La liberalizzazione
ha trasformato profondamente il settore delle telecomunicazioni, che oggi
opera in regime di concorrenza, anche se imperfetta.
In attesa che l’Autorità per le garanzie nelle
comunicazioni renda pubblica la sua analisi di mercato e quindi ci dica se
esistono eventuali problemi a cui porre rimedio, cerchiamo di valutare
l’impatto che la liberalizzazione ha avuto dal 1998 a oggi sulle tariffe telefoniche e quindi sul
consumatore.
Un’analisi
difficile
Effettuare tale analisi è assai arduo. I servizi sono
molto differenziati tra loro (chiamate urbane,
nazionali e internazionali, le chiamate fisso-mobile, accesso a internet),
spesso le tariffe variano con le fascia oraria, e il dedalo delle offerte
(con parti fisse o variabili, sconti, offerte speciali e quant’altro),
soprattutto nella telefonia mobile, complica ulteriormente la situazione.
Possiamo però dire qualcosa di più preciso sui servizi voce tradizionali
(telefonia fissa) e sui ricavi medi per abbonato nel caso della telefonia
mobile. Sono i segmenti più tradizionali, ma forse quelli più delicati per
valutare se e quanto i piccoli consumatori abbiano beneficiato dalla liberalizzazione.
L’andamento
delle tariffe nel fisso…
In tabella 1 sono riportati i valori dei canoni mensili dal 1998
al 2003. (1)
Ne emerge che – a seguito del ribilanciamento
tariffario (2) – i canoni medi sono aumentati di
circa il 20 per cento in cinque anni, con un aumento in termini nominali del
44,2 per cento per il canone residenziale e del 13,8 per cento per quello
affari (per il periodo 2000 – 2004).
Questo pesa soprattutto per le famiglie, per le
quali il canone costituisce oggi in media circa il 40 per cento della spesa
complessiva, mentre per l’utenza affari incide solo per circa il 18 per
cento.
Il peso sempre più rilevante del canone è bene evidente anche nei ricavi di Telecom Italia: dal 2003 i ricavi
fissi da canone (pari a 7.870 milioni di euro) hanno
superato quelli da traffico (7.116 milioni di euro).
I costi variabili (per
minuto) sono invece calati. I prezzi delle chiamate urbane (tabella 2) sono
rimasti costanti in termini nominali e quindi si
sono ridotti in termini reali, restando per altro sempre inferiori alla media
Ue. Sia per le
chiamate a lunga distanza (tabella 3) sia per quelle internazionali (tabella
4), i prezzi hanno avuto una consistente riduzione
in termini nominali, pur restando in entrambi i casi ben al di sopra della
media europea.
In media, quindi, la riduzione delle tariffe per il traffico voce in Italia è
stata circa pari al 50 per cento, non distante peraltro dalla riduzione che
hanno avuto le tariffe all’ingrosso (- 45 per cento circa) che gli operatori
alternativi devono pagare a Telecom Italia per l’accesso alle sue reti.
…E nel mobile
Un discorso
a parte merita il settore della telefonia mobile. Come già
detto, i prezzi in questo settore sono particolarmente difficili da
analizzare, stante i pochi dati a disposizione. In assenza di un vero e proprio prezzo di riferimento, si può usare come
approssimazione il ricavo medio per abbonato (figura 1). Dai
dati emerge come esso si sia ridotto nel tempo di circa il 50 per
cento, ma anche come dal 2000 a oggi la discesa di questo valore si sia
pressoché fermata.
Un tale andamento è legato all’esplosione nell’utilizzo del cellulare sia per
le chiamate sia per i servizi dati (sms soprattutto)
che ha permesso agli operatori di mantenere stabili i propri ricavi per
abbonato. Proprio per il fatto che l’Italia è uno
dei primi paesi europei per numero degli sms inviati, gli operatori mobili, invece di
abbassare i prezzi unitari delle chiamate o guerreggiare su tariffe al minuto
più basse, si sono concentrati sull’offerta di pacchetti di servizi sempre
più articolati basati sulla possibilità di inviare centinaia di messaggi
gratuiti a fronte di un costo fisso.
Il risultato è di rendere il sistema tariffario ancor meno trasparente di quanto poteva
esserlo prima, ma questa è un’altra storia.
Dove
sono i benefici per il consumatore
Se è vero che non si è qui tenuto conto delle molteplici offerte
presenti oggi in Italia, è altresì vero che non si hanno dati certi circa il
loro utilizzo nelle famiglie italiane. Quindi, la nostra
analisi può considerarsi una proxy del consumatore
medio italiano che non necessariamente utilizza offerte
speciali.
Se in prima battuta ci si aspettava che la liberalizzazione avrebbe dato ai consumatori finali ampi benefici, forse è
bene ricrederci, almeno in parte. Pur nei limiti dei dati disponibili,
possiamo infatti concludere che i prezzi unitari dei
servizi di telefonia si sono ridotti, ma l’aumento della spesa per il canone
fisso è tale da assorbire buona parte di questi benefici.
Nelle stime effettuate da Eurostat ciò
è evidenziato in modo significativo.
Considerando un paniere di spesa dei servizi telefonici in modo aggregato -
fisso (canone + chiamate) + mobile, utenza residenziale e business -, si può
osservare come dal gennaio 1996 al gennaio 2004 l’indice dei prezzi in Italia si
è ridotto solamente di 10 punti percentuali in termini reali (si veda LINK
BERARDI), molto meno di quanto si è verificato in Francia e Germania, paesi
in cui il processo di liberalizzazione è partito
allo stesso momento dell’Italia. E non solo: particolarmente preoccupante è
il fatto che tale indice sia rimasto pressoché costante dal 2002 a oggi. Che ciò sia dovuto alla presenza di competitori
più efficienti o a una regolazione più rigida di
quella italiana è difficile da dire. Senza dubbio, ciò mostra che in Italia
molto ancora si può e si deve fare per garantire
maggiori benefici ai consumatori finali.
(1) Tutti i dati
sono stati ripresi dai “Report on the implementation
of the Telecommunications Regulatory Package” della Commissione europea pubblicati
tra il 1999 e il 2004.
(2) In capo a Telecom
Italia vi è l’obbligo di fornire il cosiddetto “servizio universale”, che
consiste nell’assicurare l’accesso e l’erogazione di un
livello minimo di servizi a tutti gli utenti che ne facciano richiesta, a un
prezzo ragionevole e a prescindere dalla loro ubicazione geografica.
Storicamente questi costi venivano coperti tramite
sussidi incrociati, ossia praticando tariffe superiori ai costi per alcuni
servizi (chiamate interurbane e internazionali) e tariffe più basse sui
servizi di base. Questo poteva essere sostenibile con un solo operatore, ma
con la liberalizzazione alcuni concorrenti sono entrati soprattutto ove i
margini di guadagno erano più elevati, e il
regolatore è allora dovuto intervenire, attuando il cosiddetto
“ribilanciamento” tariffario che ha significato riallineare i prezzi ai costi
dei singoli servizi, e anche aumentare il canone. Per maggiori dettagli si rimanda a Cambini, Ravazzi e Valletti, Il mercato delle
telecomunicazioni, Il Mulino, 2003.
Appendici
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