I bambini che non
avevano il diritto di nascere
Il programma eugenetico Usa fece 150 mila
vittime e fu preso a modello dai nazisti
Nell'immediato
dopoguerra, quando si cominciarono a conoscere gli orrori della politica
razziale nazista, alcuni grandi medici e biologi negli Stati Uniti si sentirono
in imbarazzo. E corsero ai ripari. Nel 1946, un articolo sulla storia della
Società eugenetica americana ignorava totalmente i rapporti con la Germania, in
particolare quelli avuti dopo l'ascesa di Hitler. In realtà gli scienziati
tedeschi negli anni Venti e soprattutto nei Trenta avevano dichiarato
apertamente il loro debito verso il movimento scientifico sviluppatosi negli
Usa che aveva dato frutti quali la legge per la
sterilizzazione nello Iowa, bestseller scientifici come La famiglia Kallikak in
cui Henry Goddard dimostrava l'ereditarietà della debolezza mentale, e un
programma di scuole statali che prevedeva la reclusione dei bambini ritardati
mentali. L'imbarazzo della comunità scientifica americana era più che
comprensibile non solo per i disastri compiuti in nome della scienza, ma anche
perché molti programmi continuavano a essere perseguiti
e difesi in nome di una ideologia progressista, che aveva come obiettivo il
miglioramento dell'umanità. Questo capitolo ancora poco conosciuto di storia
del Novecento è raccontato in pagine drammatiche e appassionanti nel saggio La rivolta dei figli dello Stato (Fandango) di Michael D'Antonio,
giornalista italoamericano che per una serie di servizi sul Newsday ha vinto il
premio Pulitzer. Il libro di D'Antonio, nonostante la
premessa, non è un saggio di storia sociale né un pamphlet scientifico.
E' un'inchiesta condotta soprattutto attraverso la voce dei protagonisti,
bambini e bambine del tutto normali che in nome di un'ideologia
pseudoscientifica furono rinchiusi nelle scuole statali non perché gravemente
malati di mente o socialmente pericolosi, ma semplicemente perché non erano
considerati abbastanza intelligenti per far parte della società americana. D'Antonio
ci racconta il dramma di migliaia di uomini e donne,
150 mila internati, oltre sessantamila sterilizzati, un numero imprecisato sottoposto
ai più svariati esperimenti scientifici compresi elettroshock e lobotomia,
attraverso il caso di Frederick Boyce e dell'istituto statale di Boston, il
Fernald, nel quale questo bambino fu rinchiuso nel 1949, quando aveva sette
anni. La colpa di Fred era di essere nato in una
famiglia con gravi problemi, la madre alcolista il padre suicida, e di aver
dato risposte insufficienti ai test per il Quoziente intellettivo basati su un
metodo superato, che portava il nome degli scienziati Binet e Terman. L'
assurdo è che i dubbi sulla validità dell'eugenetica come scienza erano sorti già prima della fine della guerra, biologi e
giornalisti del livello di Walter Lippmann avevano dato origine a un forte
movimento di contestazione, ma come ben spiega l'autore l’ideologia scientifica
che si era radicata nei primi decenni del secolo aveva dato frutti consistenti.
Lo stesso presidente Theodore Roosevelt, che voleva
gli americani razza di «buoni fecondatori e ottimi combattenti», ne era stato
influenzato. Fra gli anni Venti e Quaranta furono una trentina gli Stati della
Federazione coinvolti in programmi di eugenetica.
Erano molto diffuse le cosiddette cliniche viaggianti che sostavano davanti
alle scuole per sottoporre i bambini ai test per misurare il Quoziente
intellettivo e scegliere di conseguenza coloro che non erano
degni di riprodursi. Goddard, l'autore del saggio tradotto nel 1930 in
Germania, affermava che «i deboli di mente erano più capaci degli
imbecilli di Binet. Alcuni raggiungevano un punteggio
di 70 al test di QI. Poiché la loro deficienza era lieve,
potevano facilmente sfuggire alle autorità, aumentando il rischio che si
riproducessero». Freddie era inserito in questa
categoria di «quasi normali» considerata addirittura più pericolosa. Ma
il suo dramma, e la storia delle altre migliaia di persone internate al Fernald
di Boston e negli altri istituti simili, sarebbe passato
sotto silenzio se agli inizi degli anni Novanta non fosse scoppiato lo
scandalo per gli esperimenti scientifici condotti abusivamente sui bambini
internati. Al disvelamento della verità contribuì non poco l'impegno del
senatore Edward Kennedy, che aveva vissuto in famiglia il dramma della
lobotomia cui era stata sottoposta la sorella Rosemary e le scuse
presentate dal presidente Clinton a tutte quelle persone che avevano dovuto
subire nel periodo della Guerra Fredda un programma per sperimentare alimenti
arricchiti con sostanze radioattive. Tra i finanziatori di questo programma
scientifico l'Università di Harvard e altre importanti istituzioni che avevano
individuato nei ragazzi della Fernald la comunità ideale per ottenere risultati certi. I bambini della Fernald avevano tutto il
tempo a disposizione, per loro non era infatti previsto alcun tipo di istruzione, bastava una lettera ai genitori o ai tutori
statali per ottenere il facile consenso all'esperimento. E per di più i bambini
erano felici di entrare a far parte del «Club della scienza», che prevedeva per
i partecipanti ingresso gratuito a qualche partita di football e altri
privilegi. Il più grande dei quali era l'interruzione di una
routine fatta di lunghe ore passate a sedere su una panchina. Una quotidianità
scandita dai ritmi di tutte le istituzioni totali, la sveglia in camerata, i
pranzi in refezione, e da violenze continue ad opera
di sorveglianti che arrivavano sino all'abuso sessuale. Tanto nessuno ascoltava il lamento di bambini scaricati dalle famiglie.
Anzi, se protestavano era facile che finissero nel
famigerato reparto 22, un'ala dell'Istituto dove venivano reclusi i più
difficili e dove in gran segreto a volte si praticavano elettroshock e lobotomia.
Il racconto di Michael D'Antonio non è soltanto la descrizione di un orrore quotidiano ma la storia di una presa di
coscienza collettiva. Fred Boyle e i suoi compagni classificati come «idioti»,
condannati a una vita senza istruzione, anche grazie
ai contatti con volontari sensibili e personale sempre più preparato, riescono
a dimostrare, innanzitutto a se stessi, di non essere ritardati o «deboli di
mente» come recitava l'iscrizione all'ingresso del severo istituto in mattoni
rossi nel quale erano reclusi da anni, ma di essere semplicemente ragazzi che
avevano avuto grandi difficoltà. Una conquista fatta di piccoli passi, di arretramenti, fughe, infine di rivolte, come quella
scoppiata alla fine degli anni Cinquanta nel reparto 22, che portò a un
progressivo e radicale cambiamento dell'istituto. Il lungo epilogo di questa
storia cominciò nei primi anni Novanta con alcune inchieste giornalistiche e un
processo che stabilì un risarcimento di cinquantamila
dollari ai tenaci ex internati che avevano avuto il coraggio di uscire allo
scoperto. La conclusione avvenne nel 2004 con la decisione di abbattere l'enorme
edificio alla periferia di Boston, che era stato il simbolo più significativo e terribile del movimento eugenetico
americano.
Dino Messina