Soru e il conflitto d' interessi
Il governatore sardo è anche primo
azionista di Tiscali.
Tre saggi per le
norme, restano le ambiguità
Il
conflitto d'interessi, che insorge quando un grande imprenditore diventa capo
del governo, difficilmente potrà essere risolto con un taglio
di spada. La legge Frattini, promulgata il 20 luglio 2004, non ha obbligato
Silvio Berlusconi a vendere le azioni Mediaset o Mondadori. Ma anche il
centrosinistra, che durante gli anni del governo dell'Ulivo non era riuscito a
varare alcuna norma in materia, ora tende comunque a
rispettare il primato costituzionale della proprietà privata. La novità sta
maturando in Sardegna, dove la Regione è retta da una giunta di centrosinistra
presieduta da Renato Soru, fondatore e tuttora
azionista di controllo con il 29,9% di Tiscali, la società telefonica che fu
regina del Nuovo mercato. È una svolta che potrà esercitare una notevole
influenza non foss'altro perché il caso Soru è il più
rilevante nel centrosinistra, e anche perché il disegno di legge è stato
redatto con la consulenza di tre saggi. Tra i tre saggi spicca
il professor Guido Rossi, ex presidente della Consob, padre della legge
Antitrust e, più ancora, radicale censore dei conflitti d'interesse in
fortunate pubblicazioni come «Il conflitto epidemico». Secondo il progetto
sardo, approvato dalla giunta e ancora da discutere in assemblea, non possono rivestire la carica di presidente, assessore o
consigliere regionale coloro i quali abbiano, direttamente o indirettamente, la
proprietà o anche solo il controllo di società quotate in mercati regolamentati
o un'influenza rilevante in società che possiedano una o più reti televisive o
uno o più quotidiani e periodici a diffusione nazionale o regionale. Non possono,
salva la stipula di un «negozio fiduciario» che
attribuisca tutti i poteri e i privilegi della partecipazione a un fiduciario
che tutto potrà fare, ovviamente nell'interesse del fiduciante, tranne vendere
o ipotecare le azioni ricevute. La nomina del fiduciario è
sottoposta all'approvazione dell'Autorità regionale garante della trasparenza e
dell'etica pubblica, formata da tre persone elette in modo tale da garantire
un rappresentante all'opposizione. E' un modello, questo, ispirato alla
legislazione canadese che si rese necessaria quando,
nel 1994, il costruttore di navi e armatore Paul Martin, attuale premier,
divenne ministro delle Finanze. Secondo la legge nazionale, invece, il politico
imprenditore non deve modificare nulla nella disponibilità della sua proprietà,
salvo rinunciare alle cariche amministrative. I suoi atti di governo
saranno sottoposti all'Antitrust, i cui membri sono nominati dai presidenti
delle Camere espressione della sola maggioranza parlamentare. Le sanzioni sono
prevalentemente reputazionali. L'Antitrust segnala al Parlamento le decisioni
assunte in conflitto d'interessi e alla magistratura eventuali abusi d'ufficio. L'Autorità regionale infligge pubblica censura e
reprimen da oltre a far versare alle casse regionali le somme che siano state indebitamente guadagnate. Le regole
sarde appaiono più stringenti di quelle generali. Ma alla fine, a Roma come a
Cagliari, l' uomo d'affari governante non può
dimenticare di essere azionista eccellente di Mediaset piuttosto che di
Tiscali, e come tale sa sempre che cosa avvantaggia e che cosa danneggia la
«sua» azienda. Pur astenendosi direttamente dalle votazioni in omaggio al galateo,
può sempre influenzare le decisioni dei colleghi di governo e di giunta nonché quelle dei soci di maggioranza. Si può fare
altrimenti? La soluzione del fiduciario - o del blind trust - funziona se vengono trasferiti meri titoli negoziabili. Ma i capitalisti
italiani sono quasi sempre «padroni» . E allora è
arduo superare le ambiguità. La via d'uscita ideale sarebbe la vendita della
proprietà generatrice del conflitto, ma questa opzione
non può diventare un obbligo di legge perché, come sottolinea anche la
relazione di accompagnamento al disegno di legge della giunta Soru, sarebbe in
contrasto con la Costituzione. La classe politica, il centrosinistra in
particolare, ritorna così davanti al vecchio bivio: o delegare agli elettori
ogni decisione sui candidati in conflitto d'interessi, puntando su quella che
Rossi definisce la «cultura della vergogna», oppure riprendere e approfondire a
bocce ferme il principio dell'ineleggibilità di chi si trovi in conflitto d'interessi
arrivando, come suggerì a suo tempo Giuseppe Tesauro, a
una legge costituzionale.
Massimo Mucchetti