Medici in prima linea? Sei ore per quattro punti

 

Aspettate da un'ora in una sala d'attesa affollata di un pronto soccorso italiano. Dovete solo togliere quattro punti di sutura. Avete un appuntamento. I medici vanno e vengono senza degnarvi di uno sguardo. Alla fine si materializza davanti a voi un ragazzone in camice con lo stetoscopio appeso al collo. Spegne il mozzicone della sigaretta che ha fumato nel parcheggio delle ambulanze. «Che deve fare?». «Togliere i punti». «Venga, venga». L' espressione è cupa, il tono sgarbato. Mentre prepara le forbici e le pinze sterili parla al cellulare che tiene premuto sulla spalla. In cinque minuti siete fuori. Storie di ordinaria malasanità? Forse. Viste dall'America delle terapie di avanguardia e dei «medici in prima linea», sembra invece un sogno di efficienza, guastato da un po' di maleducazione.
Domenica mattina a New York. Una mano tagliata in un banale incidente di cucina. La ferita non è profonda, ma richiede qualche punto. Al Metropolitan Hospital i medici, quando alla fine li raggiungi, sono cortesi ed efficienti. Ma prima la procedura è ferrea: poliziotto che vuole sapere se stavi tentando il suicidio; sala d'attesa; infermiere che esamina la ferita, misura pressione e temperatura, si informa su malattie, terapie in atto, eventuali allergie ai farmaci. Di nuovo sala d'attesa. Dopo un' ora ti chiamano: non i medici, un impiegato annoiato. Riempi un modulo infinito - dal codice della previdenza sociale al nome di tuo padre e di tua madre - firmi dichiarazioni di responsabilità, ti chiedono il nome di una persona da chiamare in caso di emergenza. «Ma è un taglietto», protesti. Inutile: «La procedura è uguale per tutti». Un'altra ora di attesa ed ecco il tuo turno: ti fanno sdraiare su un lettino della «E.R.», l'emergency room. A destra c'è una persona anziana con una crisi respiratoria acuta. A sinistra arriva in barella una donna seriamente ferita in un incidente stradale. Cerchi di pensare allo sceneggiato tv come antidoto all'angoscia, ma invece di George Clooney arriva un infermiere: «Capirà da solo che c'è da aspettare. La procedura è uguale per tutti, il chirurgo è lo stesso». Quando alla fine arriva, è gentile e rapidissimo. Dieci minuti e sei fuori con un foglietto rosa in mano: «Paziente stabilizzato: può uscire». Sei ore e dieci in tutto.
E l'invito a tornare dopo una settimana per togliere i punti. Percorso abbreviato? Niente affatto: la procedura è identica (compresa la compilazione dei moduli e a nulla vale protestare che li hai già riempiti una settimana prima, che tutti i dati sono già nel computer dell' ospedale). Stavolta te la cavi in tre ore e mezzo. Trarre conclusioni sul funzionamento di un sistema da qualche limitata esperienza personale è esercizio discutibile e scivoloso, ma delle disfunzioni e dei costi enormi della sanità in America si discute ormai ovunque, sui giornali e a cena. E le storie di «miracoli» («i chirurghi di Houston mi hanno rimesso a nuovo il cuore e mi hanno rimandato a casa in quattro giorni») si alternano con disavventure anche economiche («sono andato al Lenox Hill per un occhio infiammato. Era domenica e l'oculista non poteva visitarmi. L' ospedale mi ha mandato a casa un conto di 600 dollari, l' assicurazione ne ha rimborsati 372»).
Le privatizzazioni sono una gran cosa, ma con l'«industria della salute» bisogna stare attenti. La sanità è l' unico campo in cui l'introduzione della logica di mercato ha avuto, in America, risultati fallimentari: anziché la concorrenza, ha aumentato burocrazia e spesa. Per avere successo un ambulatorio deve avere medici bravi, ma soprattutto deve saper trattare con le assicurazioni. Costi aggiuntivi ce ne sono ovunque, ma in campo farmaceutico raggiungono vette spettacolari: senza vincoli di prezzo per le industrie e con le farmacie controllate da poche grandi catene, i prezzi non salgono: esplodono. Dieci pillole di Ciproxin 250, uno degli antibiotici più diffusi, in Italia costano 18 euro. In America vengono vendute a circa 70 dollari, 55 euro. Per una confezione di Bactrim (un banale sulfamidico che da noi costa 3,5 euro) ci vogliono almeno 15-20 dollari. Ho qui davanti un tubetto da 3,5 grammi di Tobradex, una pomata per uso oftalmico. Prezzo italiano, 5,90 euro (8 dollari). Pagato da Duane Reade, prima rete di farmacie di New York, 88 dollari. L' assicurazione, se ce l'hai, te ne rimborsa 70. Meglio non lamentarsi troppo dei ticket nostrani.

 

Massimo Gaggi

 

Corriere della Sera di venerdì 25 febbraio 2005

 

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