Questo articolo del 2001 poneva un problema. E’ stato (anche parzialmente) risolto?

 

ALLARME ASSISTENZA

“c’è bisogno di governarla”

 

Nel 2000 titolammo un articolo “Allarme Infermieri”, nel quale erano aperte una serie di riflessioni sulla professione infermieristica, rilevando tra l’altro che, nonostante la riforma delle pensioni (o forse anche per quella?) e la riorganizzazione degli ospedali posta in atto da varie Regioni, eravamo ormai in presenza di una preoccupante situazione nelle strutture assistenziali.

Nei giorni scorsi, in un convegno, l’Ipasvi, la federazione dei collegi delle professioni infermieristiche, ha indicato in 100.000 unità il fabbisogno d’infermieri per garantire l’attuale livello d’assistenza. Fonti del governo hanno ridimensionato i numeri, ricollocandoli in un carenza di compresa tra le 36mila e le 40mila unità.

Resta il fatto che una funzione chiave del servizio sanitario e sociale è entrata ormai in una fase particolarmente delicata, che va governata pena la decadenza della qualità nei servizi erogati.

Oltre alle fonti citate, altre contribuiscono a rendere fosco l’orizzonte.

Le iscrizioni ai corsi di laurea in scienze infermieristiche riscontrano una contrazione pari al 60/70 per cento dei posti disponibili (alcuni atenei hanno avuto dalle 40 alle 50 iscrizioni su 180 posti), mancano operatori addetti all’assistenza, nonostante siano garantite, nel secondo caso, assunzioni immediate e si hanno notizie di contatti avviati con paesi esteri per l’assunzione di personale.

In sintesi, non esiste più una domanda corrispondente o magari più ampia dell’offerta di posti di lavoro nel settore dell’assistenza sociosanitaria, ad esclusione come si sa della professione medica.

Le cause di questa situazione sono in primo luogo di carattere sociologico.

In Italia, in particolare al Nord, nel campo produttivo e dei servizi non si trovano più persone disponibili ad esserne addetti. Sono mestieri e professioni ritenuti fisicamente e/o psicologicamente pesanti, ingrati e poco o nulla gratificanti, che non hanno più la capacità di attrarre i nostri giovani.

E’ un fenomeno che ha assunto ormai le caratteristiche dell’irreversibilità e al quale vanno aggiunti, seppure senza assumere la medesima importanza, alcuni problemi che si sono verificati con la modificazione dello status d’alcune professioni.

Gli infermieri professionali e altri, ad esempio, non sono più diplomati ma diventano laureati in scienze infermieristiche, dopo tre anni di scuola universitaria susseguente al diploma di scuola media superiore.    

Ciò ha determinato un cambiamento sostanziale dello status, del mansionamento e, quindi, del collocamento delle professioni cosiddette paramediche all’interno dei servizi, così come previsto dalla legislazione in essere, senza aver tenuto conto dei problemi che la diversa configurazione professionale apriva.

Oggi, il deterioramento della situazione impone scelte coraggiose, lungimiranti e per gli aspetti fondamentali decisamente in controtendenza rispetto ad una cultura politica sbandierata dagli spregiudicati avventurieri del centro destra, che pensano di affidare alla mercé del mercato i servizi alla persona, dimenticando o, peggio, essendo ignoranti della complessità dei problemi assistenziali.

Per fronteggiare una crisi così acuta e soprattutto non congiunturale, serve un’organica ed incisiva riorganizzazione legislativa delle professioni e della relativa formazione, corrispondenti alle esigenze di miglior funzionamento dei servizi, che hanno bisogno di personale qualificato addetto a mansioni corrispondenti all’infermiere professionale e all’operatore tecnico d’assistenza.

Queste misure, da sole, non servono tuttavia ad invertire la tendenza ormai consolidata alla carenza di giovani disponibili ad intraprendere la professione di addetto all’assistenza.

Diventa, quindi, inevitabile percorrere la strada del reperimento all’estero di personale, avendo coscienza della dimensione, ragionevolmente imponente, e della durata, senz’altro protratta nel tempo, del fenomeno.

Le iniziative poste in atto da alcune istituzioni pubbliche e private sono senz’altro lodevoli, ma totalmente inadeguate.

Serve, invece, una strategia globale attuata unitariamente dallo Stato e dalle Regioni, che debbono decidere con quali Paesi, disponibili, è possibile attivare intese utili alla formazione di personale da inserire nel nostro sistema dei servizi, e quali contropartite in termini di cooperazione è disponibile a riconoscere il nostro Paese.

La formazione del personale, infatti, ove pesano le differenze civili, sociali, linguistiche e a volte religiose, si presenta come uno dei banchi di prova, e non il maggiore, dell’accordo di collaborazione. 

Sono da affrontare e risolvere anche i problemi di accoglienza che attengono ai diritti politici e sociali della persona.

Le considerazioni espresse conducono tutte alla conclusione che è impossibile poter organizzare bene i servizi alla persona senza ricorrere ad una seria programmazione.

Ciò può avvenire solo all’interno di un sistema pubblico, governato, non bisogna mai stancarsi di ribadirlo, lottando contro le inefficienze, le autoreferenzialità, gli sprechi e gli sperperi.

Il Polo di centro destra questi scenari non se li pone, convinto com’è nella sua parte egemone (Forza Italia) di sostituire il sistema pubblico con le assicurazioni e nella sua parte intollerante e xenofoba (Lega) di continuare nel suo delirio, restando fuori dalla mischia, forse perché sprovvisti di qualunque idea, An e il Biancofiore.

Così l’allarme assistenza, che non deve essere assolutamente sottovalutato, costituisce un altro degli elementi che marcano la differenza tra due concezioni diverse di salute e della sua tutela.

 

Roberto Buttura

 

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