DAI TERRITORI OCCUPATI DI PALESTINA. NOVEMBRE 2005.

Con il ritiro unilaterale dalla Striscia di Gaza voluto da Sharon la pace sembra ormai fatta in Terra Santa, tanto che uomini politici di destra ma anche di sinistra come il segretario dei DS Piero Fassino hanno chiesto fin da subito il conferimento al premier israeliano del Nobel per la pace.

Ma è davvero così sul terreno reale?

S. palestinese di Gerusalemme a questa domanda risponde ‘il ritiro dalla Striscia di Gaza è stata una mossa abile sul piano mediatico suggerita dal consigliere personale di Sharon per salvarlo dal processo giudiziario che stava incriminando lui ed alcuni componenti della sua famiglia per reati di corruzione‘.

R. di Nablus una città della Cisgiordania il cui centro storico è stato dichiarato patrimonio mondiale dell’umanità dall’UNESCO e continuo teatro di scontri che hanno provocato centinaia di vittime e distrutto la straordinaria bellezza della città ottomana mi dice ‘l’apertura del valico di Rafah nella Striscia di Gaza ai confini con l’Egitto non durerà per molto tempo, presto gli israeliani troveranno un qualsiasi pretesto per rinchiudere i palestinesi nella più grande prigione a cielo aperto del mondo, come sempre!‘.

Nessuno dei palestinesi della Cisgiordania (al contrario di Fassino) sembra credere ad un vero accordo di pace nell’immediato futuro.

Sul terreno la realtà sembra dar loro ragione a tutti gli effetti.

La costruzione del Muro avanza imperterrita, confiscando i terreni più fertili ed i pozzi d’acqua dei palestinesi, taglierà a metà villaggi contadini come quello di Nazlet Essa nel distretto di Tulkarem dove gli stessi componenti di una famiglia non potranno più incontrarsi come sempre senza uno speciale permesso dell’IDF (Esercito di Difesa Israeliano).

In una calda giornata di fine novembre sono nel villaggio agricolo di Attil sempre nel distretto di Tulkarem, città situata a Nord della Cisgiordania. Il tracciato dell’imminente Muro è già delineato con una lunga rete e con dei fili spinati, e la terra di Attil di proprietà palestinese è già divisa dalle abitazioni del proprio villaggio, l’IDF presiede giorno e notte un cancello di passaggio dove i contadini entrano alla mattina ed escono alla sera ad orari ben definiti dall’esercito occupante.

L’analogo fatto accade nelcancello‘ del villaggio di Shweekeh, dove il varco viene aperto e chiuso in determinati orari per far passare i bambini del luogo che frequentano la scuola che si trova dall’altra parte dei fili spinati.

Ma questo rappresenta soltanto un piccolo spaccato del ben più complesso sistema di apartheid creato dagli occupanti nella West Bank, che riguarda la circolazione dei palestinesi nel proprio territorio e la dipendenza economica delle merci che entrano nei Territori Occupati.

Nessun palestinese può andare con la propria automobile o taxi collettivo in un’altra città dei Territori anche se vicina senza permesso speciale dell’IDF se questo implica il transito per le strade israeliane, le famose by-pass road costruite per collegare i ‘settlements‘ dei coloni della West Bank con lo Stato d’Israele.

Capita che un palestinese di Tulkarem possa andare nelle città di Jenin o Nablus poiché può arrivarci per strade interne sterrate, e facendo a volte ore di fila ai check- point, ma non possa andare nelle città palestinesi di Hebron o Gerico senza il permesso speciale poiché transiterebbe per strade ‘ israeliane‘.

I check-point fissi o mobili (inventati al momento) fanno da cornice a questo quadro di apharteid.

Al check-point di Huwarh in uscita dalla città di Nablus e che porta nella strada verso Ramallah, un militare non più che diciottenne mi propone di by-passare la corsia palestinese e di transitare per la corsia ‘privilegiata‘ senza controlli in quanto ‘europea occidentale‘.

Rifiuto la proposta e passo le cancellate e tutti i controlli, capisco all’uscita il motivo, alcuni soldati stavano procedendo all’arresto di tre ragazzini palestinesi di 15-16 anni circa che non vengono ammanettati ma bensì legati ai polsi con una fascetta bianca che qui da noi ho sempre visto usare per unire i cavi elettrici.

Con me ci sono due donne della società civile israeliana che fanno parte di un’associazione internazionale per i diritti umani che tentano invano il tutto per tutto per far liberare i ragazzini, e mi spiegano bene che questa è una pratica giornaliera.

La loro fine è la detenzione amministrativa presso le carceri israeliane, per un periodo di tempo deciso dall’IDF (a volte breve, a volte lungo) dove viene applicata regolarmente la tortura in barba a tutte le convenzioni internazionali e che serve ad uno scopo ben preciso: terrorizzare i maschi palestinesi per farli diventare dei collaborazionisti una volta usciti dal carcere e re-immessi nel territorio. Tentativo che a volte gli va bene, a volte gli va male in questo caso la detenzione viene prolungata.

Il fenomeno delcollaborazionismo‘ è una vera piaga per la società civile palestinese, sempre più si assiste alla regolazione interna dei conti fai-da-te che non viene spesso punita dall’Autorità Nazionale Palestinese che non ha reali poteri poiché non è di fatto un’Autorità di uno Stato Sovrano con tutte le sue prerogative (stato di diritto, uso legittimo della forza ecc….).

Guardo bene nel viso i soldati israeliani di tutti i check-point che trovo strada facendo e vedo che la maggioranza di loro non sono di colore bianco ma bensì arabi o eritrei, la stessa cosa mi capita in visita alla Moschea Al-Aqsa di Gerusalemme dove un militare israeliano posizionato all’ingresso registra il mio passaporto e mi dice di essere musulmano pure lui (tratti del viso assolutamente arabi).

Mi chiedo chi siano e soprattutto cosa sta succedendo all’interno dello Stato Ebraico!

Molti di loro sono ebrei Mizrachi (ebrei arabi), fatti immigrare in Israele negli anni ’50 dove inizialmente vivevano nei quartieri degradati delle grandi città e negli allora nuovi insediamenti isolati nelle zone di confine, cittadini israeliani a tutti gli effetti per cui il servizio militare è sempre stato obbligatorio.

Altri sono Drusi, un islam particolare presente in tutto il mondo arabo che si differenzia dall’islam tradizionale per credenze e pratiche religiose diverse e sul piano politico non sempre ma spesso sono stati ostili al nazionalismo arabo, la loro specificità è stata riconosciuta negli anni ’50 da Israele con uno statuto a sé che conferisce loro autonomia in materia religiosa e familiare, anche per loro il servizio militare è obbligatorio e l’eventuale dissidenza come per tutti i cittadini israeliani (vedi Refusenik) è punita con il carcere.

Ma la vera novità di questi ultimi anni è l’arruolamento volontario degli arabo-israeliani cristiani e musulmani, i nipoti di quel quarto (300.000 su 1.200.000 circa) di palestinesi che non sono diventati profughi nel 1948 ma rimasti a vivere nelle loro case che oggi sono Stato d’Israele concentrati soprattutto in Galilea e nel Wadi Ara’ e che sono stati sottoposti a governo militare (come oggi i Territori Occupati) fino al 1966.

Per gli arabo-israeliani il servizio militare non è mai stato obbligatorio, ma oggi molti di loro decidono volontariamente di arruolarsi perché gli permette una serie di vantaggi economici che lo Stato d’Israele non gli ha mai concesso (accesso a molte professioni prima interdette, stipendi più elevati nelle aziende private, accesso al credito bancario per somme più alte e tassi di interesse più bassi e molto altro).

Ebrei mizrachi, drusi, beduini, arabo-israeliani siano essi cristiani o musulmani rappresentano la fascia più debole della società israeliana, più soggetta a disoccupazione e maggiormente colpita dalle politiche ultra-liberiste attuate negli ultimi anni dal Ministro delle Finanze Benyamin Netanyahu (al cui confronto la lady di ferro M. Thatcher era una Keynesiana!).

Alcuni politici israeliani vociferano che in un futuro non ancora ben definito, quando l’intero sistema di apartheid con la fine della costruzione del Muro sarà ultimato e l’esercito potrà essere così razionalizzato, si potrà pensare al servizio militare su base volontaria come sta avvenendo in tutto l’Occidente, a quel punto ad avere il possesso delle CHIAVI dei BANTUSTAN con 4.000.000 di palestinesi segregati nella Striscia di Gaza e nella West Bank potrebbero essere soltanto soldati israeliani arabi.

Agli ebrei ashkenaziti (bianchi di origine europea) potrebbero essere riservati se lo vorranno le carriere più alte dell’esercito, l’aviazione, oppure occuparsi soltanto di attività economiche remunerative.

Per gli osservatori più acuti sembra che tutto ciò non sia affatto un’astrazione.

Tutto questo si può chiamare pace ?   

 

Michela Chimetto

 

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