La Crisi del Servizio Sanitario Nazionale
e l’abolizione della esclusività del rapporto di lavoro della dirigenza medico
veterinaria e sanitaria dipendente dal SSN
Di Roberto Polillo
Responsabile delle Politiche della Salute CGIL Nazionale
Il dato che meglio evidenza l’essenza della politica perseguita dal governo
di centro destra è la condizione in cui versa attualmente il sistema sanitario
del nostro paese, una condizione ormai prossima ad un vero e proprio collasso
finanziario. Le regioni stanno infatti affogando in un debito crescente che,
tra mancati trasferimenti e disavanzi per insufficiente finanziamento, ha
toccato per il solo quadriennio 2001-2004, la cifra record di 30 miliardi di €.
Ad essere in sofferenza sono in particolare le regioni del centro sud, ma non
solo, perché anche quelle storicamente “virtuose” (Emilia, Toscana e Umbria)
lamentano una crescente difficoltà nella quadratura dei loro bilanci. La
situazione è tale da mettere seriamente in difficoltà la stessa capacità di
erogazione dei livelli essenziali delle prestazioni, finora garantite, anche se
con notevoli disuguaglianze, su tutto il territorio del paese.
A questo si aggiunge la mancanza di prospettive sul futuro finanziamento del
sistema in quanto l’accordo del giorno 8 agosto 2001, con cui era stato
definito l’ammontare delle risorse destinate alla sanità, è ormai prossimo alla
scadenza e nulla ha finora detto il governo sulle sue reali intenzioni.
Tutto questo a fronte poi di un’estate ormai incombente che l’inerzia totale
del governo e i ridotti trasferimenti agli Enti locali (in primis i comuni)
rischia di trasformare in un'altra stagione durissima e in una tragedia per gli
anziani del nostro paese, lasciati sempre più soli nell’incuria e
nell’indifferenza.
Una situazione drammatica dunque a cui il governo invece di fare fronte con
azioni coerenti ed appropriate (a partire dalla messa a disposizioni delle
risorse finanziarie indispensabili) risponde con il tentativo, ormai chiaro, di
sbarazzarsi del servizio sanitario consegnandolo di fatto ai privati.
E’ questo e non altro il vero significato della legge sulle Emergenze
sanitarie, approvata pochi giorni orsono in via definitiva dalla Camera, in cui
è stat inserito con un vero e proprio blitz un emendamento che ha
abolito l’esclusività del rapporto di lavoro dei medici e degli altri dirigenti
sanitari dipendenti dal SSN.
La scelta di inserire tale norma in un provvedimento legislativo, nato per
rispondere a tutt’altre esigenze, la dice lunga sulle difficoltà del governo
che ha evidentemente voluto dare un segnale di disponibilità alla parte più
retriva della corporazione; tale tentativo peraltro non è stato coronato da
alcun successo, considerato infatti che, nella stessa giornata, tutte le
organizzazioni sindacali mediche hanno proclamato altre iniziative di lotta a
difesa del servizio sanitario e del contratto di lavoro, scaduto ormai da oltre
due anni e sempre più gravato da nubi minacciose. Ma il provvedimento non ha
convinto neanche le regioni ivi comprese quelle di centro destra, dichiaratesi
d’accordo solo in linea di principio. Dagli assessori regionali alla sanità
infatti, è stato lasciato chiaramente intendere come, a fronte del mutato
quadro legislativo, si dovrà inevitabilmente ridefinire in sede contrattuale le
modalità di erogazione della indennità di esclusività, ora percepita, legandola
ad una aumento dell’orario di lavoro finalizzato all’abbattimento delle liste
di attesa. Per la stragrande maggioranza dei medici dunque il provvedimento
rischia di trasformarsi in un boomerang perché il privilegio accordato alla
minima parte della categoria ( la libertà di agire fuori da ogni controllo)
rischia di trasformarsi in un ulteriore appesantimento del carico di lavoro per
tutti gli altri.
Entrando nel merito del provvedimento approvato, con esso è stata dunque
abrogata la legislazione prevista dal Decreto Legislativo 229/99 (cosiddetta
legge Bindi), recepito compiutamente nell’ultimo contratto di lavoro, con cui
veniva disciplinato il rapporto di impiego e la libera professione dei
dirigenti sanitari dipendenti dal SSN.
Nel dettaglio, le norme abrogate prevedevano che il medico e gli altri
dirigenti sanitari assunti successivamente alla data del 1/1/99 avessero
l’obbligo al lavoro esclusivo con l’azienda ( ovvero la possibilità di svolgere
la libera professione solo all’interno degli ospedali- regime intramoenia- o
presso studi privati espressamente autorizzati); mentre gli altri assunti
precedentemente avevano avuto la possibilità di scegliere tra tale regime e
quello extromenia ( la facoltà si svolgere la libera professione senza
autorizzazione e controllo da parte dell’azienda) fermo restando che,
nell’eventualità avessero scelto il rapporto esclusivo, tale scelta diveniva
irreversibile.
A fronte di questa “modifica irreversibile dello stato giuridico” ai medici e
agli altri dirigenti a rapporto esclusivo veniva corrisposta, a titolo
“risarcitorio” una indennità media di 17 milioni di vecchie lire (
differenziata in base all’anzianità di servizio e all’incarico rivestito)
nonché la riserva totale dei posti di direzione delle strutture ( incarichi di
responsabilità, o ex primariati).
Le norme ora approvate abrogano tanto l’obbligo al rapporto esclusivo (ogni
anno i medici potranno liberamente scegliere se lavorare dentro o fuori) tanto
la riserva dei posti di responsabilità che potranno invece essere conferiti
anche a coloro che lavorano privatamente. In barba dunque ai precetti più
elementari del liberismo, ai medici sarà consentito di lavorare non solo per il
proprio datore di impiego ma anche per la “concorrenza”, sottraendogli così
parte delle risorse.
La nostra opposizione a tale provvedimento è radicale e si accompagnerà ad una
serie di iniziative a difesa di un sistema che deve vedere i dirigenti, e dunque
gli attori principali della vicenda, necessariamente legati alla propria
amministrazione da un rapporto di fedeltà e di condivisione partecipata degli
obiettivi.
Una posizione questa che, lungi dal poggiare su valutazioni ideologiche, nasce
da considerazioni di duplice natura sia di tipo etico, nei confronti dei
pazienti, e sia di efficienza, nei confronti del servizio sanitario.
Per quanto attiene al primo aspetto, è doveroso ricordare come nella
costituzione del fondo economico per la esclusività (circa 1.500 miliardi di
vecchie lire per ciascun anno di esercizio) la metà circa delle somme
necessarie (circa 600 miliardi) fossero state reperite attingendo a risorse
vincolate per la realizzazione di progetti assistenziali a favore di malati
terminali, pazienti affetti da infezione HIV, malati di mente e anziani non
autosufficienti: Questo storno di risorse avvenne, senza che ovviamente fossero
stati interpellati i diretti interessati, con la motivazione che un
significativo aumento retributivo dei medici (effettivamente realizzato in una
misura oscillante tra il 25 e il 50 % dello stipendio precedente) avrebbe
rappresentato un forte incentivo a migliorare e potenziare il servizio anche a
favore di quelle categorie di utenti a cui si chiedeva il sacrificio di
rinunciare agli specifici interventi assistenziali. Per ottenere questo sarebbe
stato necessario dunque un duplice impegno sia da parte della categoria che si
doveva prodigare per lo snellimento delle code di attesa e sia da parte delle
regioni che avrebbero dovuto vigilare affinché l’accordo non si traducesse in
un danno per i pazienti.
Tutto questo in realtà non è avvenuto, colpa soprattutto delle regioni (con
qualche eccezione meritoria) e delle loro dirette emanazioni, i Direttori
Generali aziendali, che non hanno correttamente disciplinato la materia e hanno
invece lasciato che le cose procedessero senza controlli e programmazione del
servizio.
Ma ora si vuole fare di peggio, aggiungendo al danno la beffa! Con le norme
approvate infatti si rimuovono anche i flebili controlli esistenti, si dà
briglia sciolta ai medici desiderosi di lauti guadagni e si riserva ai pazienti
come unica soluzione per le code di attesa esistenti o per la scarsa qualità
del servizio, quella di pagare di tasca propria per avere prestazioni che sono
invece garantite dalla Costituzione.
L’effetto prodotto da tali norme infatti non sarà quello propagandato di
restituire la libertà di scelta ai pazienti e ai medici ma quello di ben altra
natura tendente alla costituzione del cosiddetto “doppio canale” . I medici, ed
in particolare coloro che sceglieranno il lavoro esterno ricoprendo incarichi
di responsabilità nel Servizio sanitario nazionale, avranno tutto l’interesse a
dirottare i pazienti dalla struttura pubblica verso i propri studi
professionali. A questo farà seguito poi che anche gli accertamenti prescritti
saranno indirizzati alle strutture private andando così ad alimentare un vero
circolo vizioso in cui il pubblico si depaupera ed il privato si rafforza. Dal
canto loro i pazienti, pur di ottenere le prestazioni necessarie, specie nel
caso di malattie impegnative, saranno indotti a rivolgersi agli studi privati
di quei professionisti che poi li cureranno nella struttura pubblica, sperando
così in un trattamento di maggior favore per quanto riguarda facilità di
accesso e livello della qualità.
La strada scelta dal governo non è dunque quella di modernizzare il sistema
investendo qualità e risorse nel servizio sanitario pubblico ma quella di
favorire il ricorso al privato come preludio ad un sempre più marcato
disimpegno dello stato nei confronti di tutti i servizi di protezione sociale.
L’onere del servizio sanitario viene dunque spostato dalla fiscalità generale
ai bilanci familiari; bilanci familiari peraltro resi sempre più magri (come
autorevolmente certificato pochi giorni orsono dall’ISTAT) dal prevalere di una
politica che ha ridistribuito la ricchezza prodotta solo a vantaggio dei più
abbienti.
Con la legge appena approvata dunque, da un lato si istituisce un sistema duale
a regime differenziato tra ricchi e poveri, lasciando ai secondi un servizio
pubblico depauperato residuale o caritatevole come preferiscono dire i neocons
di oltre oceano; d’altro lato si vuole svendere l’intero patrimonio di equità e
qualità che ha finora caratterizzato il nostro servizio sanitario e che ci ha
consentito di attestarci ad altissimi livelli di risultato pur in presenza di
un finanziamento del tutto insufficiente.
Questo devono sapere i cittadini i cui diritti fondamentali vengono messi in
discussione e di questo devono continuare ad essere consapevoli i medici del
nostro paese il cui interesse professionale non può essere disgiunto dal
mantenimento di un servizio pubblico di qualità .
Forte dunque deve essere la nostra opposizione a questo tentativo di riportarci
indietro nel tempo alla legislazione del ventennio, quando gli ospedali
venivano utilizzati dai medici come case di cure private dove ricoverare i
propri pazienti.
Altrettanto forte deve essere l’opposizione delle regioni che, su un tema tanto
delicato, sono state scippate, a soli fini elettoralistici, da un governo
assolutamente indisponibile a farsi carico della drammatica situazione in cui
versa la sanità.