«A 66 anni potevano risparmiarmi tutto questo»

 

ROMA - Nella sua lunghissima carriera Andrea Monorchio ne ha viste di tutti i colori. Ma come quella di cui è stato lui stesso protagonista, mai. Nonostante questo confessa di sentirsi «sereno», forse perché durante questa disavventura ha sempre avuto al suo fianco la compagna, Gitte Andersen. Anche se si vede lontano un miglio che la cosa non gli è andata giù. E la sua reazione è disarmante: «Semplicemente, mi potevano risparmiare tutto questo». Comprensibile per uno come lui, che sottolinea di non essere «arrivato a 66 anni» per trovarsi in una situazione tanto imbarazzante. Soprattutto dopo «aver lavorato per 45 anni nella pubblica amministrazione, di cui 25 ai vertici». Tanto per far capire che proprio un signor Nessuno Monorchio non è, e un simile trattamento era l'ultima cosa che si sarebbe aspettato. Ma chi gli doveva risparmiare tutto questo? Forse il premier Silvio Berlusconi, che gli avrebbe telefonato per acquisire il «sì» definitivo dell'ex Ragioniere generale per la presidenza della Rai? Oppure il sottosegretario alla presidenza Gianni Letta, che come al solito s'era incaricato di trovare la quadra? O magari l'azionista della Rai, il ministro dell'Economia Domenico Siniscalco? «Ero convinto che fossero stati acquisiti tutti i pareri necessari, compreso naturalmente quello dell'opposizione. Perché così mi aveva detto Siniscalco: "Non ti preoccupare, stai tranquillo"», racconta Monorchio. Lasciando intendere che l'avevano dovuto convincere: «Mi era stato chiesto un grande sacrificio». La cattedra all'Università di Siena, dove insegna Contabilità di stato, e che lo impegna «a tempo pieno»: a quella avrebbe forse dovuto rinunciare. E avrebbe avuto ancora il tempo di coltivare la passione per la saggistica «sociale», culminata nei due libri Dove va l'Italia e Viaggio Italiano, scritti insieme al capo di gabinetto del ministro Carlo Giovanardi, Luigi Tivelli? E che ne sarebbe stato della presidenza di Infrastrutture spa, della Consap, di Banca Impresa Lazio, e dei vari collegi sindacali? «Avrei dovuto fare un sacrificio anche economico», ammette Monorchio senza falsi pudori. «Ho lavorato per una vita senza fare vacanze estive e invernali. Mi accorgevo che era Natale soltanto perché mi facevano gli auguri. Quando sono andato via, perché non c'erano più le condizioni per restare, al mio giovane successore hanno dato tre volte quello che davano a me, che guadagnavo 400 milioni». Così, spiega l'ex Ragioniere, «gli incarichi che ho avuto mi hanno consentito soltanto di vivere dignitosamente » insieme naturalmente a una pensione, frutto del lavoro di una vita «senza né riscatti militari, né di studi universitari» che oggi gli garantisce 17.892 euro lordi al mese. La presidenza della Rai lo avrebbe certamente compensato sul piano del prestigio. E lui, dopo aver inizialmente titubato, cominciava pure a sentirsi l'uomo giusto al posto giusto «per non essere mai stato di parte». È vero che nel 2001 l'ex Ragioniere, calabrese di Reggio Calabria, sottoscrisse un appello per sostenere la candidatura del suo conterraneo diessino Marco Minniti. Ma è pur vero che lo stesso Berlusconi lo avrebbe volentieri candidato, nel 2000, alla presidenza della Regione Calabria. E che Monorchio, alla Ragioneria, ha resistito con tutti i ministri: salvo che con Giulio Tremonti. Ecco perché quella telefonata del segretario diessino Piero Fassino proprio non se l'aspettava. « "Professore, ci apprestiamo a fare una dichiarazione contraria". Questo mi ha detto Fassino. Che poi ha aggiunto di nutrire sentimenti di profonda stima nei miei confronti, che non era in discussione il mio nome, ma il metodo. E la stessa cosa mi ha detto Luciano Violante». Ma perché, se nella maggioranza e nell'opposizione c'è chi ha sostenuto che i vertici della Quercia sapevano tutto? Monorchio si limita a ironizzare: «Può darsi che avessero parlato con qualche sottopancia». Ma si capisce che anche lui considera incredibile questa versione. Mentre Bruno Tabacci, dell'Udc, sospetta addirittura che qualcuno, a Monorchio, «abbia raccontato balle». Una cosa però è certa. L'ex Ragioniere generale considera chiusa la partita: «L'indicazione del mio nome come consigliere era legata all'incarico di presidente. Venuto meno quello, viene meno anche il resto». E dice che non avrà ripensamenti. Nemmeno se per lui, invece della presidenza, si profilasse la nomina a direttore generale. Le sue parole sono ultimative: «Ringrazio Giuseppe Giulietti, ma mi pare una cosa fuori dal mondo. Avevo accettato di andare alla Rai per fare il presidente. Sono stato Ragioniere generale dello Stato e non potrei essere disponibile per un posto come quello di direttore generale della Rai».


Sergio Rizzo

 

Corriere della Sera di giovedì 2 giugno 2005

 

PRIMA PAGINA