciano finora i maggiori protagonisti politici.
Nemmeno è prevedibile se l'eventuale operazione andrebbe a investire gli
scorridori di Borsa o anche i comuni risparmiatori. Questa «caccia alla
rendita», insomma, se ci sarà davvero, colpirà pochi o tanti?
Un argomento sempre d'interesse
generale, ma trascurato nei dibattiti politici, rimane la debole applicazione o
l'inefficienza delle norme che regolano gli scioperi nei trasporti pubblici,
anche se quella conflittualità semipermanente in Italia, chissà perché, non si
manifesta in Europa. Eppure nessun capopartito propone un rimedio, né si
pronuncia sui costi pubblici di simili condizioni al di là d'un generico e
svogliato balbettare parole di passivo rammarico. È così a destra come a
sinistra. E anche al centro, almeno quello più clientelare che liberale.
Ma la massima perplessità suscitano
le controversie ricorrenti sul fenomeno immigratorio dal Terzo Mondo, anzitutto
dall'Africa, questione dominante nei prossimi tempi per l'Europa e specialmente
per l'Italia. Quanti sono gli africani? 818 milioni, dinanzi ai 378 milioni di
europei dell'UE-15, o ai 453 dell'UE-25. Nessuno lo ricorda, o neanche lo sa.
Mentre l'attrazione verso l'Europa tende a propagarsi fra le moltitudini
erratiche dell'Africa sopra e sotto il Sahara, prevalgono tesi pregiudiziali e
ideologiche, fra le reciproche accuse di lassismo irresponsabile o di razzismo
intollerabile. C'è chi pretende la chiusura dell'Europa, ma non chiarisce come,
con quali mezzi. E c'è chi predica un'apertura illimitata, ma non si domanda
come, fino a quando, né quale sia il massimo di accoglienza sostenibile. Poco
discussa è l'ipotesi che sia possibile almeno ridurre il protezionismo agricolo
dell'UE, per importare dall'Africa prodotti più che braccianti. Ancora elusioni
e silenzi. Dov'è la politica?
Alberto
Ronchey