Di Sant’Antonio ne esistono
quattro, di San Giovanni quindici ma anche di San Precario, patrono dei
provvisori, ce ne sono almeno tre. Uno buono, uno brutto e uno cattivo. O almeno così la vede una parte della sinistra. La quale
plaude all’idea che il governo «assorba» (si fa per dire) i conti correnti «in
sonno» che riposano da dieci anni nelle banche senza una sola operazione
creditizia perché il titolare è defunto, e usi i soldi per assumere 300 mila
precari.
Forse 350 mila, precisa
Quello cattivo, si sa: manco a parlarne. Campeggia sui siti Internet della
sinistra alternativa benedicendo certe «azioni dimostrative»: «Miracolo a
Salerno! La sera di domenica San Precario è apparso dentro al
Ricordi Mega Store
cittadino, elargendo magnanimamente centinaia di cd copyleft e
dispensando preci e consigli su come attaccare la precarietà e la
mercificazione delle nostre vite. La polizia intervenuta in forze sul luogo,
tentando di identificare e fermare i devoti, si è quindi ritirata sotto le note
dell'inno di giubilo al Santo». Quello brutto, per carità. E' il San Precario
patrono di Totò «Vasa Vasa» Cuffaro,
additato come tutore di «privilegi e interessi clientelari nel tentativo di
mantenere i propri consensi» (Giovanni Barbagallo,
Margherita), protagonista del «governo dello spreco e della clientela» (Leoluca
Orlando, lista Di Pietro), ideatore di «enormi provvedimenti clientelari»
(Calogero Micciché, Verdi) anche per la sua indefessa
dedizione alla sistemazione dei precari.
Del resto, se ne vanta lui stesso, nella biografia scritta da Francesco
Foresta: «La vicenda dei precari è un'altra di quelle favolette
in cui vengo dipinto come l'orco cattivo che in
maniera clientelare sfrutta le sacche dei disperati. Se ci andiamo a rileggere
il contratto firmato con i siciliani ci accorgeremo
che ho semplicemente mantenuto gli impegni: avevo detto che avrei stabilizzato
i precari e che non ne avrei fatti di nuovi. Ho fatto questo. Resistendo a
tutto, anche a un'autobotte carica di benzina che
alcuni esagitati volevano far saltare in aria davanti alla Presidenza della
Regione per intimidire il governo e costringerlo a nuove assunzioni. Quando mi sono insediato ho trovato un esercito di 77 mila
precari, li ho ridotti a 22 mila».
E allora, chiede lui, qual è il problema? «La mia
colpa è quella di voler dare un futuro a gente che ha sempre visto il domani
come un grosso punto interrogativo». Coro da sinistra: orrore! Ma quello è, appunto, il San Precario cuffariano
e clientelare e procacciatore di voti plebei destrorsi che magari puzzano
perfino di rapporti inconfessabili con
Onestamente: c'entra qualcosa la scelta di assumere in due tranche
mezzo milione di precari con l'invocazione di uno Stato efficiente e pronto a
premiare i migliori come quello teorizzato da Romano Prodi nella sua «lettera
da Creta» del giugno 2005, quando faceva le pulci a Berlusconi?
Scriveva allora l'attuale premier che affrontare le
sfide «con le attuali regole che governano la pubblica amministrazione, la
giustizia, la scuola, l'università e la ricerca non è in alcun modo possibile».
E prometteva «concorrenza e riconoscimento dei meriti
per garantire l'efficienza».
Sia chiaro: nessuno può maramaldeggiare sul dramma di
centinaia di migliaia di persone che vivono da anni in una situazione di
precarietà: un contrattino oggi, uno un po' più lungo
domani... Ed è vero che hanno il diritto a non esser presi per la gola e per i
fondelli da una macchina pubblica che spesso con loro gioca sporco. Ma loro
stessi, che oltre a essere aspiranti dipendenti
assunti per l'eternità sono anche cittadini che necessitano di buoni medici e
buoni impiegati del catasto e buoni vigili urbani e buoni maestri e buoni
professori lo dovranno ammettere: possiamo andare avanti così, di sanatoria in
sanatoria? Affiderebbero volentieri se stessi a un
cardiologo che li opera non perché lo sa fare ma perché assunto dopo anni di
precariato senza aver mai vinto uno straccio di concorso e aver mai fatto
un'esperienza seria all'estero? Questo è il nocciolo: con la scelta di
sistemare i precari viene data la precedenza per
l'ennesima volta a una categoria, una battaglia sindacale, una prospettiva
politica piuttosto che alla cosa pubblica, allo Stato, ai cittadini. Appena
fatto ministro, Luigi Nicolais spiegò al Corriere
che bisognava svoltare. Conosceva le tabelle, riprese
dalla stessa Cgil, sulle ore lavorate l'anno dei
dipendenti pubblici secondo i contratti collettivi:
Gian
Corriere della Sera di
lunedì 11 dicembre 2006