IO E ORWELL. DOPO L’11 SETTEMBRE
Sono cresciuta con George
Orwell. Sono nata nel 1939, e La fattoria degli animali fu pubblicato
nel 1945. Quindi, ho avuto la possibilità di leggerlo all'età di nove anni. Lo
vedevo in giro per casa e pensavo fosse un libro sugli animali parlanti, come i
pupazzi animati della serie "Wind in the Willows". Non sapevo
niente di quel genere di politica descritta nel libro - la politica che
conoscevano i bambini a quel tempo, subito dopo la guerra, consisteva nella
semplice nozione che Hitler era cattivo ma era morto. E così trangugiai le
avventure di Napoleon e Palla di Neve, degli astuti e avidi maiali in ascesa su
due zampe, del tendenzioso portavoce Clarinetto, di Gondrano il cavallo nobile
ma un po' duro di comprendonio, della pecora che recita gli slogan e si lascia
guidare volentieri dagli altri, senza fare il minimo collegamento con gli
eventi storici del tempo. Affermare che questo libro mi lasciò atterrita è dir
poco. Il destino degli animali della fattoria era così triste, i maiali così
cattivi, bugiardi e traditori, le pecore così stupide... I bambini hanno un
forte senso dell'ingiustizia e fu questo a turbarmi di più: il fatto che i
maiali fossero così ingiusti. Ho pianto fino allo sfinimento quando il cavallo
Gondrano si fa male e lo portano via per ricavarne cibo per cani invece di
dargli l'angolino tranquillo di pascolo che gli era stato promesso.
Questa lettura mi sconvolse profondamente ma sarò per sempre grata a Orwell per avermi mostrato da subito quali erano i segni del pericolo che da allora ho tenuto sempre sott'occhio. Nel mondo della fattoria degli animali gran parte dei comizi pubblici e delle chiacchiere sono stupidaggini e menzogne guidate e, sebbene molti personaggi siano buoni e benintenzionati, gli altri possono con il terrore indurli a coprirsi gli occhi per non vedere quello che gli succede intorno. I maiali intimidiscono gli altri con l'ideologia e poi la deformano per usarla a loro esclusivo vantaggio: i loro giochi di parole erano evidenti perfino a una bambina della mia età. Come insegnava Orwell, non sono le etichette - Cristianità, Socialismo, Islam, Democrazia, Cattivi a due zampe, Buoni a quattro zampe - a essere definitive, bensì le azioni compiute in loro nome. Riuscivo a capire anche come fosse facile per quelli che avevano rovesciato un potere oppressivo cadere poi nelle stesse trappole e consuetudini. Jean-Jacques Rousseau aveva ragione di avvertirci che la democrazia è la forma di governo più difficile da mantenere; un concetto che Orwell aveva assorbito fin nel midollo, perché aveva visto con i suoi occhi come si fa presto a cambiare il comandamento "Tutti gli animali sono uguali" in "Tutti gli animali sono uguali ma alcuni sono più uguali degli altri". Riuscivo a capire quale interesse mellifluo i porci mostrano per gli altri animali, come sembrano preoccuparsi del loro benessere - solo per mascherare il disprezzo nei confronti di quelli che stanno manipolando. Con quale alacrità indossano le uniformi un tempo disprezzate di quegli umani tirannici che loro stessi hanno cacciato, e come imparano a usare le fruste. Con quale ipocrisia giustificano le loro azioni, grazie alle ragnatele verbali intessute da Clarinetto, il loro addetto stampa dalla lingua sciolta, finché tutto il potere non è nelle loro zampe. A quel punto non è più necessario fingere e possono governare con la forza bruta. Una rivoluzione spesso significa solo questo: un ribaltamento, un giro della ruota della fortuna grazie al quale quelli che stavano in basso salgono in cima e occupano le posizioni più ambite, schiacciando sotto di loro i precedenti detentori del potere. Dovremmo diffidare di coloro che tappezzano il nostro ambiente dei loro ritratti in formato poster come fa il maiale Napoleon.
La fattoria degli animali è uno dei libri più
spettacolari del ventesimo secolo sulla dimostrazione che "il re è
nudo" e procurò molti guai a George Orwell. Chi si oppone alle convenzioni
popolari del momento, chi mette in evidenza ciò che è fastidiosamente ovvio,
deve aspettarsi la condanna degli irosi belati di mandrie di pecore ostinate.
All'età di nove anni non avevo capito tutto questo, certo non a livello
cosciente. Ma noi apprendiamo la struttura delle storie prima di capirne il
significato e La fattoria degli animali ha una struttura molto chiara.
Poi uscì 1984,
pubblicato nel 1949. Lo lessi in edizione tascabile un paio di anni dopo,
quando frequentavo la scuola superiore. Poi lo rilessi ancora e ancora: lo
tenevo sullo scaffale dei miei libri preferiti, insieme a Cime tempestose. Nel
frattempo, feci miei due libri che facevano il paio con 1984, Buio a
mezzogiorno di Arthur Koestler e Il mondo nuovo di Aldous Huxley.
Ero entusiasta di tutti e tre i libri, ma per me la storia di Buio a mezzogiorno
era una tragedia già avvenuta e Il mondo nuovo era una commedia satirica,
quegli avvenimenti avevano poche probabilità di verificarsi esattamente nel
modo descritto. 1984 mi sembrò più realistico, probabilmente perché Winston
Smith mi somigliava di più - una persona tutta pelle e ossa che si stancava
spesso ed era costretta a pratiche di educazione fisica a temperature sotto
zero (una caratteristica della mia scuola) - e che disapprovava in silenzio le
idee e lo stile di vita che gli venivano proposti. (Questo potrebbe essere uno
dei motivi per cui 1984 si apprezza al meglio quando lo si legge in eta'
adolescenziale, perché la maggior parte degli adolescenti si sente così). In
particolare condividevo il desiderio di Winston di mettere per iscritto i suoi
pensieri proibiti in un diario segreto dalle pagine vuote e invitanti: non
avevo ancora iniziato a scrivere ma ero attratta dall'idea. Ne percepivo anche
i pericoli, perché è proprio questo suo scribacchiare - insieme alla pratica
del sesso illecito, altro elemento particolarmente allettante per un
adolescente degli anni cinquanta - a mettere nei guai Winston.
La fattoria degli animali traccia la storia di un
movimento di liberazione idealista che si trasforma in un regime totalitario
capeggiato da un dispotico tiranno; 1984 descrive come si svolge la vita
in un sistema del genere. Il suo eroe, Winston, ha solo memorie frammentarie di
com'era la vita prima che fosse instaurato il terribile regime del presente: è
un orfano, un bambino della collettività. Suo padre è morto durante la guerra
sfociata nella repressione e sua madre è scomparsa lasciandogli solo uno
sguardo di riprovazione perché lui l'aveva tradita per una barra di cioccolato
- un piccolo tradimento che è sia la chiave per capire il carattere di Winston
che il segno precursore di molti altri tradimenti nel libro. Il governo di Oceania,
il paese di Winston, è brutale. La sorveglianza costante, l'impossibilità di
parlare francamente con qualcuno, la figura incombente e sinistra del Grande
Fratello, la necessità del regime di avere nemici e guerre, seppur fittizi,
usati per terrorizzare la popolazione e tenerla unita in nome dell'odio, gli
slogan per ottundere la mente, le distorsioni del linguaggio, la distruzione di
quanto è realmente accaduto stipando ogni ricordo nel Buco della Memoria -
tutto questo mi fece una grande impressione. Vorrei provare a esprimerlo in
altra forma: me la feci sotto dalla paura. Orwell aveva scritto una satira
sull'Unione Sovietica di Stalin, un luogo di cui sapevo molto poco all'età di 14
anni, ma lo aveva fatto così bene da farmi pensare che quelle cose stessero
succedendo ovunque. La fattoria degli animali non contiene alcuna storia
d'amore, a differenza di 1984. Winston trova la sua anima gemella. Julia
e' apparentemente una fanatica devota del Partito, ma in segreto è una ragazza
a cui piace far sesso, truccarsi e quant'altro sia considerato un tipico segno
di decadenza. Ma i due amanti vengono scoperti e Winston viene torturato per
crimini del pensiero - slealtà interiore nei confronti del regime. E' convinto
che se riuscirà a restare fedele a Julia nel cuore, la sua anima sarà salvata -
un concetto romantico, ma che probabilmente condividiamo. Come tutte le
religioni e i governi assolutisti, però, il Partito esige che ogni lealtà
personale venga sacrificata a esso e sostituita da un'assoluta lealtà al Grande
Fratello. Quando si trova faccia a faccia con la sua peggior paura nella
famigerata Stanza 101, in cui gli viene posto sugli occhi un terribile aggeggio
con una gabbia piena di ratti famelici, Winston urla: "Non fatelo a me,
fatelo a Julia". (Questa frase e' diventata di uso comune nella mia
famiglia quando si vogliono evitare compiti onerosi. Povera Julia - le avremmo
reso la vita proprio difficile se fosse esistita davvero. Ad esempio, avrebbe
dovuto partecipare a molti gruppi di discussione). Dopo aver tradito Julia,
Winston diventa un manichino di gomma plasmabile. Vive nella ferma convinzione
che due più due fa cinque e che lui ama il Grande Fratello. Nelle ultime pagine
lo vediamo seduto in un caffè all'aperto, istupidito dall'alcol, consapevole di
essere diventato un morto vivente dopo aver saputo che anche Julia lo ha tradito,
mentre ascolta un motivetto: "Sotto il castagno, chissà perché / Io ti ho
venduto e tu hai venduto me".
Orwell e' stato accusato
di essere troppo amaro e pessimista - di mostrarci una visione del futuro che
non lascia all'individuo alcuna speranza e in cui la brutalità
dell'onnipresente Partito totalitario e del suo tallone terrà la faccia
dell'uomo schiacciata nel fango, per sempre. Ma questa percezione di Orwell
viene contraddetta nell'ultimo capitolo del libro, un saggio sulla neolingua, il
linguaggio del bispensiero inventato dal regime. Espurgando tutte le parole che
potrebbero creare problemi - "cattivo" non è più permesso e diventa
"sbuono" - e dando alle parole il significato opposto di quello che
avevano prima - il luogo in cui le persone vengono torturate è il Ministero
dell'Amore, l'edificio in cui il passato viene distrutto è il Ministero
dell'Informazione - i capi di Oceania vogliono rendere letteralmente
impossibile alla gente di pensare in modo corretto. Tuttavia, il saggio sulla
neolingua e' scritto in inglese standard, in terza persona e al passato, il che
può solo significare che il regime è caduto mentre il linguaggio e
l'individualità sono sopravvissuti... Per chiunque abbia scritto il saggio
sulla neolingua, il mondo di 1984 e' finito. Quindi, a mio parere Orwell
aveva più fede nella capacità di ripresa dello spirito umano di quanto gli si
riconosca.
Orwell e' diventato uno
dei miei modelli principali molti anni più tardi, nel vero 1984, l'anno in cui
cominciai a scrivere una distopia in un certo modo diversa, Il racconto
dell'ancella. A quel tempo avevo ormai 44 anni e avevo appreso molto sui
regimi dispotici reali, mediante la conoscenza della storia, i viaggi e la mia
collaborazione con Amnesty International, quindi Orwell non era più il mio
unico riferimento. La maggior parte delle distopie - inclusa quella di Orwell -
è stata scritta da uomini e il loro punto di vista è maschile. Quando le donne
vi compaiono, hanno il ruolo di automi asessuati oppure di ribelli che sfidano
le regole sessuali del regime. Agiscono come tentatrici del protagonista
maschile, per quanto lui gradisca questa tentazione. E' così per Julia; è così
per la seduttrice "Orgy-Porgy" con la sottana del Selvaggio in Il
mondo nuovo; è così per la sovversiva "femme fatale"
dell'autorevole classico di Jevgenij Zamjatin scritto nel 1924, Noi.
Volevo provare a scrivere una distopia dal punto di vista femminile - il mondo
secondo Julia, così com'era. Ciononostante, questo non fa de Il racconto
dell'ancella una "distopia femminista", a eccezione del fatto che
dare voce e vita interiore a una donna verrà sempre considerato
"femminista" da quelli che pensano che queste cose non siano
caratteristiche proprie di una donna.
Il ventesimo secolo potrebbe
essere considerato una gara tra due versioni di inferno create dall'uomo - lo
stato di oppressione totalitaria di 1984 di Orwell, e il paradiso
edonistico ersatz de Il mondo nuovo, in cui tutto è un bene di consumo e
gli esseri umani sono progettati per essere felici. Con la caduta del muro di
Berlino, nel 1989, per un periodo sembrò che Il mondo nuovo avesse vinto - da
quel momento in poi il controllo di stato sarebbe quasi scomparso e non ci
restava altro che andare a fare shopping, sorridere molto, crogiolarci nei
piaceri e ingoiare un paio di pillole quando arrivava la depressione.
Ma con l'11 settembre
tutto questo è cambiato. Si direbbe che adesso ci troviamo ad affrontare
contemporaneamente la prospettiva di due distopie contraddittorie - mercati
aperti, menti chiuse - perché la sorveglianza di stato è tornata e grida
vendetta. Abbiamo vissuto nella spaventosa Stanza 101 del torturatore da
millenni. Le prigioni sotterranee di Roma, l'Inquisizione, la Camera Stellata,
la Bastiglia, i processi del generale Pinochet e della Junta in Argentina -
tutti hanno goduto della segretezza e dell'abuso di potere. Molti paesi hanno
avuto una loro versione della Stanza 101 - ognuno il proprio modo di mettere a
tacere forme pericolose di dissenso. Tradizionalmente le democrazie si sono
identificate, tra l'altro, con la libertà e il governo delle leggi. Ma ora
sembra che in occidente stiamo tacitamente legittimando i metodi delle epoche
più buie dell'essere umano, tecnologicamente aggiornati, e consacrati dal
nostro fruirne, naturalmente. Per amore della libertà, si deve rinunciare alla
libertà. Per andare nella direzione di un mondo migliore - l'utopia che ci
viene promessa - deve prima signoreggiare la distopia. E' un concetto degno di
un pensiero a doppio senso. Che e' anche, nel suo modo di ordinare gli eventi,
stranamente marxista. Prima la dittatura del proletariato, fase in cui devono
cadere molte teste; poi la celestiale societa' senza classi, che stranamente
non si materializza mai. Al suo posto, invece, ci ritroviamo sempre i maiali
con le fruste. Spesso mi chiedo: che ne direbbe George Orwell? Avrebbe molto da
dire.
Margaret Atwood
Lo straniero n.
41 novembre 2004