GRILLI
PARLANTI
Non
perdono occasione per sparare a zero contro le misure fiscali del governo e
accusano Berlusconi di aver varato provvedimenti a
suo uso e consumo. Eppure mentre in pubblico
polemizzano, in privato approfittano a piene mani delle agevolazioni fiscali.
Per non parlare dei condoni.
La
sinistra arriccia il naso ogni volta che sente parlare di sanatoria
ma appena scattano i termini per mettersi a posto con il fisco ecco che
è tutta una corsa a rifarsi la verginità fiscale. Se
la sinistra potesse dovrebbe dire grazie a Berlusconi
che ha fatto risparmiare diversi milioni, lo direbbe volentieri; e in privato
forse lo dice. Ma vediamo qualche esempio illustre di
pubblica virtù e vizi privati. Per il fustigatore della
morale Beppe Grillo, ad esempio, il condono è sempre stato un vero tabù.
Per il Beppe Grillo comico e tribuno di piazza,
naturalmente. Non per i Grillo imprenditore e immobiliarista.
Perché in quel caso passava in secondo piano l’opinione dei suoi
blogger o qualche testo di piazza pronunciato con
parole troppo avventate. E Giuseppe Grillo detto Beppe
insieme al fratello Andrea quel condono, anzi l’articolo 9 della legge sul
condono fiscale di Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti, proprio la norma sul condono tombale, l’hanno
utilizzata con grande sapienza. Non una, ma due volte, perché mentre in parlamento impazzavano le
polemiche sulla riapertura dei termini per prorogare a tutto il 2002 la grazia
fiscale già concessa per il periodo 1997-2001, i Grillo risfruttavano
2004 della Gestimar, che alla fine
paga anche un sacco di tasse, più del 60 per cento sul piccolo utile realizzato.
In questo caso ben diversamente dalle holding di Adriano
Celentano e di Roberto Benigni, come raccontato in
questi giorni da Il Tempo. Ma era stato proprio Beppe
Grillo, non Celentano o Benigni a tuonare contro i
condoni nel giugno
461
milioni di euro, riportato nello stato patrimoniale
della società come debito. Che dire poi dei due moralisti Celentano e Benigni veri e propri «miracolati» dal fisco
dell’epoca berlusconiana. Benigni paga il
4,5%, Celentano il 14,92%. In comune i due hanno non
solo i record d’ ascolto, ma anche altro:
commercialista con i fiocchi, e la capacità di aggirarsi come fulmini fra
codici e codicilli fiscali emessi durante il «regime» di Silvio Berlusconi. Basta dare un'occhiata
ai bilanci delle società cui i due showman a tutto campo hanno affidato le proprie
fortune professionali. Se il Clan Celentano ha goduto di una pressione fiscale del 14,92%, nei giorni
scorsi, Benigni e la moglie si sono visti portare via dal fisco appena il 4,49%
dei sudatissimi guadagni.
Il
Molleggiato sembra proprio aver fatto scuola. Non è stato
infatti solo lui a sfruttare le possibilità offerte dalla legge
approvata dal governo di centrodestra sulle plusvalenze per versare meno tasse
al fisco. Nei bilanci di Celentano e del suo gruppo
si scopre che il conduttore di Rockpolitik in tre
anni ha consegnato all'Erario appena il 14,92% delle somme guadagnate. Gli anni
che sono stati presi in esame da Il Tempo sono quelli
dei bilanci depositati presso il registro della Camera di commercio di Milano:
2002, 2003 e 2004, quest'ultimo approvato
dall'assemblea del 27 maggio 2005, poco dopo la prima firma del contratto per Rockpolitik. Nel triennio di regime la società dei Celentano ha incassato come fatturato 12 milioni e 623 mila
euro.
L'utile
prima delle imposte è stato di 4 milioni e 787 mila
euro. Le tasse finali sono ammontate in tutto a 714.590 euro, equivalenti
appunto al 14,92 per cento del guadagno realizzato. Per quanto riguarda i
bilanci della Melampo cinematografica srl (la società di produzione dei film di Benigni) negli
anni 2001-2004, ci sono giri di affari di tutto
rispetto, e utili di conseguenza (salvo nel 2003). Perché in
quel periodo, che parte ancora con lo sfruttamento de «La vita è bella»,
passa attraverso la maxiproduzione di «Pinocchio», e approda a «La tigre e la neve»,
il fatturato dei Benigni ha sfondato il tetto dei cento milioni di euro. I ricavi complessivi nell'era berlusconiana
sono stati infatti di circa 107 milioni di euro, e
l'utile, è ammontato comunque a 10,2 milioni di euro, qualcosa come venti
miliardi di vecchie lire. Secondo le relazioni di bilancio firmate dal cognato di Benigni, Gianluigi Braschi
(fratello di Nicoletta), al fisco nello stesso periodo sono stati versati in
tutto 458.535 euro, pari appunto al 4,49%. I Celentano
e i Benigni nel loro piccolo, quindi, non hanno avuto comportamenti fiscali
diversi dai Ricucci, dai Coppola
e dagli Statuto. Eppure sono diventati bandiere
viventi del centro-sinistra.
Il Tempo di martedì 22 novembre 2005