LA TUTELA DEI MEDICI
«Il neurochirurgo? Non c'
è, o meglio c' è, ma è stato chiamato da un' altra parte». Può succedere - di sentirsi rispondere così - in qualche ospedale
degli Stati Uniti. In Florida, per esempio, i neurochirurghi disposti a operare in emergenza (traumi della strada, emorragie
cerebrali) sono rimasti in 4, per 13 ospedali, per 16 milioni di abitanti.
Troppo rischioso. Se qualcosa va storto - e con i traumi della strada succede -
c' è l' avvocato, pronto a portare il medico in
tribunale (siamo arrivati al punto che certi medici, là, hanno proposto di non
curare più gli avvocati).
In Italia le azioni legali contro i medici
sono 15 mila all' anno, e gli ospedali spendono 10
miliardi di euro per risarcire errori (e non). In Italia, un medico con vent' anni di carriera ha 80 probabilità su 100 di avere
guai con la giustizia. Ha anche 80 probabilità su 100 di venire
assolto. Vuol dire che molte di queste cause non hanno
fondamento. Ma intanto il modo di fare la medicina cambia, certi esami si
fanno, non perché servano, ma per paura dell' avvocato.
Se un certo intervento può essere risolutivo, ma ha dei rischi, molti tendono a
non farlo. Assicurarsi, per neurochirurghi, ortopedici e ostetrici diventa sempre più difficile. Dovrebbe farlo l' ospedale, ma le compagnie gli ospedali non li vogliono
più assicurare, e se lo fanno applicano premi altissimi.
Cosa fare? 1)
Bisognerebbe curare solo chi è davvero malato e limitarsi alle
cure per cui c' è, nella letteratura scientifica, evidenza di efficacia.
Ogni procedura, in medicina, ha un rischio (magari piccolo), ogni farmaco ha
effetti negativi (magari lievi): va evitato tutto quello
per cui c' è grande probabilità che i rischi superino i vantaggi. 2) La
giustizia dovrebbe utilizzare criteri di causa e
effetto. (E' inutile dibattere nei tribunali di errori
che non hanno avuto conseguenze per l' ammalato, meglio farlo negli ospedali,
dove, purtroppo, di errori si parla poco. E lo si
dovrebbe fare apertamente e senza ipocrisie: è uno dei modi per imparare). E l' eventuale errore va dimostrato con i criteri della
scienza. 3) Bisognerebbe saper distinguere fra responsabilità del singolo e dell' organizzazione. Quasi mai un ammalato va male per
«colpa» di quel medico o di quell' infermiere. Ma le
azioni legali sono quasi sempre contro il tale o il
tal altro. E' possibile che queste regole aiutino, ma
i medici sono uomini, e neanche scelti per essere migliori degli altri,
sbaglieranno ancora.
Aumentare le occasioni di scontro
non serve, al contrario va aperto un dibattito, senza pregiudizi, che coinvolga
ammalati e medici, certo, ma anche chi governa la sanità, gli avvocati, i
magistrati, il pubblico. C' è già, adesso, in Lombardia, una università
con 14 studenti di ingegneria e 2200 di scienza della comunicazione. Dobbiamo
evitare che un giorno ci possano essere, a Milano, scuole di medicina con 14
studenti di chirurgia e 2200 fra omeopati, ayurvedici e
esperti di massaggi cinesi.
Giuseppe Remuzzi
Corriere
della Sera di venerdì 25 marzo 2005