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Michele
Serra
"Signora, mi deve mezzo dollaro". Con i suoi occhi cisposi, i denti cariati, l'alito fetido, l'espressione idiota, la voce odiosa, il salumiere aspettava che gli pagassi la dozzina di uova. Aveva la classica faccia da porco ma da porco vecchio, malato, guasto dentro. Il suo negozio era disgustoso. Fuori cadeva, lentissima, una pioggia lercia. Vomitai: una, due, tre, quattro volte. Dentro le viscere sentivo esplodere la violenza, la meschinità, l'ignominia, la sporcizia, la volgarità, la viltà del mondo: l'orrore mi mordeva lo stomaco, me lo smangiava, me lo corrodeva. Mi accorsi che parlavo da sola, ma a voce altissima: gridando. Mi strappai i capelli, morsicai la borsetta, mi rotolai per terra, diedi fuoco a due scaffali, estrassi una rivoltella e sparai tre colpi in aria, suonai una tromba, feci la cacca, mi congiunsi spasmodicamente con un negro, mi tagliuzzai un piede con una lametta. Poi pagai il conto. Il salumiere mi fissò con la sua espressione ebete, laida, immonda, turpe, sconcia, triviale, ottusa, empia, cretina,ignorante, cafona, arrogante, offensiva. Io gli fissai le scarpe, veramente bruttissime, e gli allungai il suo schifoso, fottuto, atroce, insolente, blasfemo mezzo dollaro. Vomitai: una, due, tre, quattro volte. "Signora, se viene l'ufficio di igiene passerò dei guai" disse il salumiere. Ma io non lo ascoltavo più: ero già fuori, sotto una pioggia putrida e appiccicosa, con la mia dozzina di uova. Mi doleva la ferita alla natica destra: due pallottole a Città del Messico. Mi bruciava anche la ferita alla natica sinistra. Già: dove, quando, come, perché, in quale vergognoso budello del mondo mi ero ferita alla natica sinistra? Per quanto mi sforzassi di ricordare (e il cervello mi doleva, urlava, impazziva, soffriva, smaniava, piangeva, pregava, guaiva, puzzava?), ero certa di non avere mai subito ferite alla natica sinistra. Eppure mi bruciava: "Signora, scusi, non si sieda sulla mia fiamma ossidrica: potrebbe farsi del male". Così mi disse l'operaio che stava riparando una saracinesca, con la sua faccia criminale e la sua voce da scimmia violenta. Vomitai: una, due, tre, quattro volte. Feci le scale di casa di corsa, mentre tutto l'orrore e l'ingiustizia del mondo mi dilaniavano il pancreas, le reni, i timpani, l'esofago, i talloni, o polpacci, le ascelle, il pomo d'Adamo. Mi buttai dal quinto piano, urlai, piansi, mi fratturai, mi insultai, mi scotennai, mi ficcai un tacco in un occhio, mi estrassi gli intestini dal ventre e feci un nodo Savoia, mi denudai, torturai la portiera, disputai le semifinali di un torneo di ping-pong. Infine mi ricomposi ed entrai in casa: le uova si erano tutte rotte. Tranne un uovo. Uno, uno, uno solo, un uovo, un uovo, solo uno. Quell'uovo, proprio quell'uovo. Lui. Sì: si può ancora vivere, sperare, provare tenerezza, amore, bisogno, fede, sapienza, bellezza, intelligenza, speranza, giustizia, verità. Ancora guardare il tramonto. Ancora destarsi sereni. Ancora vivere. Ancora.
Oriana Fallaci (?), Cuore, 1991
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