LA POLITICA DEL CARDINALE

 

   Prima con il Papa polacco, poi con il tedesco, è toccata in sorte al cardinale Camillo Ruini la missione o l’occasione di massimizzare l’influenza confessionale sulla società italiana e anche su diversi aspetti della sua politica. In circostante propizie, così pare, al compito dell’eminente porporato vicario del Papa nella diocesi di Roma e guida della Conferenza episcopale italiana. La dispersione della grande Dc poco dopo l’ascesa di Camillo Ruini, 1991, infatti non ha menomato la capacità di pressione della gerarchia ecclesiastica per ogni suo interesse rispetto allo Stato. Tutt’altro. La parola dei vescovi non è solo decisiva spesso nella coalizione maggioritaria del centrodestra, ma influente su considerevoli tendenze del centrosinistra.

   Pochi esempi, lo Stato ha concesso ai docenti cattolici di religione l’inquadramento nei ruoli di tutte le scuole pubbliche, mentre ha elargito sussidi alle scuole materne private quasi sempre confessionali. E rimane in vigore quella spartizione dell’8 per mille sul gettito Irpef, che ha ceduto alle finanze vaticane consistenti vantaggi. Oltre alle quote così destinate dai contribuenti, vengono in parte devolute alla Chiesa quelle dei molti che non indicano nessuna scelta. A tale titolo, come segnala il senatore Stefano Passigli, nel 2004 il Vaticano ha ricevuto 936 milioni di euro. Non si tratta sono di benefici finanziari, questi presuppongono e comportano potere.

   Negli anni di preparazione del Giubileo, era forse inevitabile che i rapporti tra Chiesa e Stato venissero alterati. Esigenti, e innumerevoli, furono infatti le richieste sia della Curia che della Cei. Puntuali e onerose furono sempre le risposte di Palazzo Chigi, che anzi concesse oblazioni straordinarie come il contributo di fondi pubblici al monumentale parcheggio scavato in area extraterritoriale appartenente al Vaticano. Anche il Campidoglio, pressato dalle sollecitazioni, fu zelante nel soddisfare qualsiasi attesa.

   Sua Eminenza, dopo quelle prove, ha operato con perizia politica versatile, benché spregiudicata. Da ultimo, dinanzi al referendum sulla legge 40/2004 che limita la procreazione assistita, non ha solo avversato l’abrogazione dei vincoli sanciti da norme affini alla dottrina bioetica della Chiesa con richiami ai fedeli e ai valori cattolici. E’ intervenuto nella vertenza con l’appello all’astensionismo, un espediente per inficiare al massimo la votazione. Poiché nessun referendum è valido se i votanti non raggiungono la metà più uno degli aventi diritto, e poiché l’astensione dai più recenti voti referendari fu sempre molto elevato, il boicottaggio era di facile calcolo e successo. Ma nell’ambito di quella strategia si deformava il carattere della consultazione, sommando ai già tanto complessi e opinabili quesiti bioetici dispute inevitabili sui rapporti su Stato e Chiesa. Era in atto un’operazione politica, degna del famoso e temerario cardinale de Retz. Altro che don Sturzo.

   Il boicottaggio è ben riuscito. E poi? Mentre affiora un tendenziale neoclericalismo, per i laicisti sarà da evitare il ricorso ad ogni anticlericalismo sia paleo sia neo. Una tensione conflittuale tra Chiesa e Stato, nelle condizioni dell’Italia, non è certo auspicabile. Ma si ripropone quell’essenziale questione di principio, che nessuno dovrebbe sottovalutare. E’ da riconoscere alla Chiesa il pieno diritto di raccomandare i suoi precetti ai credenti e praticanti, ma senza dettami da imporre agli altri, manovre propriamente politiche, pretese d’inflluenza esorbitante sulla legislazione dello Stato. Troppo semplice? No, semplice.

 

Alberto Ronchey

 

Corriere della Sera di giovedì 16 giugno 2005

 

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