Dal no nascerà l’Europa
Bisogna fare attenzione alle prime impressioni, specialmente quando si tratta del dibattito politico europeo. Certo l’opinione pubblica francese e quella olandese hanno assestato un duro colpo alla prospettiva di una Costituzione impegnativa per tutta l’Europa e hanno messo in dubbio il futuro del sogno europeo. Ma quello francese e olandese sulla Costituzione è stato un voto complicato, come spesso accade nelle questioni di politica europea. E’ chiaro che l’estrema destra è riuscita a mobilitare il proprio elettorato e a suscitare sentimenti nazionalistici e anti-immigrazione, sostenendo che avere un’Europa unita significa aprire le porte alla mano d’opera straniera a basso costo, nonché incoraggiare orde indesiderate di immigrati musulmani. Maggiore euro-centrismo significa anche un ripensamento dell’influenza e della sovranità francese e olandese sia a livello europeo, sia a livello mondiale. E fin qui nulla di sorprendente.
Il voto socialista, specialmente in Francia, è stato
invece più interessante e suggerisce aleno la possibilità che il sogno europeo,
lungi dall’essere oscurato, stia entrando in un nuova fase di maturazione con
profonde implicazioni per il futuro
dell’Europa. Molti socialisti francesi dichiarano di aver votato “No” alla
Costituzione non perché siano favorevoli a un’Europa più libera da vincoli, ma
piuttosto perché desidererebbero un’Europa maggiormente integrata e unita; e
perché temono che la Costituzione ponga troppa enfasi sul modello commerciale
anglo-americano liberale del fai-da-te e del-primo-che-arriva-prende-tutto che
finirebbe per minare la visione di un’economia di mercato europea più coesa e
sociale, basata sul sogno europeo di “inclusività”, sulla diversità culturale,
sulla qualità della vita, sul mantenimento di una rete sociale adeguata, sullo
sviluppo sostenibile, su diritti umani sociali e universali e sulla pace.
Lasciatemi dire che non sono d’accordo con l’analisi
che alcuni socialisti francesi dissidenti hanno fatto sulla Costituzione. Credo
che la nuova Costituzione faciliti le riforme commerciali sulle quali sia i
francesi, sia gli altri Paesi membri dell’Unione europea, sono già d’accordo
sin dai tempi del Trattato di Maascricht firmato nel 1992. e fin qui niente di
nuovo. Il Trattato, nella sua prefazione come in tutto il resto, non lascia
dubbi sul fatto che l’impegno dell’Europa verso una economia di mercato sociale
è fuori discussione ed è, senza ombra di dubbio, il cuore e l’anima
dell’esperimento politico europeo. La Carta dei diritti fondamentali, la vera
essenza della nuova Costituzione, è un peana al sogno europeo e ai principi
inclusi nel modello sociale di economia di mercato.
Tuttavia qualcosa di ben più importante è accaduto
in quest’ultima settimana. Il voto francese e olandese ha segnato l’inizio di
un’europeizzazione della politica, a livello di base, attorno ai tavoli di
cucina, nei caffè, nelle fabbriche, negli uffici, per le strade. Specialmente
in Francia è diventata una sorta di gigantesca aula scolastica in cui si
discute sul futuro dell’Europa. Ero lì. L’ho visto con i miei occhi. La
passione, l’impegno, il coinvolgimento personale. Milioni di cittadini francesi
di ogni classe e generazione hanno discusso sulla questione, dai cosmopoliti quartieri
parigini alle più lontane e remote regioni rurali.
Per quasi cinquant’anni, l’Unione europea è stata un
esclusivo campo da gioco politico appannaggio della sola èlite europea.
L’opinione pubblica è stata raramente chiamata in causa. Una sorta di morboso
paternalismo ha segnato le macchinazioni politiche che hanno aperto il vasto
continente europeo dando vita al primo esperimento di governo transnazionale di
tutta la storia. Ora la Francia e l’Olanda hanno afferrato la palla e hanno
trasformato la politica europea in uno sport popolare e, sebbene io non sia
d’accordo con il risultato del voto sulla Costituzione, devo ammettere che per
la prima volta l’opinione pubblica francese e olandese hanno reso emozionante
la politica europea. E’ difficile capire la portata della trasformazione.
Decine di milioni di cittadini leggono la Costituzione europea, ne sottolineano
i brani e ne discutono i significati. In Francia, è andato a votare il 70 per
cento dell’elettorato, più in qualunque elezione nazionale della storia
francese recente. In tutto il Paese si sente nell’aria una certa “elettricità”
politica, una certa tensione.
Ora la questione è se l’entusiasmo, in particolare
quello francese, sia soltanto uno sfogo momentaneo di frustrazione politica,
come suggeriscono molti analisti, o se si tratti invece dei primi
rimescolamenti di una consapevolezza politica europea di base. Ecco la prova
decisiva. Alla vigilia del voto, molti socialisti, sindacalisti e leader della
società civile, sostenevano che votare “No” significava aprire un grande
dibattito popolare europeo su come far meglio progredire una economia di
mercato sociale e su come creare un’Europa più unita e confacente alla
grandezza del sogno europeo. I socialisti hanno convinto milioni di elettori a
votare “No”, in attesa di quel futuro dialogo. Supponendo che siano stati
sinceri, ci si aspetterebbe allora un dibattito politico e una mobilitazione
sociale sostenuti e animati a favore di un’agenda politica europea più
approfondita, sulla scia dei risultati del 29 maggio. Se, invece, il voto del
“No” è stato più una manovra politica per far avanzare gli interessi e l’agenda
politica nazionale di alcuni gruppi e partiti o le fortune personali di
determinati leader politici, allora c’è da aspettarsi che il dialogo europeo
vada velocemente esaurendosi.
Personalmente sospetto che, adesso che la Francia e
l’Olanda si sono buttate per la prima volta a capofitto nella politica europea,
non ci sia modo di tornare indietro, anche se il vero intento di alcuni gruppi
e leader politici era semplicemente quello di manipolare l’elettorato per
propri scopi e interessi. La ragione del mio ottimismo è la seguente. Ora che i
francesi e gli olandesi hanno detto “No” alla Costituzione europea, si
ritrovano in un insostenibile vuoto politico di loro stessa creazione. Il punto
è: che direzione prenderanno? Credono davvero, francesi e olandesi, che la
felicità e la prosperità futura dei loro figli stia per ricadere dentro i
propri soffocanti confini nazionali o non significhi piuttosto creare un
continente europeo aperto e esteso, fatto di tante nuove opportunità che
permettano di vivere il sogno europeo? Se, invece, molti genitori francesi e
olandesi hanno votato “No” perché vogliono assicurarsi che un’Europa più grande
e integrata rimanga fedele ai principi di un’economia di mercato sociale,
allora sono obbligati a spingere e sostenere un’agenda politica europea che
possa far diventare realtà le loro speranze. Se non riescono a impossessarsi
del loro “No”, promuovendo una visione dell’Europa più forte, allora la vera
vittima del 29 maggio non sarà la Costituzione, bensì il futuro dei loro figli.
Infine, per non essere intempestivi e rischiare di
considerare il “No” di Francia e Olanda come l’inizio della fine del grande
esperimento politico europeo, dobbiamo tenere a mente che all’America ci sono
voluti circa 100 anni e una sanguinosa guerra civile prima di riuscire a
ottenere una Costituzione che fosse pienamente accettata da cittadini di Stati
fra loro spesso diversi. Pazienza è il nome del gioco.
Jeremy Rifkin
L’espresso del 16 giugno
2005