SFIDA A DESTRA VOTO
A PERDERE
(Perché le primarie non funzionano)
Già era
discutibile la versione delle primarie adottata dal
centrosinistra, e cioè l'idea non già di una reale gara per l'investitura (la
leadership di Prodi, infatti, non è stata mai messa in dubbio da nessuno),
quanto piuttosto di una consacrazione pubblica dello stesso Prodi - privo come
si sa di una sua propria base - nonché di una specie di sondaggio tra i
militanti al fine di consolidare questa o quella posizione negoziale futura.
Ripeto: già questo del centrosinistra era, ed è, un modo abbastanza singolare
di intendere le primarie. Ma con il progetto che delle medesime primarie sta
adesso mettendo in cantiere il centrodestra, dalla singolarità si rischia di
passare al puro e semplice grottesco, con in più un quasi sicuro suicidio
politico. Il punto decisivo è che a differenza che nell'Unione, nella Casa
delle libertà dovrebbe essere proprio la leadership, la scelta della
personalità a cui affidarla, l'oggetto del contendere
delle primarie: Berlusconi o Casini? (Fini, mi pare, si aggiungerebbe solo per
fare atto di presenza). All'apparenza, dunque, sarebbero delle primarie
abbastanza simili al prototipo americano. Solo all'apparenza, però: negli Usa, infatti, una volta terminata la contesa i candidati
sconfitti si ritirano immediatamente nell'ombra e in pratica scompaiono o quasi
da quella tornata elettorale. In Italia invece non accadrebbe
nulla di simile. Poniamo il caso, infatti, che le primarie (come è molto probabile) le vincesse Berlusconi: ebbene,
anche in questo caso Casini e Fini continuerebbero però a essere presenti come
prima sulla scena e continuerebbero naturalmente a capeggiare l'Udc e An che,
si presume, nelle successive elezioni dovrebbero comportarsi da soci fedeli
dello schieramento di centrodestra. Casini e Fini, cioè,
dovrebbero fare di tutto per consentire la vittoria elettorale di quello stesso
Berlusconi che poche settimane prima avrebbero combattuto davanti al Paese in decine
di comizi, interviste, discorsi televisivi nei quali avrebbero cercato di
mostrare quanto fosse poco adatto a fare il candidato del Polo e a vincere le
elezioni. In un breve giro di tempo, insomma, Casini e Fini dovrebbero
magicamente trasformarsi da rivali in alleati fedeli e rimangiarsi uno per uno tutti gli argomenti impiegati solo qualche
settimana prima facendo finta di non averli mai enunciati. Mi chiedo: è
pensabile che un simile garbuglio possa funzionare? In realtà primarie svolte
in questo modo (ma in quale altro, sennò?) equivarrebbero più o meno a un virtuale scioglimento dell'alleanza di centrodestra,
dal momento che in politica - come molto spesso anche altrove, del resto - la
scelta di chi comanda non è elemento accessorio, bensì costitutivo, di un'intesa.
E tanto più ciò è vero nel caso del centrodestra
italiano dove, a me sembra, un Polo con un leader non solo diverso da
Berlusconi, ma addirittura scelto in competizione contro di lui, è del tutto
inimmaginabile. È anche inimmaginabile, però, che queste ragionevoli
considerazioni non siano state fatte anche da coloro
che a destra sostengono l'ipotesi della primarie. E allora? Allora non resta
che pensare che la richiesta delle primarie non sia
veramente tale ma non sia altro, in realtà, che un momento di quel complesso
gioco tattico che si è aperto da settimane nella Casa delle libertà per
allentare il vincolo dell'alleanza, mantenendola in vita sì: ma con maggiore
autonomia e visibilità per le singole componenti e comunque con un minore,
molto minore, peso della leadership berlusconiana. Con quale effettivo
risultato finale, però, nessuno lo sa o vuole dirlo.
Ernesto Galli Della Loggia
Corriere
della Sera di domenica 25 settembre 2005