CARMELA E QUELLA RECITA A SCUOLA

“Per non soffrire ci vuole pazienza”

 

TARANTO - Sul tavolaccio dell’obitorio, ricoperta da un lenzuolo bianco, sta Carmelina. Accanto al suo volto intatto, un mazzetto di cinque rose bianche e una foto di gruppo, in cui Carmelina è proprio al centro. Classe III D, scuola media Frascolla, 16 dicembre 2006, c’è scritto dietro la foto. «Era l’ultimo giorno di scuola per lei, poi Carmelina doveva andare nel centro di accoglienza di Lecce - dice la sua insegnante di Lettere, Gabriella Iarussi -. Così abbiamo pensato di farle una festa». Ma nella foto Carmelina ha la faccia triste. «Non voleva andar via - dicono i suoi compagni di classe -. Con noi stava bene». Qualcuno diceva che era «pazza». Nooo, dicono i ragazzi e le loro mamme. «Carmelina era un po’ diversa dagli altri, ma nel senso che cercava in tutti i modi di mettersi al centro dell’attenzione perché voleva essere amata».

Non devono essere parole di circostanza queste, perché la sua insegnante ci fa vedere Carmelina di qualche mese fa. In un dvd realizzato nell’ambito di un progetto scolastico sull’esclusione sociale Carmelina si muove, parla, gesticola, si immedesima nella parte, insomma recita, in maniera sorprendente per una persona giudicata «psichicamente instabile» già a 13 anni. Così carina da risultare immediatamente telegenica alla prima inquadratura, i capelli lunghi raccolti in una fascia nera che le scopre la fronte ampia, Carmela recita un monologo davanti a una sedia vuota. Su quella sedia, è seduta lei, la lei «vera», a cui l’attrice Carmelina si rivolge così: «Ti trattano male alla fermata del tram? Ti prendono in giro quando esce per strada? Tu non dare importanza a queste cose. Cerca sempre di avere pazienza e vedrai che riuscirai a non soffrirne». E’ davvero brava, Carmelina. E la sua dizione, così curata per l’età e il luogo di nascita. Come fa una così a essere «matta»?

Non si conoscono i dettagli, ma subito dopo che Carmelina ha deciso di prendere il volo sono trapelate strane voci sulla diagnosi psichiatrica che la riguarda poiché, alla luce di una consulenza disposta dal magistrato, quella diagnosi si sarebbe rivelata piena di gravi limiti, se non proprio sbagliata.

Carmelina in istituto non ci voleva andare. A casa stava bene. Non le mancava nulla. Famiglia povera, ma tenore di vita dignitoso. Il papà, Alfonso, venditore ambulante di biancheria, e sua sua madre, Luisa, casalinga, le hanno dato tutto ciò che avevano. Anche due sorelline, di cinque e sei anni. Carmelina aveva perso il papà quando aveva due anni. Poi sua madre si è risposata con Alfonso, che a Carmelina ha sempre voluto bene come fosse figlia sua. «La permanenza in quell’istituto è stata un calvario - dice l’insegnante Iarussi -. Carmelina mi telefonava sempre eme lo diceva, e i suoi compagni mi affidavano lettere e messaggi per lei che io le consegnavo quando andavo a trovarla».

L’ultimo biglietto scritto di suo pugno in bella grafia, carattere stampatello, senza sbavature grammaticali è proprio per la sua prof. Era, questa dei biglietti, una forma che Carmelina utilizzava spesso quando voleva comunicare qualcosa di importante, o quando voleva farsi perdonare qualcosa. «Cara prof, le voglio chiedere scusa... Solo adesso mi sto rendendo conto in che guaio mi sto mettendo. Ma da oggi le prometto che cercherò di farmi prendere più seriamente».

La lettera, colorata di rosso e di verde, Carmelina l’aveva consegnata alla prof prima di partire. Ai suoi genitori, però, aveva detto qualcosa di più. «Prima o poi mi ammazzo, l’ha detto e lo ha fatto», dice sua madre, tra le lacrime, di fronte al corpo della figlia. Perché, dicono adesso tutti, Carmelina pensava a morire? Quale disperazione la spingeva a dire quello che poi ha davvero fatto?

 

Carlo Vulpio

 

Corriere della Sera di martedì 17 aprile 2007

 

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