CARI FIGLI UCCIDETECI

 

Colloquio con Ilvo Diamanti

 

   L’Italia? Un paese che non ha futuro, vive in un improbabile eterno presente e non riesce ad immaginarsi un orizzonte. Perché non è più capace nemmeno di sognarli, gli orizzonti. Una volta la sinistra aveva qualcosa da dire, perché si considerava il nucleo vivente dell’avvenire, all’opposto della destra che voleva lasciare le cose come stavano. Oggi invece la sinistra cerca solo di preservare lo status quo, così è diventata una forza di conservazione dell’eterno presente: un gruppo di notabili che difende i propri interessi di categoria. L’unico che è stato capace di vendere un sogno? Silvio Berlusconi. I motivi di questo stato di cose? Intanto l’Italia non ha futuro perché non sa liberarsi del suo passato. Poi perché è una società vecchia che non si pone il problema di come rigenerarsi. E sono scomparse o quasi le due grandi culture politiche di riferimento, quella cattolica e quella comunista, entrambe, a loro modo “provvidenzialiste” ed “evoluzioniste”. Così finisce che gli unici elementi di novità li abbia introdotti la destra perché ha affrontato una palingenesi e ha distrutto il suo passato. Ma attenzione, li ha prodotto fino all’altro ieri: la campagna elettorale del 2006 è stata la dimostrazione lampante di come tutti, sinistra e destra, viaggino ormai con lo sguardo nello specchietto retrovisore, e in difesa dell’esistente.

   L’analisi di Ilvo Diamanti, politologo, prorettore dell’Università di Urbino, firma prestigiosa de “La Repubblica” attualmente impegnato in un corso di Sistemi politici comparati alla scuola dottorale di Paris II, considerato uno dei più acuti interpreti della società italiana, è impietosa. In questa intervista a “L’Espresso” lancia una provocazione e traccia un quadro allarmante.

   Professor Diamanti, per un paese è drammatico non riuscire a immaginare il proprio futuro. Significa non progettare, non elaborare, non scommettere, stare in un eterno presente.  

   E pensare che, fino a poco fa, la politica era proiettata nel futuro. Per spiegare il presente, partirei da qui, per opposizione. Nella tanto vituperata prima Repubblica eravamo poveri alla ricerca della ricchezza, avevamo un paese distrutto che voleva ricostruirsi. Dal punto di vista politico eravamo integrati di identità intrecciate con la vita quotidiana. Ed erano identità “teleologiche”: si credeva che un giorno sarebbe arrivata la redenzione. I comunisti e i socialisti erano figli di filosofie positive”.

   Le magnifiche sorti e progressive del socialismo?

   “Certo. E’ l’idea che il futuro è nostro perché sarà migliore del passato. E che lo possiamo costruire. Da questo punto di vista il socialismo è simile al provvidenzialismo cattolico. La dottrina sociale della Chiesa è evoluzionista e provvidenzialista perché mira alla costruzione del regno dei cieli, che sicuramente verrà”.

   Sta parlando di idee. Sono quindi le ideologie, e non la vita della gente a tracciare il futuro?

   “Il paese ha un futuro fino a quando fa della rincorsa economica e del riscatto sociale la propria missione, e quando ha dei partiti politici che sostengono quel progetto. Si ha un futuro perché te lo promette la stessa visione del mondo del partito a cui appartieni. Negli anni Ottanta eravamo ancora un paese demograficamente giovane, dinamico. E poi gli ottantenni di oggi, quelli come mio padre, nati negli anni ’20, avevano fatto la guerra da giovani e la ricostruzione. I cinquantenni di oggi (come me) hanno assistito al cambiamento profondo della società e sono stati la prima generazione più colta dei propri genitori. Mia padre aveva un futuro, io lo avevo. L’ultima generazione, quella dei miei figli, nati dopo il 1989. vive invece nel benessere. Se giuro al futuro dei miei figli non lo vedo o lo vedo molto corto”.

   Perché si è preso di vista il futuro?

   “Perchè il nostro sistema politico ha esaurito la sua missione con la caduta del muro di Berlino. Fino ad allora i grandi partiti garantivano un futuro alle classi sociali: i contadini e gli operai guidavano il paese attraverso i partiti di massa che avevano mobilità sociale. La mobilità è una forma di futuro. Contadini e operai erano entrati al governo, al parlamento, non si erano limitati a eleggere le solite èlite”.

   Mentre oggi?

   “Siamo un paese in cui la politica esprime una politica senza cultura politica. Oggi abbiamo a che fare con soggetti politici e partiti che sono “preoccupati”.

   Si sono limitati a coprire un vuoto lasciato da chi è finito sepolto sotto le macerie. Come finirà?

   “Per capirlo, ancora uno sguardo da dove veniamo. La Dc, dunque, l’emblema della prima Repubblica, aveva fondato il sistema non sulla competizione, ma sulla coabitazione, cercando di rendere compatibili gli opposti. Era il paese delle “convergenze parallele” e degli “equilibri avanzati”. Moro viene ucciso non a caso, è l’ultimo dei grandi mediatori che avevano un disegno. Poi arrivano i dorotei – i tecnocrati come De Mita sono minoranza – che si limitano a usare il partito, oppure lasciano che sia la società a governare il partito. In un paese in cui l’anticomunismo è l’unico motivo che tiene insieme o divide i partiti, la caduta del Muro manda in frantumi la Dc. Quanto al Pci, ne risulta delegittimato. Assistiamo alla doppia diaspora. Scompare la Dc, ma restano i democristiani. Mentre il Pci è costretto a rinnegare il suo passato”.

   Le conseguenze, oggi?

   “Abbiamo soggetti politici impegnati a negare il passato e nuovi partiti che non hanno memoria. Ma il problema è che in Italia paghiamo non solo la debolezza del liberali (brave persone come Malagodi, gente che faceva belle riviste come “il Mondo” ed era identificata con gli Agnelli, con Marzotto, ma priva di radicamento territoriale), ma anche dei socialdemocratici. Al di là di altre considerazioni, il Psi di Craxi, l’unico ad aver cercato di affermare il riformismo laico di sinistra, non ha avuto il peso elettorale adeguato alle sue ambizioni”.

   Rimane un problema. Oggi, in teoria tutti avrebbero l’interesse a lavorare sul futuro. Perché non è stato così?

   Perché siamo un paese dissociato, schizofrenico, ancorato al passato dal punto di vista delle identità politiche e sociali e che ha attori politici incapaci, appunto, di immaginarsi e inventarsi il futuro”.

   Quali sono i motivi veri di questa schizofrenia?

   “Il successo di Berlusconi, nei primi anni Novanta, ha imposto un modello di politica che ha sostituito la comunicazione all’organizzazione e la personalizzazione alla partecipazione. Ma se una democrazia consociativa si trasforma in fretta in una democrazia di marketing elettorale è la stessa politica che spinge a ragionare retrospettivamente o al massimo sul presente immediato. Anche se in realtà l’elettore vorrebbe sempre il nuovo”.

   La gente guarda più al futuro dei politici?

   “Sì. Sceglie Berlusconi nel ’94 perché promette di essere il nuovo (e lo è rispetto agli altri). Due anni dopo sceglie Prodi perché lo vede come l’uomo giusto per portarci in Europa ed è l’antidoto contro le tendenze secessioniste della Lega. Nel 2001 rivince Berlusconi perché distribuisce un’idea del futuro. Dice grosso modo: avete sofferto e pagato abbastanza, io sono l’imprenditore che vi porta oltre l’Europa e corona il sogno italiano; tutti potete diventare come me”.

   Ragionando per campagne elettorale, poi c’è il 2006, cioè oggi.

   E tutto si gioca sul passato e non sul futuro. Il centrosinistra fa una campagna su ciò che ha fatto o non ha fatto Berlusconi. Quello risponde e spiega che ciò che non ha fatto non glielo hanno lasciato fare. E quando ha visto che stava perdendo ha puntato sulla paura del comunismo, delle tasse. Sulla paura di un futuro guidato dagli altri”.

    E al futuro chi ci pensa?  

    “Il paese si è abituato a fare da sé e a non usare le sue classi dirigenti. Ha elaborato la grande capacità di muoversi per piccoli gruppi, piccoli circoli. Affronta le sue sfide adattandosi, giorno per giorno. Ma si muove attraverso la logica del veto più che della preoccupazione”.

   E i politici?

   Nel momento in cui la politica è fatta da piccoli circoli e usa anzitutto i media, la comunicazione e il marketing, non vende più il futuro all’elettore, vende un prodotto”.

   Vende il presente.

   Esatto. Noi siamo la Repubblica del senatore Pallaro, lui è il riferimento ideale. Si naviga a vista. Nessuno si azzarda a spiegare cosa potresti essere, ciò che devi essere, il vero ruolo delle ideologie e delle profezie: ti danno la possibilità di guardare al futuro. Sai bene, magari, che nella vita non realizzerai quell’obiettivo, ma hai un orizzonte. Anche per questo oggi c’è tanta sfiducia. Perché la fiducia, come suggeriva Rimmel, è una “ipotesi sulla condotta futura”. Sul futuro”.

   E’ grave soprattutto per una sinistra che si faceva vanto di essere il futuro. E forse lo era.

   “Il centrosinistra oggi riflette due tradizioni. Una, democristiana, è stata sconfitta e l’altra, comunista, è impegnata a nascondere il passato perché a essere sconfitta è stata la sua “realizzazione” storica. Dovrebbe avere il coraggio di elaborare e non lo fa. La sinistra italiana ha scarsa consuetudine col gradualismo, col riformismo, gli sembra frustrante dopo aver immaginato ben altro. Ha difficoltà a fare le riforme e ha perso i sogni. Difende l’esistente. Paradossalmente, e fino a un certo punto, le uniche novità le ha prodotte la destra che ha vissuto un processo palingenetico, è sorta sulla distruzione del passato. Berlusconi ha alimentato incubi e prodotto sogni. In un modo o nell’altro è stato l’unico a fare sognare”.

   Forse non si guarda il futuro anche perché si sta bene così come si sta.

   “A me pare piuttosto di avere davanti un paese stanco e poco interessato al futuro perché vecchio. Non si accorge che potrebbe essere giovane se usasse gli altri, gli immigrati, come risorsa anziché come minaccia. Ma la paura “rende” politicamente più della fiducia, questo è il problema. E allora si gioca tutto sulla minaccia del passato. Le parole d’ordine continuano a essere comunismo, anticomunismo, tangentopoli, Craxi, nuovo centro. Le classi dirigenti faticano a crescere perché i luoghi di formazione sono vecchi. Anche il sindacato o la Confindustria, associazioni dove un tempo si producevano i cambiamenti, sono rivolte al passato. Il sindacato perché per metà i suoi iscritti sono i pensionati. Quanto a Confindustria, basta un esempio: a Vicenza avevano organizzato un convegno sulla competitività (il futuro) e hanno finito per discutere di Berlusconi e dl suo attacco a Montezemolo e Della Valle”

   Nel Paese vecchio cosa dovrebbero fare i giovani per emergere?

   Prendo ad esempio il mio primo figlio, Giovanni, nato nel 1989 mentre cadeva il Muro. Nonostante tutto, fa politica ed è una delle cose più importanti della sua vita. Ma lui e i suoi coetanei hanno uno spazio di manovra ridotto. La politica la facciamo noi che abbiamo il futuro alle spalle”.

   Prima o poi si ribelleranno.

   “Dovrebbero ucciderci. Già, ma poi cosa gli rimane? Per come vivono, noi gli siamo indispensabili perché il nostro controllo su di loro è totale e loro sono nostri complici. Non gli abbiamo lasciato nemmeno lo spazio della ribellione”.

 

Gigi Riva

 

L’Espresso del 22 marzo 2007

 

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