Quei tre errori (anzi furbizie)

 

Questa mia riflessione vuole esprimere il disagio che mi ha accompagnato per tutta la durata della campagna referendaria. Un disagio che a volte mi ha fortemente tentato all'esternazione polemica, tradendo l'impegno a star zitto che tre mesi fa avevo espresso anche su queste colonne; un disagio causato dall'accavallarsi di posizioni strumentalmente faziose, nel proporre come verità assolute posizioni parziali e di improbabile verifica; un disagio sconfortato dal constatare che persone sempre stimate hanno scritto, forzando i toni, termini e parole di cui fare l'elenco mi umilierebbe. Se qualcuno voleva una zuffa becera, ce l' ha imposta. Mi sono in questo periodo spesso domandato se un tale disagio fosse da attribuire alla propensione al non protagonismo che accompagna il mio sereno invecchiare; o se fosse invece da attribuire a una regressione psichica verso il protagonismo a tutti i costi che ha colpito la reverenda classe dei nostri opinion makers, politici, religiosi, giornalisti, scienziati che fossero. Naturalmente è intuitivo (e da perdonare) che io sia portato a dar le colpe agli altri e non a me; ma se guardo con più freddezza a quanto è successo credo che il calor bianco cui ci si è gioiosamente lasciati andare è attribuibile a tre errori/ furbizie delle tre grandi parti in causa. C'è stato anzitutto un errore/ furbizia della leadership referendaria, che ha posto agli elettori non un quesito secco e monotematico ma un caleidoscopio di referendum, su otto temi di diversa natura: sul valore filosofico, teologico, biologico dell'embrione; sulla salute e sulla dignità delle donne; sul primato del soggettivo individuale diritto ad avere comunque un figlio anche senza sapere chi gli è padre; sulla libertà della scienza e della ricerca; sulla speranza di poter, domani, combattere malattie terrorizzanti (dal Parkinson all'Alzheimer); sulla possibilità di una messa in dubbio della legge sull'aborto, sul ruolo più o meno invasivo delle autorità ecclesiastiche; sul valore e sulla legittimità etica e giuridica dell' astensione. Non so se queste multiple motivazioni siano state una furbizia volta a fare somma di chiamate alla mobilitazione o se sia stato un errore, non coerente con il significato monotematico e secco (sì o no, come è avvenuto in Francia per la Costituzione europea) di ogni seria consultazione referendaria. Ma furbizia o errore che sia stato, l'effetto immancabile è stata la moltiplicazione per otto della carica polemica delle prime linee degli opposti schieramenti. Il secondo errore/ furbizia è stato quello degli antireferendari, specialmente delle autorità ecclesiastiche. So che all'interno di quest'ultime ci furono reazioni negative quando all'inizio della vicenda io scrissi «hanno abboccato»; ma forse oggi esse potrebbero convenire che la scelta di schierarsi, sia pure con l'astensione, ha regalato ai referendari un facile nemico e una insperata carta polemica (la difesa dell'autonomia dello Stato e della società civile) senza la quale avrebbero dovuto faticare non poco a montare l'opinione su quesiti astrusi e avrebbero avuto ancor meno votanti. Anche qui è difficile discernere quanto ci sia stato di errore o di furbizia; ma quel che è certo è che la radicalizzazione su questo versante ha creato la maggiore dose di calor bianco ed una importante frattura sociale: non sarà facile dimenticare le offese reciproche, non sarà facile riprendere una rispettosa dialettica fra laici e cattolici, che sembrava cosa ormai acquisita in questa società. Il terzo errore/ furbizia è stato quello dei mezzi di comunicazione di massa e specialmente della carta stampata. Sono stati parte in causa ed hanno fatto del referendum una loro battaglia, un loro punto d'onore, un'occasione di radicalità culturale, una sfida a chi vinceva l'evento. E si sono trovati, se non volevano che l' evento li smentisse, ad alzare i toni, a concedersi paginate illeggibili e non lette, a reiterare gli interventi (con collaboratori chiamati quattro volte a scrivere le stesse cose), a forzare i titoli, a essere più movimentisti che facitori d'opinione. Tanti titoli roboanti o velenosi denotano errori o furbizia del convincimento collettivo? Non lo so, ma certo hanno stressato l'elettore, portandolo a sentirsi solo, con il proprio insoddisfatto bisogno di minimale ragionevolezza. Da stasera avremo qualche scarica di adrenalina in chi ha vinto e in chi ha perso. Ma dopo la nostra testa, pesante dopo la sbornia emotiva, dovrà tornare a ragionare: non solo sulla sostanza della legge 40, cui comunque si dovrà rimetter mano (io avrei aspettato la sua sicura sfrondatura da parte della Corte Costituzionale, senza gli urlati sfracelli di questi mesi?); ma anche su un collettivo esame di coscienza sui tre errori/ furbizia di cui sopra. Con la sperabile intenzione di non commetterne più in avvenire.

 

Giuseppe De Rita

 

Corriere della Sera del 13 giugno 2005

 

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