Fassino: dico sì a
flessibilità e tagli Irpef
ROMA -
Piero Fassino sta studiando i dati che gli hanno appena messo sulla scrivania.
«Legga qui: il 58% dei diciottenni ha votato per noi. Siamo in testa in tutte
le classi d'età, a eccezione degli over 65. Dei due
milioni di elettori passati da loro a noi, oltre la
metà sono donne. La parte più dinamica del Paese è con
noi: non a caso governiamo 18 delle 20 città più grandi. Berlusconi ha perso
tutte le elezioni degli ultimi quattro anni. E ha perso
credibilità sul suo terreno: 7 a 0 alle suppletive tre giorni dopo la
riduzione delle tasse; 11 a 2 alle regionali dopo l'annuncio di altri tagli».
D'accordo, segretario, siete stati bravi. Ma non c' è
il rischio che il centrosinistra appaia, o peggio rappresenti, un ritorno al
passato? Dire no ai tagli fiscali e alla mobilità non significa
forse più tasse e più rigidità? «Non saremo prigionieri del passato. Sappiamo
bene che dall'Italia viene una domanda di modernizzazione. Berlusconi l'ha
disattesa; ma questo non significa che la domanda non sia giusta. Noi la
dobbiamo soddisfare. Non pensiamo che il centrodestra sia una parentesi e si debba tornare al 2001 o addirittura al' 96 come modo di
governare. L'Italia è cambiata». Cambierete le norme sulla flessibilità del
lavoro? «Io, e chi conosce Torino lo sa, non ho mai avuto paura della
flessibilità; ma di una buona flessibilità, che non si
traduca in precarietà; e quindi accompagnata da ammortizzatori sociali, tutela
del reddito, garanzie previdenziali, percorsi di formazione». E le aliquote
Irpef? «Per Berlusconi la riduzione delle tasse è un
obiettivo fine a se stesso. Per noi può essere uno
strumento per la crescita economica, in una seconda fase. Nella prima
fase occorre sostenere il rilancio degli investimenti: nella ricerca, nella
scuola, nella conoscenza. E nelle grandi opere pubbliche; penso, ad esempio,
alla portualità». E il Ponte sullo Stretto caro a Berlusconi? «Non siamo
contrari in linea di principio, purché stia dentro il sistema. Se fine a se stesso,
come finora Berlusconi l'ha presentato, sarebbe solo un ponte molto costoso».
Ripristinerete la tassa di successione? «Siamo stati noi ad abolirla, per le
successioni fino a 750 milioni di lire per ogni erede. Una
cifra che oggi andrebbe rivalutata. Quanto ai grandi patrimoni, una
qualche forma di tassazione esiste nella Francia di Chirac e negli Usa di Bush,
così come in Spagna, Germania e Inghilterra, anche dopo i governi Aznar, Kohl e
Thatcher». Riprenderanno privatizzazioni e
liberalizzazioni? «La più grande quota di
privatizzazioni l'abbiamo fatta noi. Il centrodestra le ha fermate. L'Italia ha
bisogno al contempo di più mercato e più politiche pubbliche: privatizzando
municipalizzate e servizi di pubblica utilità, e liberalizzando gli ordini
professionali; e investendo di più in innovazione, sapere, infrastrutture». C'è
poi una questione di cultura politica. Biagio De Giovanni ha scritto che il
riformismo italiano ha perduto la sua chance con il fallimento di D'Alema, e
Prodi più che il riformismo incarna una riedizione del cattocomunismo, insieme con Bertinotti. «E' uno schema spazzato via da
queste elezioni. Nei mesi scorsi si era ipotizzato che
la nascita della federazione dell'Ulivo aprisse grandi spazi alla sinistra
radicale. Il voto dimostra il contrario. Evapora definitivamente la caricatura
maliziosa di "Prodinotti". La crescita contemporanea della lista
Uniti nell'Ulivo e dei Ds, là dove ci siamo presentati con il nostro simbolo,
dimostra che la nostra identità riformista e socialdemocratica è riconosciuta,
e non è incompatibile con lo spirito unitario». Questo significa che alle
politiche Ds e Margherita si presenteranno insieme
come alle europee? «Lo valuteremo, anche alla base delle eventuali modifiche
della legge elettorale. In ogni caso, il progetto di Uniti
nell'Ulivo si conferma giusto, con buona pace dei soliti soloni che dopo le
europee avevano considerato il 31,5% una sconfitta. Adesso l'
Ulivo supera il 34%, è in crescita dovunque. E' noto
che i Ds erano favorevoli a presentare la lista dell'Ulivo in tutte le regioni.
Il voto rafforza la domanda di unità e nessuno potrà
ignorarla». Quando Vendola vinse le primarie voi vi allarmaste
parecchio. «Io non mi sono mai preoccupato per il voto di Rifondazione. Solo politologi astratti potevano ipotizzare che questo
partito raccogliesse il 15%. La somma di Rifondazione, Verdi, Pdci conferma il
voto delle europee, e si attesta attorno al 10; mentre con la crescita dell'Ulivo
il timone riformista è più saldo. Da una parte si
conferma che le forze radicali non sono un rischio; dall'altra, la vittoria di
Vendola rafforza il loro profilo di governo». Crede che la coalizione
la seguirà anche in tema di politica estera? «Quando ho parlato di Bush e di Iraq, prima al congresso poi con un'intervista alla
Stampa, qualcuno mi ha rimproverato: "In Piemonte ci farai perdere
voti". Bene: il Piemonte è la regione in cui i Ds sono
cresciuti di più. Questo significa che la gente apprezza anche posizioni
difficili, quando sono vere. Altro che antiamericanismo a priori». Per la prima volta il centrosinistra è maggioranza. Che cosa chiedete a Berlusconi? «C' è il
rischio che un governo debole si traduca in una grave crisi di fiducia nel
Paese. Vede, se lei chiede agli italiani che opinione hanno dell'Italia,
9 su 10 le risponderanno: è un bel Paese. Hanno ragione.
Ma, come dice Ciampi, l'Italia è soprattutto un grande Paese.
Ma un grande Paese ha bisogno di un grande governo, che
è proprio quello che non c'è. Il centrosinistra deve tradurre subito la domanda
di cambiamento in un'iniziativa politica in 4 punti. Primo: radicale svolta
della politica economica, da avviare con una sessione straordinaria delle
Camere per definire misure contro la gelata della
crescita. Secondo: si interrompa la procedura seguita
fin qui per la revisione costituzionale, e si riapra una discussione in
Parlamento. Noi abbiamo le nostre proposte». Lei si è detto favorevole a
cambiare l'articolo 138. Questo significa che vi impegnate
a non fare le riforme senza un vasto consenso? «E' così. Le norme che regolano
la convivenza civile si cambiano con un consenso largo, di chi governa e di chi
si oppone. Occorre che vi si riconosca l'intero
Paese». Il terzo punto? «Si riapra il confronto sulla riorganizzazione
dell'ordinamento giudiziario. Quarto: si dia un segnale forte sulla Rai».
Veltroni dice: designiamo insieme un consiglio d'amministrazione degno, e noi
in caso di vittoria non lo cambieremo. «E' quel che ho detto
io al congresso ds. E' una dimostrazione del nostro senso dello Stato.
Quattro anni di berlusconismo hanno devastato l'informazione pubblica, la Rai è
stata messa al servizio della maggioranza di governo.
Dobbiamo costruire le condizioni affinché non accada più. Ci vogliono
personalità autonome nel cda; e si deve di comune accordo individuare, in base a criteri di capacità e di imparzialità, chi
presiede e chi dirige la Rai». Conferma che i Ds faranno
campagna per il sì al referendum sulla fecondazione assistita? Questo non vi
dividerà dagli alleati cattolici? «La fecondazione assistita
è un tema vero, che non riguarda un'élite ma milioni e milioni di coppie.
Una delle ragioni del crollo del centrodestra, in particolare
nell'elettorato femminile, è l'ambiguità su questo tema. I Ds faranno
proprio lo slogan del comitato per il sì: "Vota sì per un atto d'amore in più".
Agli incerti ricorderemo che si può votare in tre modi: c' è anche la scheda
bianca, che consente di astenersi votando e senza far mancare il quorum».
Segretario, i Ds sono più forti e uniti rispetto al congresso di Pesaro; ma
restano percorsi da rivalità destinate a complicare la chance che uno di voi guidi la coalizione. Nella sua autobiografia, ad esempio,
lei rimprovera a Veltroni di non averla aiutata a Pesaro, come
lei aveva fatto con lui nel '94. Poi c' è la questione dei fassiniani
che prendono il posto dei dalemiani... «Intanto Pesaro è lontana, e io sono stato eletto due mesi fa dall'80%
degli iscritti. Noi siamo un partito di uomini
liberi. Veltroni, D'Alema, Fassino e altri compagni hanno la loro storia e la
loro personalità. Possono dividersi su questioni politiche. Ma noi vogliamo vincere le elezioni del 2006, e non ci divideremo
mai su questioni personali. Il resto sono pettegolezzi e invenzioni
giornalistiche».
Aldo
Cazzullo
Corriere
della Sera di giovedì 7 aprile 2005
Cofferati: Monti ministro? Lo stimo L' Unione sbaglia se si affida a Bush
Sindaco Cofferati, la sinistra
radicale esce ridimensionata dalle elezioni. Prodi dice di non essere mai stato
dossettiano e flirta ricambiato con Monti. Fassino
annuncia liberalizzazioni, privatizzazioni,
flessibilità, dialogo con Bush. E la sinistra dov'è? « La
sinistra, o meglio il centrosinistra, è al suo massimo storico. Non c' è mai stato un risultato elettorale così inequivoco e
uniforme, neppure a metà degli anni Settanta ». Però
non chiede le elezioni anticipate. « E fa bene. La questione
è tutta interna al centrodestra. An e Udc chiedono di andare alle urne subito, ma non indicano cosa farebbero in caso
contrario: uscirebbero dal governo? Voterebbero contro la
riforma costituzionale? Fatta così, la loro è una
dichiarazione di facciata, un'altra ipotesi senza contenuto delle forze del
centrodestra ». Quindi il centrosinistra deve
restare fermo? « No. La situazione potrebbe precipitare, anche contro la volontà dei protagonisti. Potremmo ritrovarci al voto in autunno. In ogni caso, il centrosinistra deve
essere pronto a governare. Deve lavorare rapidamente al progetto e al
programma: individuare le idee guida, che delineano le
ragioni dello stare insieme e la nostra idea dell' Italia, e le cose da fare »
. Fassino le ha già indicate: flessibilità buona,
privatizzazioni, liberalizzazioni. « Il centrodestra ha alternato
annunci di liberismo senza seguito e richieste antistoriche di
protezionismo. L' esempio più evidente è la vicenda della
banche. La via delle privatizzazioni è stata battuta
negli ultimi due decenni, con un errore: non farle precedere dalle
liberalizzazioni. La parola non mi fa paura: i monopoli, pubblici o
privati che siano, sono un danno che si scarica in
primo luogo sui più deboli; mentre un mercato regolato, una concorrenza
soggetta a regole, frena la corsa dei prezzi ». Ma cosa resta da privatizzare?
Le municipalizzate, dice il segretario ds. « Non sono d' accordo.
La soluzione migliore per le municipalizzate non è
privatizzarle ma consentire l'ingresso dei privati nel capitale, come si è
fatto qui a Bologna. Dove le aziende municipali si
sono accorpate con quelle romagnole e di Ferrara ora forse anche di Modena ,
per offrire servizi più efficaci mantenendo il controllo pubblico ». E le
tasse? « Mi pare ragionevole pensare a una riduzione
della pressione fiscale in maniera contenuta e progressiva, con elementi di
equità interna. L'opposto dell' ipotesi di Berlusconi,
che prescinde dalle condizioni generali e agisce solo sulle fasce alte di
reddito ». Al di là delle cose da fare, c'è una
questione di cultura politica. Ad esempio il rapporto con gli Stati Uniti. D'
Alema riconosce un elemento di fascino nel pensiero
neoconservatore. Prodi accoglie Bush con un «welcome Mr President». «Non vedo
in Bush alcuna traccia di quegli auspicabili cambiamenti che giustificherebbero
un atteggiamento diverso da parte del centrosinistra. Anche perché non ci sono
novità significative nella gestione della crisi in
Medio Oriente». E le elezioni irachene? « Sono state
importanti. Ma in Iraq si sprofonda sempre più in una palude senza che si intravedano sbocchi. No, la priorità
della politica estera del centrosinistra dev'essere l'Europa. Lavorare a
ricostruire un orientamento comune europeo, che è il solo modo di non essere subalterni nelle relazioni atlantiche; e nel contempo è
indispensabile rafforzare le politiche di cooperazione per favorire i processi
di pace ». Come spiega il risultato deludente di Rifondazione? « Non mi pare
deludente. Definisce il peso della sinistra più radicale. Con una novità: la
vittoria di Vendola riconosce il gruppo dirigente di Rifondazione come forza di
governo. Mi pare un segnale positivo,
anche se crea difficoltà alle varie anime del partito » . Resta
il fatto che il confronto per l'egemonia annunciato da Bertinotti appare più
che mai impari. E la spinta dei movimenti
sembra essersi fermata. Dov'è la sinistra del centrosinistra? « I movimenti per
loro natura hanno una vita carsica. Emergono
con forza attorno a grandi temi, poi conoscono momenti di minore visibilità.
Ma sarebbe un grave errore per il centrosinistra non guardare ai movimenti e
alle associazioni con interesse, e non coinvolgerli
nella costruzione del progetto e, un domani, nell'attività di governo ». Sta
dicendo che il confronto tra riformisti e sinistra radicale non è risolto ma
destinato a ripresentarsi? « I movimenti rappresentano una nuova forma di
rappresentanza politica, cui continuo a credere. Ma è
sbagliato pensare in termini di noi e loro, di competizione per l'egemonia.
In mezzo all'endìadi riformisti radicali c' è un grande spazio. La ricerca di un equilibrio coinvolge le forze più dinamiche della
nostra società e risponde alla richiesta degli elettori, che facendo crescere
sia la lista unitaria sia la coalizione hanno espresso una domanda di unità.
Sono convinto che non sia impossibile trovare l'equilibrio attorno alle idee di equità e giustizia, che sono alternative alla
filantropia e al conservatorismo compassionevole ». Monti è indicato
come ministro in pectore dell' Economia. Lei quale giudizio ne dà? « E'
un liberale che ha ben presente il valore della protezione rappresentato dal
welfare e l' importanza della coesione sociale, anche
come fattore di competitività. Tra i criteri in base a
cui le multinazionali decidono un investimento ormai c'è anche la qualità del
vivere di una comunità; così si spiega ad esempio perché Bologna e l' Emilia
risentono meno della crisi. E queste cose Monti le sa bene. Tra il modello di
competizione basato solo sulla riduzione dei costi e il modello incentrato
sulla coesione sociale, in cui ci sono limiti invalicabili rappresentati dai
diritti, credo che Monti preferisca il secondo, come
lo preferisco io ». Un'ultima domanda, non al sindaco ma al
melomane. Che idea si è fatto della vicenda
della Scala? Valeva la pena perdere Muti per una questione sindacale? « Non mi
pare che il sindacato ce l'avesse con Muti; semmai con
Meli. Albertini prima ha appoggiato Fontana, poi l'ha
indotto ad andarsene. Ma non è riuscito a tenersi Muti. E ora
propone alla rappresentanza degli orchestrali di contribuire a scegliere il
direttore artistico, che non è loro compito. Ora il teatro è in crisi,
con grave danno per Milano. Ma la crisi della Scala sta nascondendo le
difficoltà di tutti gli altri teatri lirici. Il modello delle fondazioni sta
rivelando tutti i suoi limiti, e ne andrebbero
ripensati interi capitoli » .
Aldo Cazzullo
Corriere della Sera di mercoledì 13 aprile 2005