IL DIRITTO
ALLA SALUTE
È UN BENE
PER LE PERSONE
E UN
INVESTIMENTO
PER IL PAESE
Le proposte
dei DS
Le
prossime elezioni regionali vedranno al centro della campagna elettorale le
proposte in materia di diritto alla salute. I DS considerano la salute un bene
primario ed essenziale per promuovere i valori dell’equità e della
cittadinanza, e per rilanciare lo sviluppo economico e sociale del paese. Le
esperienze realizzate dai governi regionali dell’Ulivo in materia di sanità e
di politiche sociali costituiscono un punto di eccellenza
della nostra azione di governo, che esprime in modo nitido un’alternativa al
centro destra.
Esse,
infatti, hanno dimostrato che un sistema pubblico sociale e sanitario
improntato sulla qualità è possibile; che la programmazione democratica e
partecipata crea condizioni di cambiamento governate
con il consenso dei cittadini; che lotta agli sprechi e qualità dei servizi non
sono termini fra loro incompatibili, ma fattori essenziali, al contempo, di
buon governo e sviluppo di una sanità pubblica moderna e di qualità.
Le
regioni governate dall’Ulivo non hanno avuto bisogno di inasprire la pressione
fiscale o di imporre ulteriori ticket per tenere sotto
controllo la spesa sanitaria, come sono invece state costrette a fare le
regioni del centro-destra, incluse il Veneto, la Liguria, la Lombardia e il
Piemonte. Questo è stato possibile per le scelte innovative che
hanno saputo imprimere ai propri sistemi sanitari, razionalizzando la rete
ospedaliera, sviluppando l’assistenza territoriale, che costituisce oggi ben
più del 50% della spesa sanitaria totale di queste regioni, investendo in nuove
tecnologie diagnostiche, informatizzando l’accesso ai servizi,
“burocratizzando” il sistema. Questo è stato possibile grazie alle forti
relazioni che sono state sviluppate con gli Enti
Locali, che hanno accompagnato con fiducia tali processi di trasformazione, che
richiedono sia la adesione convinta degli operatori, sia la partecipazione
consapevole delle comunità.
Il
processo di innovazione, organizzativo e strutturale,
realizzato nell’ultimo decennio dimostra che vi sono tutte le condizioni per
garantire universalità, equità e qualità e che il diverso quadro che si
riscontra in altre realtà regionali non può essere solo attribuito alla
scarsità delle risorse, ma anche, e prevalentemente, a scelte di politica
sanitaria orientate da altre priorità e da altri interessi.
I NOSTRI PRINCIPI E I NOSTRI
VALORI
L’art.
32 della Costituzione recita: “la Repubblica tutela la
salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della
collettività”.
Il
Servizio Sanitario Nazionale definito nella legge 833/78 e confermato dal
D.l.vo229/99, garantisce la tutela della persona umana dall’inizio della sua
vita alla morte naturale e la promozione della salute
di tutti i cittadini secondo principi di universalità, equità e solidarietà.
Efficacia,
appropriatezza, accessibilità e continuità dell’assistenza sono le garanzie che
il S.S.N. deve assicurare a tutte le persone indipendentemente dalle loro
condizioni sociali ed economiche.
Se
si vuole garantire la salute come diritto di ogni
persona e si considera la salute come bene comune, va innalzata la quota del
PIL nazionale destinata alla sanità, che oggi è al di sotto della media
europea.
Per
noi, infatti, investire nella sanità e nel welfare significa
investire nella promozione dell’individuo, nella sua salute, della salute,
nello sviluppo sociale ed economico, nel benessere e nella innovazione del
paese.
Oggi
il Servizio Sanitario Nazionale, in tutte le sue componenti
(pubblico, privato e privato sociale) è fortemente compromesso dalle politiche
di definanziamento del governo nazionale di centro-destra che tende a
rappresentare il sistema sanitario pubblico come un comparto colpevole di
sperperare risorse e non come il garante della salute, ovvero di uno dei
principali beni individuali e collettivi (insieme all’istruzione, alla cultura
e all’ambiente) in grado di promuovere insieme la qualità della vita e lo
sviluppo socio-economico del Paese.
È
solo all’interno di una opzione politica centrata sui
diritti della persona e sull’analisi dei bisogni, nonché dei dati
epidemiologici in rapporto ai dati demografici e sociali, che si possono
orientare e qualificare le risorse, costruire l’offerta di servizi per la
promozione della salute, ridurre gli sprechi e le inefficienze e puntare alla
responsabilità e alla qualità nella gestione delle risorse umane ed economiche.
La
politica dei tagli indiscriminati alle risorse materiali e il blocco delle
risorse per gli investimenti nella rete sanitaria e per l’innovazione
tecnologica ha di fatto – in gran parte del paese, ma
soprattutto al Sud – paralizzato l’attività e ridotto i servizi erogati dal
servizio pubblico con un aumento dei costi per i cittadini, che spesso sono
dovuti ricorrere a prestazioni a proprie spese.
La
libertà di scelta dei cittadini si può esercitare solo in
presenza di un più forte, accessibile e qualificato servizio sanitario
nazionale orientato a rispondere, prima di tutto, agli effettivi bisogni di
salute.
La
professionalità, la responsabilità e l’autonomia di chi opera nel SSN sono condizione e garanzia perché il sistema
ritrovi, superando un esasperato economicismo, la sua missione per il raggiungimento
degli obiettivi di salute. La politica del blocco delle assunzioni e la
crescente precarizzazione dei medici e degli altri operatori sanitari, insieme
al ricorso esasperato e spesso immotivato alla esternalizzazione
dei servizi, operata dal centro-destra, ha potenziato e mortificato la principale
risorsa del sistema sanitario.
Oggi
la domanda di salute si presenta sempre più intrecciata a forti bisogni sociali
e la risposta non può che essere integrata prima di tutto a livello
territoriale, in ambito distrettuale, in stretto
rapporto con i Comuni e i Municipi, sollecitando anche tutte le potenzialità
dell’associazionismo e del volontariato e coinvolgendo i cittadini e le loro
associazioni nelle scelte che riguardano la salute.
In
questo contesto va valorizzato il ruolo che le famiglie
assolvono nella educazione alla salute e nell’assistenza ai suoi componenti.
Per questo va riconosciuto il loro diritto a essere
ascoltate, coinvolte e sostenute dal SSN e dalle politiche sociali degli enti
locali.
La
sanità che vogliamo cura in modo appropriato e si prende cura della persona, la
accompagna e la sostiene rispettandone diritti e dignità.
LE NOSTRE PRIORITÀ
1)
Un federalismo solidale
Il
Servizio Sanitario Nazionale pubblico universalistico nell’ambito di un federalismo solidale deve, innanzitutto, essere in
grado di garantire i livelli essenziali di assistenza in modo omogeneo su tutto
il territorio nazionale.
Questo
è tanto più necessario a fronte dei dati
epidemiologici che sottolineano come, rispetto a un aumento della speranza di
vita e a un miglioramento delle condizioni di vita, aumentano le disuguaglianze
nella salute.
La disuguaglianza più grande che attraversa
il nostro paese è quella che separa il Centro-Nord dal Mezzogiorno. Promuovere l’autosufficienza del
Mezzogiorno è dunque la priorità di un federalismo
solidale.
È allora necessario dare attuazione all’articolo 119 della Costituzione, definendo finalmente un sistema equo e
solidale per il finanziamento
delle nuove competenze regionali, e quindi anche, e principalmente, della
sanità. Federalismo solidale significa confermare un finanziamento del sistema
attraverso la fiscalità generale con la previsione di un
fondo perequativo di tipo verticale.
Il
finanziamento dei livelli essenziali di assistenza è
compito della fiscalità generale e dunque del Servizio Sanitario Nazionale.
L’autonomia impositiva regionale serve a
migliorare la qualità dei servizi e delle prestazioni. L’autonomia impositiva
è integrativa della fiscalità generale che finanzia i livelli. Un
esempio di federalismo solidale è rappresentato dalla legge D’Alema, ora
all’esame della Commissione Affari Sociali della Camera, che istituisce un
Fondo per interventi per la sanità nel Mezzogiorno in applicazione dell’art. 119
della Costituzione.
Tale
proposta prevede, nell’ambito di una politica di
rilancio del Servizio Sanitario Nazionale, l’esecuzione di un programma
straordinario decennale di interventi per l’implementazione dei servizi territoriali per la prevenzione e
le cure primarie, per la ristrutturazione edilizia, per l’ammodernamento
tecnologico del patrimonio sanitario e per la promozione dell’eccellenza e
dell’alta specializzazione, nonché la formazione e la qualificazione del
personale sanitario e della ricerca biomedica. Le risorse sono vincolate alla
promozione ed al sostegno delle capacità progettuali delle regioni interessate nonché alla innovazione ed alla qualità dei progetti.
Una
cabina di regia istituita presso il Ministero della salute e composta da rappresentanti del Ministero dell’economia e delle
finanze, dal Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca
scientifica, della Conferenza unificata e da esperti della pubblica
amministrazione, del mondo accademico e scientifico costituisce un efficace
coordinamento degli interventi in materia di sanità nelle regioni meridionali al
fine di valutare e unificare la realizzazione dei progetti, monitorandone i
risultati sul territorio e nel tempo.
Le
risorse del Fondo sono stanziate ogni anno dalla legge
finanziaria per una quota di 2 miliardi di euro e per la restante parte con
operazioni di mutuo, a carico dei bilanci regionali, che le regioni interessate
sono autorizzate ad effettuare con
Infatti
l’INAIL, come tutti i gestori di forme di previdenza e di assistenza
sociale, è tenuta a destinare una percentuale dei fondi disponibili per
investimenti immobiliari dei settori della sanità, della pubblica utilità e
dell’edilizia universitaria.
Un’iniziativa
importante per promuovere il federalismo solidale può essere rappresentata dallo sviluppo di forme di cooperazione e di partnerariato
con i centri di eccellenza e dalla promozione di gemellaggi tra regioni,
aziende sanitarie locali, università del Centro-Nord e del Mezzogiorno.
2)
La presa in carico e la continuità dell’assistenza
La
continuità dell’assistenza costituisce una vera e propria “riforma dal basso”
del sistema. La continuità dell’assistenza garantisce una reale presa in carico
del cittadino. Essa non è né una riposta tecnica, né un livello essenziale di assistenza: è il grande cambiamento che deve realizzare
l’assistenza sanitaria del Paese per rendere effettivo il diritto alla salute.
La
continuità dell’assistenza:
-
mette al centro del sistema il cittadino e non
la prestazione; mette al centro un bisogno di salute che non può essere
parcellizzato e un diritto alla salute che è tale solo se sa offrire un
percorso che unisce prevenzione, cura e riabilitazione;
-
mette al centro del sistema la globalità della
persona e non solo il suo corpo malato;
-
mette al centro del sistema la relazione di
fiducia tra il medico e il paziente.
La
continuità dell’assistenza è una nuova forma di tutela e presuppone un nuovo
contratto sociale. Essa costituisce (e presuppone) il concreto rovesciamento della
piramide: dall’ospedale al territorio. E chiarisce che la medicina territoriale
è la capacità di essere vicini alla dimora della
persona; è l’attivazione di percorsi personalizzati in cui prevenzione, cura e
riabilitazione costituiscono un unicum; è la capacità di attivare tutte le
risorse umane e sociali e i mondi vitali in cui le persone vivono ed entrano in
relazione, affinché vivano meglio.
Per
continuità dell’assistenza si intende l’integrazione
nel tempo e nello spazio delle risposte sanitarie, assistenziali e di
reinserimento nella famiglia, nelle attività sociali, civili e produttive,
necessarie a un cittadino in condizioni determinate di bisogno.
La
continuità dell’assistenza consiste nella erogazione
di pacchetti di prestazioni comprese in percorsi terapeutici di cura e di
assistenza socioassistenziale predeterminati che garantiscano continuità
dell’assistenza terapeutica e socioassistenziale con prestazioni di elevata
appropriatezza e aiutino nella maggiore misura possibile date le condizioni
dell’utente, il reinserimento. Essa comprende dunque, nei casi di riscontrata
necessità, anche il sostegno economico ai fini del reinserimento sociale.
I
percorsi di assistenza e di continuità dell’assistenza
sono rivolti ai cittadini che abbiano necessità di percorsi terapeutici
integrati e di reti di assistenza sanitaria, in condizione di emergenza, di
acuzie, di postacuzie e di riabilitazione; ai cittadini la cui patologia
richieda lunghi percorsi di cura e assistenza socioassistenziale, con
interventi differenti quanto a tipologia, tempo e luogo, da programmare e coordinare
tra loro, ai disabili non ricoverati,
alle persone in stato di accertata impossibilità di guarigione per i quali la continuità
dell’assistenza deve garantire una accettabile qualità della vita; alle persone
bisognose di sostegno ai fini di un adeguato reinserimento e a tutti coloro che
devono essere coinvolti in programmi di prevenzione secondaria.
La continuità dell’assistenza presuppone
che ogni persona sia seguita da un operatore responsabile della sua presa in
carico, che consenta un rapporto personalizzato e flessibile con il sistema
delle prestazioni e dei servizi sanitari e sociali. Questo operatore dovrebbe coincidere con
il medico di famiglia, supportato dall’insieme delle attività distrettuali.
L’affermazione
del diritto alla continuità dell’assistenza come una delle modalità
di funzionamento del sistema sanitario, risponde ad una esigenza fondamentale
dei cittadini utenti e rappresenta la maggiore domanda inevasa dall’attuale
funzionamento e organizzazione del sistema sanitario nazionale.
La
continuità dell’assistenza ha l’ambizione di rispondere al bisogno di presa in
carico crescente tra i cittadini e oggi sostanzialmente inevasa, al punto tale
da vanificare a volte le risposte tradizionali del sistema sanitario.
Se la sanità salva la vita, ma non riesce ad aiutare a vivere,
rischia di mancare al suo mandato costituzionale di creazione di pari
opportunità nella tutela della salute.
La
continuità dell’assistenza e la presa in carico
possono rappresentare gli strumenti per rispondere a bisogni di salute oggi
misconosciuti, per avere un sistema più flessibile, vicino e più facilmente
“utilizzabile” dai cittadini e per cambiare e rendere più efficace l’intero
sistema sanitario.
La
definizione di questo nuovo patto non si limita a rafforzare la sanità
territoriale, o a valorizzare la medicina di base o il sistema delle cure
primarie, ma rappresenta anche una sfida e un processo di trasformazione e di adeguamento di tutti i settori del sistema sanitario, da
quello degli acuti, alla riabilitazione, all’integrazione sociosanitaria, alla
prevenzione secondaria.
Infine,
la continuità dell’assistenza, caratterizzandosi come un progetto di riforma
radicale intorno a cui sarà probabilmente necessario
ridisegnare assetti istituzionali e modalità di funzionamento del sistema, e
per sorvegliare il quale sarà necessaria una grande attività di valutazione e
una grande capacità di orientamento strategico e di governo, richiederà
investimenti rilevanti sia in termini economici che intellettuali e
amministrativi.
La
scelta della continuità dell’assistenza inoltre porta con sé alcuni “corollari”
di non poco conto, anche per quanto riguarda le scelte di organizzazione
dei servizi e delle aziende sanitarie:
- spendere meglio in sanità significa spendere di più, cioè
fare nuovi investimenti non solo sull’aumento
dell’offerta ma sul cambiamento
dell’offerta stessa. Questi investimenti saranno in grado di far aumentare
l’efficacia dell’offerta sanitaria e, nel medio periodo, di avviare percorsi
virtuosi, che senza riduzione dei servizi, potranno accrescere anche
l’efficienza della spesa sanitaria;
- affrontare la questione che gli operatori
del sistema siano remunerati non per la fornitura di
singole prestazioni, ma per la creazione e la realizzazione di percorsi di cura,
consente di salvaguardare il valore del merito e delle competenze, remunerarle
anche dal punto di vista delle capacità produttive, di raggiungere obiettivi
salute e, contemporaneamente, superare alcune delle contraddizioni più
stridenti nell’uso dei DRG, che costringono a una “medicina difensiva”;
- il superamento della “aziendalizzazione dirigistica”
in cui il maggiore o minore esborso di risorse rischia
di diventare sempre più l’unico metro di valutazione della professionalità.
Bisogna apertamente schierarsi contro le burocrazie
paralizzatrici ed inefficienti, e proporre al personale sanitario un’alleanza
basata sulla valorizzazione del ruolo professionale, dando più potere e
maggiori responsabilità ai dirigenti sanitari per governare i percorsi di cura
e gli obiettivi salute da raggiungere;
- la creazione di nuove
figure professionali in grado di mettere in relazione le competenze
specialistiche tra di loro e con i cittadini;
- la possibilità di concentrare sulla
dimensione non di ricovero, sulla medicina
territoriale e di prossimità anche risorse materiali ed umane oggi impegnate
solo sulle attività di ricovero o di rogazione di prestazioni specialistiche, può
accrescere le risorse a disposizione della integrazione sociosanitaria;
- la personalizzazione dell’assistenza,
attraverso la presa in carico, contribuendo ad attenuare il difetto
di spersonalizzazione burocratica che isola gli utenti e mortifica la
professionalità degli operatori;
- la possibilità di integrare gli
“specialismi” che hanno assicurato lo sviluppo delle discipline
sanitarie e rimangono l’unica possibilità concreta di rimanere al passo con gli
sviluppi esponenziali delle conoscenze con la ricostruzione, anche per gli
“specialisti” di una visione complessiva del percorso assistenziale del
paziente e della storia della sua malattia con l a nascita di una nuova
“competenza specialistica” che si fondi sulla capacità di mettere in relazione
diversi saperi.
La
chiave di volta per costruire il percorso della continuità dell’assistenza sta
nello sviluppo della medicina delle cure primarie (MCP) quale un vero livello del
SSN, articolato, organizzato e finanziato
alla stregua del livello ospedaliero.
Una
MCP capace di assistere 24 ore su 24 il cittadino, di affrontare nell’ambito e
con il supporto del distretto la grandissima maggioranza delle patologie e di
seguire e sostenere il cittadino nel suo passaggio in strutture di degenza per
poi riaccoglierlo nel territorio avvalendosi
di una rete di servizi.
3)
La medicina delle cure primarie (MCP)
Nelle
proposte che dobbiamo definire in tutte le regioni lo sviluppo e l’organizzazione della medicina
delle cure primarie, con il pieno coinvolgimento dei medici, deve essere al primo posto quale strumento,
ben visibile e comprensibile da parte dei cittadini di un
sistema che cambia, non nell’apparenza
ma nella sostanza, il modo di accogliere, ascoltare e rispondere ai
problemi, a partire da queste prime semplici condizioni:
La
possibilità di aggredire le correnti modalità di
accesso al SSN, che penalizzano i più deboli, i più poveri, i meno acculturati,
gli anziani passa attraverso la
responsabilizzazione della MCP nella continuità dell’assistenza e quindi nella
organizzata disponibilità alla presa in carico.
Il
sistema delle cure primarie richiede la valorizzazione e la piena
responsabilizzazione della figura del medico di famiglia che deve
diventare il vero e proprio “tutor” del cittadino.
Il
medico di famiglia deve sempre più qualificarsi come un professionista
costantemente aggiornato, con competenze significative
nell’area socio-sanitaria, in grado di effettuare diagnosi [strutturate] in
coordinamento con lo specialista, e di porsi come filo conduttore dell’intero
percorso terapeutico dell’assistito, deve avere voce in capitolo nelle scelte
relative al governo del sistema.
4)
Le liste di attesa
La
stessa complessa problematica delle liste di attesa,
per ridurre le quali è già possibile oggi sperimentare procedure innovative,
che tengano conto della reale urgenza del bisogno, troverebbe soluzioni
efficaci nella responsabilizzazione della MCP sul versante
dell’appropriatezza dei tempi, dei
luoghi, dei percorsi.
Le
lunghe attese necessarie per poter usufruire di prestazioni del
SSN comportano:
Le cause di questo fenomeno possono essere
infatti ricercate:
- in difetti di
organizzazione delle strutture erogatrici, ad esempio è sicuramente
possibile migliorando il funzionamento dei sistemi di prenotazione regionale, inserendo
fra le strutture erogatrici anche quelle classificate e quelle accreditate
disponibili, favorendo le prenotazioni delle visite specialistiche e
della diagnostica direttamente dallo studio del medico di famiglia o dalle
farmacie pubbliche e private, dotando il sistema di prenotazione di una
anagrafe dei cittadini esenti, snellendo le attuali procedure burocratiche
che consentono irregolarità e abusi;
- in un’offerta quantitativamente inadeguata,
come avviene per alcune prestazioni specialistiche non soggette a possibili
abusi e inappropriatezza. Emblematico è il
caso della radioterapia. Molti cittadini rischiano la vita per una insufficiente disponibilità di radioterapia, che come
tutti capiscono non può attendere i tempi della disorganizzazione di molte
regioni.
- in un eccesso di richiesta impropria in parte determinata ed
autoalimentata proprio dai lunghi tempi di attesa,
come le prenotazioni multiple che vanno contrastate con strumenti
informatici e con il pieno funzionamento
dei sistemi di prenotazione, la ripetizione frequente di prestazioni senza
validi motivi, la duplicazione di indagini diagnostiche in rapporto alla
degenza ospedaliera, l’accesso inappropriato, spesso generalizzato, a diagnostica
di alto livello e costo per problematiche che non lo necessitano.
La soluzione dei problemi delle liste di attesa fondate
esclusivamente sul potenziamento dell’offerta di prestazioni non solo non è
concretamente sostenibile per la nota limitazione delle risorse ma rischia di
depauperare altri servizi e deve pertanto essere ricercata in meccanismi
organizzativi di perseguimento dell’appropriatezza, almeno in termini di
priorità.
Va potenziato innanzitutto l’utilizzo pieno delle strumentazioni e delle
dotazioni tecnologiche dei presidi sanitari pubblici,
spesso sottoutilizzate per il mancato turn over del personale, nonché per
problemi di gestione e manutenzione.
Vanno
individuate specifiche priorità sulle quali investire da subito come ad esempio
la radioterapia oncologica, l’oculistica
ecc. con il chiaro obiettivo di raggiungere un equilibrio fra domanda e
offerta entro la legislatura anche indirizzando lo
sviluppo delle strutture private accreditate.
Vanno previste
corsie preferenziali di accesso alle visite
diagnostiche a disposizione dei Medici di famiglia,nei casi giudicati da loro
prioritari.
5) Mettere la sanità in rete per far
camminare le informazioni e non i cittadini
Per
ridurre i tempi di attesa e garantire accesso ai
servizi proponiamo un grande programma di informatizzazione del sistema
sanitario che a partire dagli studi dei medici di famiglia colleghi tutte le
strutture e i presidi. Questo permetterà progressivamente:
Prima
tappa di questo processo deve essere la generalizzazione di Centri Unici di
Prenotazione telefonica, integrati a livello
regionale, per impedire, da subito che il cittadino cerchi a caso fra i presidi
sanitari quello che può rispondere tempestivamente e la generalizzazione di un
profilo individuale per ogni utente custodito a cura del responsabile della
presa in carico.
È
in questo rinnovato contesto che è possibile combattere procedure burocratiche, inutili sia al fine di
contenere i costi che di garantire la trasparenza, vissute dai cittadini come una incomprensibile vessazione di uno Stato invadente
e vessatorio.
6)
Promuovere una nuova stagione di politiche per la prevenzione
La
prevenzione primaria (controllo e riduzione della esposizione
a fattori di rischio) è in maggioranza una funzione che svolgono altri sistemi
e soggetti istituzionali e sociali. Al SSN compete
tuttavia un forte ruolo di individuazione e valutazione dei fattori di rischio,
di advocacy, di valutazione dell’effetto dei programmi di prevenzione. Occorre
rafforzare le capacità del SSN di individuazione e
valutazione dei fattori di rischio, in piena indipendenza nei confronti di
amministrazioni pubbliche locali, regionali e nazionali, soprattutto in campo
ambientale ed occupazionale.
Quanto
alla prevenzione secondaria, soprattutto per quanto riguarda la diagnosi
precoce e i programmi di screening, il SSN deve adottare
criteri rigorosi di valutazione dell’efficacia e garantire ai cittadini i
programmi la cui efficacia è stata verificata.
Queste
politiche rappresentano il principale intervento in grado di ridurre
l’incidenza delle grandi patologie (tumori, malattie cardiovascolari, malattie
infettive etc.) che colpiscono milioni di persone. Ad oggi la spesa per la
prevenzione è al di sotto del 5% del fondo sanitario
nazionale e va rapidamente portata almeno al 10%.
Ma
è soprattutto la cultura che deve cambiare e far uscire dalla
attenzione e dalla responsabilità del campo ristretto degli addetti ai
lavori questo momento decisivo dell’intervento di un sistema sanitario
pubblico.
7)
Istituzione di un sistema di protezione sociale e di
cura per le persone anziane non autosufficenti
L’invecchiamento
della popolazione aumenta il rischio di vivere molti anni della vita in condizioni di non autosufficienza. Vivere
più a lungo deve poter significare vivere meglio. Per questo, obiettivo
primario delle politiche sanitarie e sociali deve essere quello di prevenire,
rallentare, prendere in carico la condizione di non autosufficienza.
Risiede
qui un’innovazione importante dei sistemi di welfare che rappresenta una sfida,
in modo particolare, per il sistema sanitario pubblico, universalistico e
solidale.
Per
questo, fin dall’inizio della legislatura ci siamo impegnati per l’approvazione
dei un disegno di legge che contenga interventi a
favore delle persone anziane non autosufficienti. È importante che
Si tratta dello stanziamento per il 2005 di 1820 euro di deduzione
fiscale per le famiglie che hanno assunto una badante e che hanno un reddito
fino ad 88.000 euro.
Questa
scelta, oltre a configurarsi come misura propagandistica per l’esiguità delle
risorse stanziate, non affronta il nodo strutturale,
il problema dei rischi connessi all’invecchiamento. Costituisce, inoltre, la
strada della solitudine del bisogno e della
privatizzazione della risposta.
La
nostra proposta si pone l’obiettivo di:
a) aumentare in misura consistente il numero delle
persone non autosufficienti che possono beneficiare delle prestazioni
assistenziali fino a pervenire a un universalismo vero;
b) potenziare e variare le opportunità di assistenza a
domicilio sul territorio, superando la frammentarietà ed i forti squilibri
territoriali che sinora hanno contraddistinto la rete dei servizi esistenti,
quanto l’offerta di sostegno economico;
c) rafforzare i diritti soggettivi delle persone non
autosufficienti rendendo esigibile il diritto alla prestazione.
Per
raggiungere tali obiettivi, oltre alla piena applicazione della legge 328/2000
sulle politiche sociali, è necessario istituire un Fondo nazionale a sostegno
delle persone non autosufficienti che, come indica il testo di legge approvato
a larga maggioranza dalla Commissione Affari Sociali della Camera, può essere finanziata
da una imposta addizionale sui redditi delle persone fisiche e giuridiche,
graduata in relazione ai diversi scaglioni di reddito
e con la previsione dell’esenzione dall’imposizione per i redditi medio bassi.
8)
Un ritorno: gli enti locali sponsor dei cittadini
L’ente
locale, a partire dal comune, deve diventare “sponsor” del diritto alla salute
dei cittadini.
La
gestione della sanità si presenta spesso, agli occhi dei cittadini, come un
sistema affetto da deficit di
trasparenza: il processo di aziendalizzazione non è
sempre e solamente una giusta ricerca di efficienza nella gestione di risorse
scarse e preziose, ma viene letto troppo spesso come la centralizzazione
burocratica di decisioni essenziali per la collettività e che alla collettività
appartengono.
La Conferenza dei Sindaci appare di fatto
ridotta ad un rituale di
amministratori privi di potere reale di incidere sulle scelte, stretti
tra il potere monocratico del Direttore Generale ed un centralismo regionale
che, lungi dal limitarsi agli atti di indirizzo, programmazione e controllo,
decide di fatto le sorti di ospedali, specialità, apicalità. La stessa area dei
servizi ad alta componente sociale, che pur dovrebbe
vedere una forte ed incisiva volontà degli amministratori locali, si scontra
con criteri e programmi regionali, da un lato, e con le risorse decrescenti
della finanza locale.
Oggi
dobbiamo probabilmente dirci che il giusto tentativo di metter fuori la politica clientelare dalla gestione della
sanità ha partorito un effetto indesiderato ed indesiderabile: la estromissione dei cittadini dalle stanze del potere. Oggi
va riproposta la questione della centralità della politica come luogo di
visione strategica della organizzazione sociale,
capace di leggere ed interpretare i bisogni della gente e tradurli in progetto
politico.
L’ordinamento
non prevede alcuna prerogativa significativa per i
Sindaci nel governo della Sanità, tuttavia neanche le esclude. Fare Azienda
significa anche cercare strade nuove di creazione del consenso e della
condivisione sociale: ben può
La
Conferenza dei Sindaci potrebbe individuare le materie e gli oggetti che devono
formare oggetto di consultazione, al di là dei vincoli
di legge; alle Direzioni Generali delle Ulss dobbiamo chiedere rispetto delle
volontà politiche espresse dai Sindaci.
La
partecipazione dei comuni alla programmazione regionale, quindi, è
indispensabile perché nella fase
attuativa locale essi diventino interlocutori con pieni poteri nei confronti
dell’azienda.
Sulla
qualità, la quantità, la dislocazione nel territorio delle strutture erogatrici
delle prestazioni il comune, il municipio devono
possedere un vero e proprio potere contrattuale nei confronti della azienda
sanitaria senza prevaricazioni ma anche
senza sudditanze; e il cittadino deve sapere che chi ha eletto tutela i suoi diritti
collettivi anche sul versante del diritto alla salute .
La
libertà di scelta del cittadino, infatti, si esercita se
sono previsti livelli adeguati di strutture e di servizi, se il sistema è
attrezzato a rispondere a partire non dalle proprie convenienze ma delle
esigenze degli utenti: l’ente locale, in rapporto con le rappresentanze
organizzate dei cittadini deve essere il vigile interlocutore dell’azienda
dialettizzando e componendo diverse
esigenze, senza che sia penalizzato l’utente.
9) Il governo clinico: non una concessione
alle lobbies ma una risorsa per il sistema
Se
l’ente locale deve divenire parte attiva e codeterminante per le politiche del
territorio dell’azienda, i medici e i
professionisti sanitari devono recuperare un ruolo forte nel governo clinico
dell’ospedale e della ASL .
In
questo contesto le proposte del governo sono inefficaci
e contraddittorie. In un disegno di legge i DS hanno avanzato proposte per la valorizzazione del governo clinico:
·
Rafforzamento del ruolo dei medici e dei professionisti sanitari, attraverso:
1. un nuovo collegio di direzione (in parte
elettivo) dell’azienda che fornisca pareri obbligatori sulle scelte
significative di politica sanitaria aziendale;
2. il rilancio dei consigli
dei sanitari e dei comitati di dipartimento quali sedi democratiche di
coinvolgimento di tutti gli operatori, nel governo clinico dell’azienda;
3. attribuzione di autonomia
gestionale, finanziaria e operativa dei dipartimenti, per valorizzare
professionalità e responsabilità dei dirigenti medici e sanitari.
Allo
stesso modo la partecipazione alle scelte aziendali e distrettuali deve essere estesa ai medici delle cure primarie sviluppando
autonomia e responsabilità in rapporto agli obiettivi condivisi sul versante
della qualità e della appropriatezza e della economicità.
Una
riflessione importante va fatta sulle professioni
sanitarie che, nonostante i passi avanti fatti nella passata legislatura, non
vedono una traduzione concreta diffusa del riconoscimento delle peculiarità
professionali anche in rapporto all’adozione di strumenti organizzativi
coerenti.
Non
si tratta, quindi, di limitare il potere dei DG ma di
estendere alla componente medica e, in diverso modo alle professioni sanitarie,
quei principi di autonomia e responsabilità che le ricollocano in una funzione
non subalterna e marginale nell’ospedale e nell’azienda.
10)
Poteri e responsabilità in equilibrio per un nuovo SSN
Per
un buon governo della sanità bisogna attivare una governance basata sull’equilibrio
fra Stato e regioni, fra ospedale e medicina delle cure primarie, fra azienda,
enti locali e componente medica e sanitaria. Una alleanza tra diversi soggetti sulla base dei principi di
autonomia e responsabilità.
Non
esistono scorciatoie, l’orchestra suona una buona musica se
gli strumenti sono accordati, se sanno suonare insieme e se il direttore dirige
con intelligenza pensando prima
di tutto a chi ascolta in sala.
Il
centro destra sta mettendo a repentaglio
tutto ciò, con politiche dal respiro corto, senza strategia e senza principi ispiratori che
non siano quelli di rimettere la salute a disposizione
del mercato: sta a noi convincere i cittadini della bontà della nostra visione
e delle nostre proposte con la semplice
avvertenza che le nostre scelte devono produrre mutamenti reali e ben
percepibili nel prodotto finale.
Che
tutto cambi perché nulla cambi troppe volte sembra
essere stato scritto per la sanità italiana.