L' ANTIFASCISMO INTERMITTENTE

Non c'è niente di peggio, per le sorti di un principio considerato irrinunciabile e addirittura fondativo di una comunità politica e morale, del sospetto di un suo uso strumentale. E quando per calcoli politici il valore dell'antifascismo, sorgente morale dell'Italia repubblicana, «religione civile» di una Nazione che vuole recidere ogni legame con un passato imbarazzante, viene improvvisamente offuscato e messo da parte dagli stessi che sino a un attimo prima ne hanno veementemente custodito le ragioni, risulta difficile sottrarsi a quella sensazione di strumentalità e di inautenticità. Ridotto a vessillo da agitare con imprudente incostanza, l'antifascismo, come ha osservato Angelo Panebianco nel Magazine del Corriere commentando la bagarre sul caso Alessandra Mussolini, rischia di essere «messo in cantina». L'antifascismo a corrente alternata: ecco il pericolo che è sotto gli occhi di tutti proprio alla vigilia del sessantesimo anniversario della Liberazione. È stupefacente constatare quanto siano stati rari, a sinistra, i commenti indignati sui (presunti, beninteso) aiuti che singoli esponenti dell'opposizione avrebbero generosamente fornito alla Mussolini per la raccolta delle firme necessarie alla presentazione di una lista dichiaratamente neofascista. Nel deserto di reazioni costernate spicca il coraggio di Paolo Flores d'Arcais (e dell'Unità che ne ha ospitato l'intervento) il quale, unico o quasi tra gli intellettuali, sulla base di un semplice ma limpido enunciato («meglio perdere con l'antifascismo che vincere con i fascisti») ha smentito quel clima di complice silenzio con cui a sinistra si è guardato, non senza malcelata soddisfazione, alla presenza di una lista che avrebbe potuto contribuire alla sconfitta di Francesco Storace. Per il resto (se si eccettuano sconsolate manifestazioni di dissenso di esponenti dei Ds, del Pdci e di Rifondazione) nessun allarme a sinistra su una lista che sin dal nome della sua principale testimonial, fa del fascismo il suo marchio di identità. Nessun proclama di intransigente difesa dell'antifascismo, nessuno scandalo per le croci celtiche e talvolta per una non del tutto dissimulata inclinazione antisemita che fa da contorno alle manifestazioni di un partito la cui unica attenuante parrebbe essere la complicazione dei destini elettorali del centrodestra. Ben altro vigore e indignazione hanno mosso, poco più di un mese fa, molti intellettuali (e l'Anpi) che hanno visto nella legge pensata per conferire lo status di «belligeranti» a chi militò sotto le bandiere della Repubblica Sociale un inammissibile tentativo di parificare le ragioni di chi ha combattuto per la libertà con quelle di chi ha combattuto dalla parte dell'oppressione e dell'anti-libertà. A difesa dei valori dell'antifascismo scrissero e si mobilitarono Nicola Tranfaglia e Maurizio Viroli, stilarono appelli, tra i tanti, Margherita Hack e Giovanni De Luna, Aldo Agosti, Giuliano Procacci, Rosario Villari. Ma c'è qualcosa che sconcerta nel silenzio che, in pochissimo tempo, ha modificato l'allarme in una forma di torpore nei confronti del sostegno attivo, o anche dell'inespresso compiacimento, serpeggiante a sinistra per un partito orgogliosamente fascista. Fascista sì, ma meritevole di indulgente attenzione solo perché «oggettivamente» alleato nella battaglia finale contro l'avversario principale. Questo mutamento ingenera inevitabilmente la sensazione che l'antifascismo possa essere adoperato come un elastico, da tendere o allentare a piacimento. Poco male, se tutto questo fosse rubricabile nella categoria del tatticismo. Molto male, perché a essere compromesso rischia di essere proprio l'antifascismo. Un valore troppo importante per diventare la posta in palio di mediocri beghe politiche.

 

Pierluigi Battista

 

Corriere della Sera di venerdì 25 marzo 2005

 

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