UNA POLITICA PER LA NON AUTOSUFFICIENZA

 

E’ più che risaputo che la nostra è una società che invecchia a vista d’occhio (stanno arrivando alla terza età le classi del dopoguerra dal 1946 al 1965). La scarsissima natalità non compensa la mortalità. Laspettativa di vita si allunga sempre più. Ciò comporta l’acutizzarsi del fenomeno della non autosufficienza, stato purtroppo non esclusivo dell’anziano, ma che, comunque, per semplicità o comodità gli viene comunemente riferito.

A fronte di questo, le famiglie composte ormai da un numero ridottissimo di componenti in età produttiva non riescono a sostenere con le proprie forze il carico assistenziale che la non autosufficienza del congiunto comporta.

Negli ultimi tempi fino ad un certo grado di non autosufficienza (non totale comunque), il fenomeno dei/delle cosiddetti/e “badanti” ha contribuito ad allentare molto parzialmente la pressione sugli istituti di ricovero per persone non autosufficienti. Questa nuova “professionalità” è espletata generalmente da persone immigrate disponibili a ricevere un salario (molte volte in nero) irrisorio a fronte di impegno francamente molto più cospicuo per cui è da ipotizzare che nella misura in cui due fattori (rivendicazione salariale e cambiamento per miglioramento del lavoro – da “badante” ad altro) contribuiranno a diminuire questo tipo di forza lavoro, la richiesta per l’inserimento in istituto crescerà nuovamente, fatto salvo naturalmente auspicabili avanzamenti della ricerca scientifica in grado di eliminare o diminuire patologie con le quali si manifesta la non autosufficienza.

Non è questa la sede, comunque, per elaborare approfondimenti o sfornare ulteriori statistiche a conferma del fenomeno ma serve piuttosto capire che i diritti esigibili dal cittadino comunemente riferiti alla tutela della salute, sanciti dall’articolo 32 della Costituzione, si sono gioco forza allargati anche ai servizi sociali (in questo campo rientra l’articolo 3 della Costituzione straordinario quanto generico nella sua stesura).

Ora, quindi, il grado di civiltà del nostro Paese non si misura più solo per la qualità dei servizi sanitari ma anche per quella dei servizi sociali e sanitari nel loro insieme.

In questo delicato frangente le Regioni, compresa la nostra il Veneto, sempre stata all’avanguardia nei settori della sanità e dei servizi sociali, scontano un immeritato ritardo, per non dire di peggio, politico, che impedisce una complessiva riorganizzazione dei servizi sociali, che pure la legislazione nazionale vigente sollecita.

L’applicazione della legge 328/2000 (Legge Turco) che permetterebbe di dotare Regione, Ulss e Istituti di strumenti fondamentali (le prime due in termini di programmazione, la terza di gestione) sono purtroppo ancora lettera morta. Ciò determina il prevalere di una politica miope e a forte valenza clientelare che non stimola il miglioramento della qualità dei servizi offerti.

Chiedere che finalmente la politica ritorni a occuparsi delle grandi strategie è doveroso, ma c’è da interrogarsi se la politica è in grado oggi di farlo.

 

Roberto Buttura

 

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