VIAGGIO IN TERRASANTA

Impressioni e frammenti raccontati a mio figlio

 

Lunedì 20 giugno 2005

 

Caro Tommaso, ti scrivo da Nazareth in Israele. Ci sono arrivato dopo un viaggio un po’ lungo ma tranquillo e sereno. Preso l’aereo a Verona alle 7.30, siamo atterrati a Vienna dopo 1 ora e mezza. Alle 10.50 partenza per Tel Aviv, dove siamo sbarcati alle 15.00 (ora locale). Poi trasferimento a Nazareth. La compagnia (siamo in 12) è buona e piacevole, il capo comitiva è un prete, don Flavio, e questo è un pellegrinaggio. Vedremo come andrà. In ogni caso tu sei nel mio cuore sempre.

 

Martedì 21 giugno

 

Stamattina alle 6.45 sveglia, colazione e poi siamo tornati alla Chiesa dell’Annunciazione (eravamo stati a dare un’occhiata ieri sera), un tempio moderno, non bello, cattolico, dentro al quale è collocata, secondo la tradizione, la grotta dove l’angelo annuncia a Maria la sua maternità divina. Poi al museo, che praticamente è situato sotto la chiesa, nel quale sono contenute, sempre secondo tradizione, la casa di Maria e alcuni resti del villaggio di Nazareth risalenti a circa 2000 anni fa. Oggi Nazareth ha 70.000 abitanti ed è una città moderna. Il villaggio antico era costituito da una serie di caverne; esse erano adibite a posto per gli animali e davanti ad ogni grotta veniva costruita con fango e paglia una capanna nella quale vivevano le famiglie, che nel caso di pioggia o altro evento atmosferico avverso si rifugiavano per il tempo necessario nella grotta. Si stima che a quel tempo gli abitanti fossero circa 400.

A questo punto Eduard, la nostra ottima guida, ci ha raccontato che attualmente ci sono due Nazareth: questa Nazareth totalmente araba e Nazareth Illit (che significa Alta) un insediamento recente totalmente ebreo. Secondo la guida, che riportava probabilmente opinioni di parte araba, l’idea degli giudei (così gli ha chiamati) è di far venire 30/40 mila ebrei russi in modo da sopravanzare gli arabi e poi unificare in un solo comune le due Nazareth, che ora sono due entità amministrative autonome (una con sindaco arabo e una con sindaco ebreo), poi indire le elezioni e quindi eleggere un sindaco ebreo, tutto ciò naturalmente a scapito degli arabi.

Prima aveva raccontato, in riferimento alla chiesa dell’Annunciazione, che i musulmani volevano costruire in un posto appena sotto la chiesa cattolica (abbiamo visto lo spiazzo circondato da tela verde) una grande moschea, più grande della chiesa di Maria, al che i cristiani si sono opposti e così il governo israeliano che aveva dato il benestare per dividere gli arabi (e i cattolici) ha dovuto fare marcia indietro e ritirarlo. Al che io ho eccepito che essendo gli arabi in maggioranza non capivo perché non era possibile costruirla. Ma la guida Eduard (che credevo fosse un religioso francescano e invece si è palesato sposato con figli) mi ha risposto che essere arabo non significa automaticamente essere musulmano. “A Nazareth il 30/40 per cento degli arabi sono cristiani come me” ha detto. Hai capito che complicata è la geografia sociale, politica, religiosa di questa regione?

Finita questa visita, con il pulmino guidato da Toni, giovane palestinese che ha un business (come dice lui) nel campo dei trasporti oltre a tre/quattro cellulari attraverso i quali parla in continuazione a qualcuno nella sua lingua così strana e incomprensibile, siamo andati al lago di Tiberiade, prima nel luogo dove, secondo la tradizione cattolica, Cristo ha moltiplicato i pani e i pesci, poi alla chiesa del “primato di Pietro”, dove l’apostolo fu nominato da Cristo suo vicario,e infine a Cafarnao dove Gesù insegnò nella sinagoga. Qui ci sono i resti della sinagoga datata IV secolo d.C. e parte dell’antica Cafarnao (seppure ricostruita parzialmente con un molto discutibile, a mio parere, riassetto archeologico) e della casa di Simone/Pietro (Flavio ha spiegato le motivazioni –ritrovamenti di reperti, oggetti e altro, attinenti al mestiere di pescatore- che portano a ritenerla tale) sopra la quale è stata costruita dai religiosi francescani una incredibile, orribile chiesa che, opinione comune della comitiva, va immediatamente demolita. Sullo sfondo di una bruttura del genere si eleva elegante una bellissima chiesa a cupole greco ortodossa tutta dipinta di bianco e di rosa tenue. Dopo aver sostato alla chiesa delle Beatitudini, dove Cristo ha parlato alla folla, abbiamo pranzato in un punto di ristoro vicino gestito da suore francescane di nazionalità diverse.

Alla fine sosta nella città di Tiberiade, centro turistico di un certo pregio per gli israeliani, che dà il nome al lago. Abbiamo bevuto qualche bibita seduti in un bar sul lungolago, guardando e fotografando ragazzini che si tuffano da un alto pontile. Eravamo ancora impressionati dalla visione di un monumento, costruito a pochi passi, pieno per quasi la metà di nomi di caduti israeliani mentre la parte che resta è bianca e in attesa di essere riempita. Flavio ha raccontato di una canzone israeliana recentemente proposta in Italia da Moni Ovadia, intitolata

 

“Tu (rivolto ad una donna) ed io e la prossima guerra”

(At ve ani ve hamilkhamah habaah)

 

Quando passeggiamo siamo in tre

tu ed io e la prossima guerra

Quando dormiamo siamo in tre

tu ed io e la prossima guerra

 

Rit.:

Tu ed io e la prossima guerra

è la prossima guerra che benvenuta sarà

tu ed io e la prossima guerra

che un riposo assoluto con lei porterà

 

Quando sorridiamo in un momento d’amore

sorride con noi la prossima guerra

Quando aspettiamo nella sala parto

Aspetta con noi la prossima guerra

 

Rit.:

Tu ed io e la prossima guerra

e la prossima guerra che benvenuta sarà

tu ed io e la prossima guerra

che un riposo assoluto con sé porterà

 

Quando bussano alla porta siamo in tre

tu ed io e la prossima guerra

Quando tutto sarà finito di nuovo sarete in tre

la prossima guerra tu e la mia fotografia.



E’ una canzone con versi disperatamente cupi e, sempre secondo Flavio, ciò spiega il modo di vivere degli israeliani riassumibile nel motto latino “carpe diem, cogli l’attimo” e la feroce e corrosiva ironia che li contraddistingue. Al riguardo, l’altro ieri durante il trasferimento, ci ha raccontato un barzelletta. Un giorno Benjamin Netanhiau (discusso primo ministro israeliano nella seconda metà degli anni ’90) e la moglie stanno passeggiando quando la donna scorge su una impalcatura un muratore che la saluta. Lei ricambia il saluto, festante e non solo, e muove incontro allo stesso muratore che nel frattempo è sceso e pure si affretta verso di lei. Si abbracciano, si baciano, si parlano, ridono, sotto gli occhi stupiti di Netanhiau. Alla fine, il muratore si allontana e la donna ritorna vicino al marito. Netanhiau domanda stupito chi è il muratore, lei risponde: “Un amico d’infanzia”. “Chissà che contento è di conoscere la moglie del primo ministro Netanhiau!” annuisce soddisfatto lui. “Caro, se avessi sposato lui, lui sarebbe il primo ministro!!”.

Ecco ti ho raccontato un po’ di cose, così sei più vicino a me di quanto io ti sono stato vicino. Un bacio da papà.

 

Mercoledì 22 giugno

 

Caro Tommaso, oggi siamo partiti da Nazareth con meta Betlemme. Il viaggio è stato molto, molto interessante. Dopo aver costeggiato il lago di Tiberiade (mi sono dimenticato di dirti che per ora stiamo viaggiando in Israele, praticamente una lingua di terra lunga circa 400 chilometri e larga mediamente 80), abbiamo fatto la prima sosta sulle rive del Giordano in una località attrezzata per officiare i battesimi collettivi nelle acque del fiume. Niente di come ti immagini leggendo il Vangelo o altro. Qui è tutto organizzato con tanto di enorme negozio di ricordini, di ristorante, ecc.

Stessa cosa a Gerico, la più antica città del mondo ancora abitata, dove abbiamo mangiato al “Temptation Restaurant” (Ristorante alle Tentazioni, qui vicino c’è il monte delle tentazioni di Cristo) e dove, volendo, si può bere o acquistare il “Vino dell’Ultima Cena”. Proprio davanti al ristorante ci sono i resti del “Tell”, le famose Mura della città, risalenti a migliaia di anni fa.

Per inciso, a Gerico, a cui abbiamo dato un’occhiata veloce, ci siamo arrivati dopo una fermata di controllo al posto di blocco dell’Autorità nazionale palestinese (Gerico è nel territorio palestinese) dove una guardia giovanissima ha voluto che fosse aperto il pulmino per poterci guardare bene in faccia. Toni, molto seccato, ci ha detto dopo che il poliziotto gli ha domandato se ci sono ebrei a bordo. Ecco, quindi, il primo vero impatto con il Medio Oriente pieno di odio e di rancore reciproco.

La cosa più bella l’abbiamo vista a Wadi el Qelt (non so la traduzione completa, wadi se non sbaglio vuol dire torrente), in pieno deserto di Giuda, una località a cui si arriva dopo aver percorso un tratto di strada bianca. Ad un certo punto ci si ferma, si percorrono un po’ di metri a piedi su una collinetta pietrosa ed ecco apparire una visione davvero magica: là in fondo su un lato di in un canyon tortuoso è stato costruito un convento greco ortodosso circondato da alberi e verde che crescono approfittando dell’umidità prodotta dalla condotta d’acqua che arriva, dicono, da Gerusalemme e va a Gerico. Qui il caldo era piuttosto elevato, ma ce la siamo cavata, approfittando del suggerimento di Flavio di munirsi di bottigliette di acqua da bere.

Poi via verso il monte degli Ulivi a vedere il panorama di Gerusalemme (una città a prima vista molto bella) adagiata su varie colline. Con un ultimo piccolo sforzo (Betlemme, città palestinese, dista solo 15 chilometri da Gerusalemme) e passando ai posti di blocco israeliano e palestinese senza fermarsi, a testimonianza del periodo di bassa tensione politica, arriviamo a Betlemme.

Per darti un po’ la dimensione delle cose: Nazareth-Giordano circa 30 chilometri, Giordano- Gerico circa 150, Gerico- Betlemme circa 30.

A Betlemme, dopo aver depositato i bagagli nella camera dell’albergo (ex Orient Hotel ora gestito dalla Casa Nova dei padri francescani) abbiamo fatto cinquanta passi, la distanza sufficiente ad attraversare il sagrato, e visitato la basilica della Natività, niente di particolare dal punto di vista artistico (difficile capire il periodo di edificazione), ovviamente importante dal punto di vista religioso. I miei compagni di viaggio (don Flavio, Michela, Mauri e la moglie Marta, Franco e la sorella Meri, Gianni e la moglie Daniela, la mascotte Riccardo e le gemelle veneziane di cui non so i nomi) hanno voluto dedicarti la messa. Un gesto di grande sensibilità, che ho ricambiato con un grazie dal cuore.

Fuori dalla basilica, sul sagrato, ci siamo messi a chiacchierare con un poliziotto palestinese addetto alla sicurezza turistica, che parla un buon italiano (è stato un mese in Italia apposta, ci dice). Ha descritto la situazione interna palestinese come molto difficile per i problemi connessi al dopo Arafat: la corruzione endemica, di cui ha accusato il leader deceduto, favorisce l’ascesa di Hamas, la frangia estremista palestinese, che pratica una politica strumentalmente più aderente ai bisogni della gente (costruisce ospedali, fornisce servizi sociali, ecc.) e ciò acuisce la battaglia tra le fazioni, indebolendo Abu Mazen il Presidente provvisorio dell’Autorità nazionale palestinese. Il paese viceversa ha bisogno della serenità e tranquillità necessarie per riavviare un minimo di turismo e, quindi, di economia. La miseria induce alla disperazione e questa ingrossa le fila degli estremisti. “E’ la politica che deve risolvere i problemi” ha concluso il poliziotto, ma questo lo sapevamo già.

Alla sera, un episodio per renderti l’atmosfera di questo paese: contemporaneamente il muezzin che prega o canta dal minareto aldilà della piazza, tre frati –due palestinesi e un libanese- seduti a due passi da noi nel grazioso giardinetto dell’albergo a fumare il narghilè alla mela e noi pellegrini che beviamo coca cola e birra. Questa è la Terrasanta, Tommaso.

 

Giovedì 23 giugno

 

Oggi, caro Gattone, partenza da Betlemme alle 8.45 e arrivo in albergo (sempre del circuito francescano Casa Nova e situato all’interno della città vecchia) a Gerusalemme alle 9,30. Abbiamo dovuto attraversare all’incontrario di ieri i controlli palestinese e israeliano, osservando ancora una volta il lungo serpente costituito da un muro di cemento alto 4/5 metri che gli israeliani stanno costruendo per separare la parte araba dalla loro. La motivazione portata dagli israeliani è che servirebbe ad impedire l’attività dei terroristi, rimane il fatto che si tratta di qualcosa che assomiglia maledettamente al muro di Berlino, di cui non ho mai sentito nessuno parlare bene e che è crollato per la forza delle cose (o della politica). Speriamo che questo capiti ancora una volta.

La prima visita è stata al “Castello di David”, da cui si gode un panorama bellissimo di questa incredibile città. All’interno del Castello c’è un museo con la storia di Gerusalemme (naturalmente il museo è scritto dagli israeliani che ricordano la storia di Cristo solo con un pannello infinitesimale –a mo’ di favola- da cui tra l’altro non si capisce bene chi sia e/o cosa abbia fatto). Altro particolare, non esiste l’anno …. B.C. (before Christ, dopo Cristo) ma l’anno …. B.C.E. (bifore common ere, dopo l’era comune). Ma non è la sola stranezza, se così si può chiamare, di una città, come ti ho detto, incredibile! Basta fermarsi all’angolo di una qualsiasi strada, come ho fatto, per osservare l’incredibile miscela costituita dal passaggio di donne e uomini di tante razze, nazionalità, fogge, credenze (determinate dalle fogge) da farla chiamare, come ci ha detto nel pomeriggio un simpatico vecchio (?) armeno seduto, su una panchina nel quartiere ebreo fuori dalla città vecchia, a chiacchierare con i suoi amici assiriani –proprio così, non iracheni- e cattolici, “the human zoo, lo zoo umano”.

Alla fine della visita, la compagnia si è separata: Mauri, Riccardo ed io siamo andati a zonzo per la città vecchia, tutta all’interno delle mura costruite circa 1500 anni fa, mentre gli altri si sono fermati a pranzare in un ristorante armeno vicino alla porta di Jaffa.

Siamo entrati nel suk (il mercato coperto non so ancora se arabo o cristiano) fino a sbucare alla basilica del Santo Sepolcro. Debbo dirti la verità, caro Tommaso, sono rimasto piuttosto sconcertato per il clima che si respira ma in modo particolare per l’accesa straordinaria rivalità esistente tra le varie confessioni religiose che si disputano la basilica (come ieri alla Natività di Betlemme e come, per altri versi, a Nazareth. Flavio ha raccontato –ma mi pareva di averlo già sentito- che nel 1999 o nel 2000 (non ricordo bene la data ma mi informerò meglio) proprio lì al Santo Sepolcro –pensa un po’- tra preti greco-ortodossi e preti armeni (se non erro) se le sono date di santa ragione (?) per una questione di rispetto delle procedure, un presunto ritardo sui tempi stabiliti dal Sultano con il “firmano” (decreto), emesso poco dopo il 1850 che ancora oggi regola l’utilizzo della basilica. Solo il rude intervento della polizia israeliana è riuscito a sedare il tumulto e la rissa. Certo questi luoghi sono una manna per la popolazione girosolomitana e non solo che campa di turismo, ma ciò non toglie che qui sembra mancare la tensione religiosa e ideale che generalmente si respira, che so, nella nostra basilica di san Zeno a Verona.

Poi, sempre noi tre siamo andati al ristorante a prendere gli altri per ritornare nuovamente al Santo Sepolcro. Successivamente, attraversando un parte nuova della Gerusalemme ebrea, abbiamo visto –avevo già notato le automobili provviste di strisce arancione o della bandiera israeliana- i preparativi per una manifestazione dei cosiddetti “coloni irriducibili”, quelli che non vogliono lasciare gli insediamenti nella striscia di Gaza. Prima di entrare nel piazzale del “Muro del pianto” (che qui invece chiamano “Muro occidentale”), sottostante la “Spianata delle Moschee”, abbiamo subito un blando (?) controllo. Il piazzale si è aperto con uno spettacolo incredibile (so che uso troppo la parola “incredibile” ma non riesco a trovarne altre per spiegare il mio stupore) di soldati israeliani, ragazzi e ragazze giovanissimi, che si recavano qualcuno a farsi delle fotografie, altri a scrivere biglietti da inserire in una fessura del Muro, che è quanto resta dell’antico Tempio di Gerusalemme e in quanto tale ritenuto luogo di purificazione degli ebrei (il Tempio fu distrutto dai romani nel 70 d.C.). Il piazzale è diviso in due settori. Una parte molto ampia nella quale uomini e donne andavano e venivano, si fotografavano, sostavano, cantavano, ballavano. Un’altra parte più piccola vicino al Muro delimitata da un recinto, dove solo gli uomini possono entrare dopo aver subito un controllo ed aver posto sul capo uno zucchetto, nella quale erano numerosi gli “scarafaggi”, come gli ebrei della classe media laica chiamano gli ebrei ortodossi paludati nel caratteristico vestito nero, dal quale fuoriescono pendenti i fili della fascia indossata sotto la camicia bianca, con in testa il tradizionale cappello posato sui capelli anch’essi tagliati e acconciati nel modo tradizionale. Questi, giovani, adulti e anziani, pregano sui sacri testi ebraici. Ciò, a quanto è dato sapere, costituisce la loro professione. “Professionisti della preghiera”, che sono, a quanto risulta, regolarmente pagati con un salario o una pensione per pregare al posto degli altri. Una cosa bizzarra che avviene anche per la presenza di partiti religiosi elettoralmente minoritari ma che sfruttano fino in fondo il vantaggio di costituire l’ago della bilancia tra i due grandi partiti o coalizioni (laburisti e Likud) della politica israeliana.

L’impressione avuta, caro Tommaso, è che questo modo di interpretare la religione, attento solo alla forma non alla sostanza (sembra che si tramandino il “mestiere” da padre in figlio) con manifestazioni esteriori così eccessive, avvicini gli ebrei ortodossi più al modo di concepire la religione tipico dell’islamismo che delle confessioni cristiane, proprio per quella parte di fanatismo fondamentalista evidente nel modo di essere di queste persone, che in ogni caso costituiscono una minoranza esigua  e, si spera, poco o niente influente sul futuro di questo paese e di questa regione che ha bisogno di continuare nel confronto e nel dialogo per sperare nel progresso e nel benessere delle popolazioni.

Gerusalemme è in tutti i sensi una città cosmopolita, una città che è riuscita e riesce a far convivere a volte faticosamente e con tensioni un “minestrone” di genti. Gerusalemme è una città complessivamente moderna che può svolgere un ruolo straordinario per il futuro.

Dopo il “Muro del pianto”, ingresso nel suk musulmano: altra confusione, altra umanità, altre impressioni forti su un mondo così poliedrico concentrato in pochi chilometri quadrati, sì proprio così “il mondo in un fazzoletto”.

 

Venerdì 24 giugno    

 

Oggi gran giro nel deserto. Prima a Masada sulla punta settentrionale del mar Morto dove sorgeva una fortezza costruita da Erode il Grande divenuta nel 66 d.C. il simbolo della resistenza ebraica ai romani e della libertà, riproposto oggi come il cemento della nazionale israeliana tanto che il giuramento dei soldati recita “Mai più una seconda Masada”. Dallo sperone di roccia che forma Masada, al quale si sale con la funivia oppure a piedi, il panorama sul mar Morto e sul deserto è indimenticabile, come molto interessanti sono i reperti archeologici che comprendono anche i resti dei campi romani posti all’assedio degli ebrei.

Successivamente, fermata in un centro turistico sul mar Morto dove abbiamo fatto il bagno. Si sta a galla anche senza volerlo tanto è salata l’acqua (dicono al 33%), è perfino difficile rimettersi in piedi, bisogna rigorosamente nuotare a dorso e fare molta attenzione a non bere acqua perché questo potrebbe portare addirittura alla morte.

Il viaggio è proseguito fino a Qum Ram un luogo vicino al mar Morto dove non molti anni fa (nel 1950 circa) sono stati ritrovati rotoli della legge ebraica risalenti a circa 2000 anni fa, manoscritti da un convento che ospitava una comunità di Esseni. Il ritrovamento dicono sia stato piuttosto casuale e rocambolesco.

Poi di nuovo nel deserto ad ammirare da un belvedere uno spettacolo (ulteriore) naturale veramente grandioso. Il susseguirsi delle alte dune accarezzate dal sole calante che produce in breve tempo cambiamenti di colore strepitosi, dà luogo a momenti veramente magici.

In serata prima di cena (qui alla 19.30 comincia già a far buio) corsa al “Muro del pianto”. Oggi è venerdì e gli ebrei (ortodossi e/o praticanti) festeggiano l’avvento del sabato con canti e balli collettivi. Ancora una volta sono rimasto perplesso da quanto ho visto.  

Per concludere in bellezza la serata, cena in un ristorante armeno. Niente di straordinario il mangiare ma buono il modo per stare insieme. Ciao, Tommaso.

 

Sabato 25 giugno

 

Oggi per gli ebrei è giorno di festa e di astensione totale da qualsiasi attività. Insieme a don Flavio abbiamo ripercorso in pellegrinaggio i luoghi della passione di Cristo. Prima però una chicca: la fermata al convento degli armeni dedicato a san Giacomo dove abbiamo assistito ad un pezzo di cerimonia religiosa. Nel tempio oscuro, saturo di incenso sprigionato da un turibolo che andava a tutto vapore manovrato sapientemente da un prete, con tre vecchiette, oltre a noi, ad assistere e pregare, il pope e i suoi aiutanti compresi alcuni studenti del seminario hanno intonato canti solenni dedicati a Dio e alla Madonna (mi è sembrato).

Beh, Tommaso, lo confesso: a me pareva che una macchina del tempo mi avesse riportato indietro di secoli, e non di pochi. Ho assistito con uno strano senso di disagio o forse meglio di ansietà ad una visione che sembrava tolta di peso dal film “Ivan il Terribile” o dall’opera “Boris Godunov”. Una lingua misteriosa che intonava canzoni misteriose e con un che di minaccioso (anche se sicuramente non lo è dato che gli armeni sono un popolo con un’esistenza difficile come dimostra il genocidio del 1920). Ma ti racconterò più avanti di altre impressioni che ho avuto.

Scusami, mi sono dimenticato che, prima di tutto questo, mi sono alzato alla 5 e mezza (un bel primato per me, vero?) per essere alla 6 con Mauri al Santo Sepolcro per vedere cosa succede il mattino presto. Poche persone, alcune strane, e pochi preti di varie confessioni sono passati dalla piazza e entrati nella basilica. Abbiamo scattato un po’ di fotografie e poi siamo tornati alla Casa Nova.

Ancora una dimenticanza: quando ieri notte sono stato svegliato da un elicottero che ha continuato a sorvolare nelle vicinanze per molto tempo contemporaneamente al suono di più di una sirena, ho avvertito in modo totale per la prima volta che questa è una regione in guerra, una guerra dura e spietata e mi sono augurato che non fosse successo niente di male (fortunatamente così è stato).

La mattinata è trascorsa ripercorrendo tutti i luoghi (presunti) del sacrificio di Cristo (Cenacolo, Gallicantu, Getsemani, ecc.). L’itinerario si è parzialmente concluso (per le incombenze di mezzogiorno) alla Chiesa dei Getsemani dove un arabo vecchio e male in arnese che tentava di vendere piccoli presepi, non riuscendo a cavare un ragno dal buco ha investito prima Flavio e poi gli altri della comitiva di male parole: “Italiani cattivi!”.

Qui comunque è palpabile la diversità sociale ed economica: la parte israeliana con un benessere di livello occidentale, la parte araba o cosiddetta palestinese molto più povera, a volte ai limiti del sottosviluppo. Ci sono poi una serie di contraddizioni politiche (la costruzione di un muro, ripeto, che dovrebbe separare entità di impossibile separazione, la forte e visibile opposizione dei cosiddetti “coloni irriducibili” alla politica attuale del governo, ecc.) che rendono altrettanto palpabile la precarietà della situazione. Stasera per esempio siamo andati nel quartiere ebraico (fuori della città vecchia). E’ la sera di sabato, è sera di festa. La gente –uomini, donne, bambini- sono in piazza a divertirsi, ma le strade sono transennate e presidiate da polizia ed esercito israeliani.

Insomma, si sono sovrapposti in 2000 anni un tale miscuglio di problemi che solo pazienza, tenacia, saggezza, realtà, responsabilità possono gradualmente ricomporre, tenendo anche conto che il sangue versato specialmente in questo ultimo secolo, testimone di moltissimi cambiamenti di assetto politico, è stato ed è moltissimo come tremenda la ferocia delle parti in conflitto.

Il pranzo è stato parco: ci siamo fermati al suk arabo vicino alla porta di Damasco dove abbiamo comprato pane e frutta. Erano veramente buoni e li abbiamo gustati poco lontano dalla porta, seduti all’ombra delle mura centenarie di Gerusalemme, osservando la gente che passava, i ragazzi che giocavano, una pattuglia della polizia israeliana addetta ai controlli personali, le famiglie generalmente arabe in sosta anch’esse per fare uno spuntino, dei vecchi intenti a discutere.

Nel primo pomeriggio, conclusione del percorso della passione di Cristo, il cui tracciato corrisponde sostanzialmente con la vecchia Gerusalemme. Di notevole, dal punto di vista artistico, la chiesa di sant’Anna, costruita al tempo dei Crociati, la più bella tra le chiese di Gerusalemme nella semplicità e nella pulizia delle forme architettoniche. Vicino ad essa ancora un interessante sito archeologico risalente a Gerusalemme romana. Per finire, visita alle cisterne d’acqua che anticamente rifornivano la città con accanto i resti di una caserma romana che porta incisi sul pavimento i segni di un gioco, la “tria” (almeno così la chiamiamo noi), che ancora oggi si pratica.

Una corsa in albergo per una doccia fresca e rigeneratrice (il caldo è notevole anche se sopportabile essendo inapprezzabile l’umidità) e poi di nuovo al Santo Sepolcro. Qui ancora scene sconcertanti: i riti della varie confessioni cristiane, che come avrai capito non è che si sopportino molto, e ai quali assistono pochissimi fedeli –a mio parere solo i riti cattolici sono abbastanza frequentati forse per la presenza di comitive organizzate di pellegrini-, avvengono alla stessa ora con i canti dell’uno che tentano di sovrastare in potenza quelli dell’altro in una sorta di strana concorrenza vocale. La basilica è frequentata da varia umanità che si comporta complessivamente come se fosse ignara di essere in un luogo sacro, senza essere tacitata o avvisata da qualcuno. D’altronde, caro Tommaso, pensa che le chiavi del Santo Sepolcro sono tenute da un musulmano e che la chiusura e l’apertura della basilica sono effettuate con una procedura che ha dell’incredibile: alle nove di sera in punto entrano nella chiesa i rappresentanti delle tre confessioni cristiane (latini ovvero cattolici, greco-ortodossi e armeni), il massiccio portone viene chiuso alla presenza del signore musulmano di cui ho detto prima, il quale salito su una scala provvede a inchiavardarlo. Conclusa l’operazione, la scala viene passata all’interno della basilica attraverso uno spioncino chiuso immediatamente dopo. La mattina alle quattro l’operazione viene eseguita nella maniera inversa con l’attenzione da parte del signore musulmano di verificare la presenza di tutti e tre i rappresentanti. Niente male per quella che si presenta come un’unica religione.

Cena e poi passeggiata al solito quartiere ebraico. Siamo passati vicino a luoghi, bar e fermate di autobus, dove ci sono stati nel recente passato attentati sanguinosi: tutto oggi è tranquillo e normale. La meta era una via in leggera salita dove si danno appuntamento ragazzi e ragazze, famiglie con i bambini per festeggiare la fine del giorno festivo (non è una contraddizione, è proprio così). Ho acquistato delle creme del mar Morto, dove esiste una industria cosmetica molto apprezzata, pagando in seqhel, la moneta israeliana. Poi a letto: era ora.

 

Domenica 26 giugno  

 

Oggi visita allo Yad Vashem, il museo dell’Olocausto, realizzato per mantenere la memoria di una tragedia spaventosa e di un crimine pianificato con malvagità e intelligenza. Di fronte alle fotografie, alle testimonianze, ai filmati è impossibile trattenere la commozione. Homo homini lupus, diceva Hobbes e mai come in questo caso ha pienamente ragione. E’ un percorso della memoria da consigliare a tutti coloro che visitano Gerusalemme.

Alla fine, nel pomeriggio, siamo saliti su un autobus pubblico dal quale siamo scesi per visitare una chiesa russo-ortodossa dove era iniziato un rito suggestivo officiato da un pope tenore di buone doti vocali accompagnato da un ottimo coro femminile.

Altri dieci minuti di cammino e siamo arrivati all’inizio di “Mea Shearim” il quartiere degli ebrei ortodossi. Anche in questo caso è sembrato che la macchina del tempo ci abbia portato indietro di secoli e secoli in un agglomerato urbano tanto sporco e trasandato da non aver niente da invidiare a talune strade della parte araba. Gli uomini sono tutti vestiti con la foggia degli “scarafaggi” come in abito tradizionale sono le donne e i bambini. All’ingresso di Mea Shearim striscioni minacciosi invitano a non entrare nel quartiere, specialmente le donne vestite in un modo giudicato (da loro) sconveniente e in grado di turbare i sensi della comunitàabiti corti, scollati, senza maniche, ecc. Per farci capire il modo di pensare, Flavio ci ha raccontato che una parte di loro non riconosce lo stato di Israele e considera i suoi dirigenti degli imbroglioni perché Israele può essere fondato solo dal Messia (che per gli ebrei non si è ancora palesato). Un’ulteriore testimonianza della peculiarità di Gerusalemme. A proposito, questi ebrei ortodossi, nonostante Flavio dica di no, assomigliano ai musulmani anche in altri manifestazioni del loro essere (ora non ricordo quali).

Ritorno in albergo, cena e poi un giretto al Santo Sepolcro a vedere la chiusura serale della basilica, quella che ti ho raccontato sopra, e poi ancora una passeggiata alla strada ebraica di ieri sera. Ovunque soldati giovanissimi con il mitra a tracolla. A proposito, pure molti “coloni irriducibili” portano con sé, a tracolla, i mitra: la legge israeliana lo permette, solo nelle città debbono asportare il caricatore.

Dimentico di dirti che Flavio, sempre per sottolineare il volto contraddittorio di questa città, ha raccontato che prima gli inglesi (ai tempi del loro mandato) e adesso l’Onu hanno avuto e hanno la sede nel medesimo edificio situato su una collina chiamata “collina del Cattivo Consiglio”. Si vede che a nessuno è passato per la testa di riferirglielo e comunque tutti gli interlocutori in questo modo hanno l’alibi per non ascoltarli. Buonanotte, Tommaso.

 

Lunedì 27 giugno   

 

Mi sono ricordato di un’altra cosa che rende simili l’ebraismo e l’islamismo: la lingua. Tutt’e due scrivono da destra a sinistra e le lettere del loro alfabeto almeno visivamente si somigliano moltissimo.

Stamattina siamo stati nel posto più bello di Gerusalemme: la Spianata delle Moschee. Una bellezza mozzafiato sia per la semplicità del luogo sia per l’armonia del capolavoro che è la Cupola della Roccia (volgarmente chiamata Moschea di Omar, Flavio al solo sentirla chiamare così si arrabbia tutto) completata dall’altra di Al Aqsa. Un clima sereno di festa ci ha accompagnato durante la visita, preceduta dal solito controllo effettuato dai militari israeliani. Tante donne arabe musulmane vestite con abiti alla moda araba insieme ai loro bambini molti abbigliati all’occidentale passeggiavano e si fotografavano a vicenda. Un buon numero di turisti si aggiravano per la Spianata in atteggiamento composto evitando così di infastidire i credenti. Poi giù nuovamente al Muro del Pianto dove erano in corso le cerimonie del Bar Itza (ma forse sbaglio il nome), un po’ la nostra cresima, il passaggio dall’infanzia all’età adulta. Anche qui il folklore è veramente fuori dal comune come molto simili risultano le grida delle donne ebree che, tenute rigorosamente fuori dal recinto, festeggiano il ragazzo “cresimato” con grida uguali a quelle che emettono le donne arabe muovendo la lingua in un certo modo.

Con una tappa forzata siamo andati a piedi in un quartiere di Gerusalemme provvisto di un bel mercato coperto dove abbiamo acquistato pane e frutta da mangiare a mezzogiorno in un giardino pubblico. Poi altra scarpinata fino in albergo con sosta di un’ora a riposare, altro giretto al suk perché non si sa mai che incontri si possono fare e ritorno dalle parti dell’albergo per scaricare la posta elettronica presso un punto-internet.

Alla sera mangiata di washarma (panino imbottito di carne e verdura molto simile al kebab arabo) con coca cola ai giardinetti del quartiere ebreo e ritorno in albergo (un nuovo per fare un favore a Casa Nova) con le ultime considerazioni sul pellegrinaggio scambiate con gli ottimi compagni di viaggio. Domani, infatti, si torna e rivedrò la mamma. Questo viaggio, questo paese, voglio approfondirli.

 

Martedì 28 giugno

 

Caro Tommaso, sono sull’aereo ATR 42 che da Vienna ci porta a Verona. Sono le 21.00. La giornata è cominciata presto ed è stata quasi tutta dedicata al viaggio. In mattinata sul presto abbiamo vagabondato per l’ultima volta nel suk cristiano spingendoci fino al Santo Sepolcro per un’ultima occhiata. Alle 11.00 abbiamo mangiato, poi fuori in strada ad attendere il pullmino di Toni che deve portarci all’aeroporto di Lod. Ci ha fatto venire un colpo perché è arrivato con 1 ora e mezza di ritardo facendoci seriamente temere di perdere l’aereo, raccontandoci una storia molto confusa e probabilmente falsa sul motivo del ritardo. In ogni caso ci siamo trasferiti all’aeroporto, abbia dovuto sottostare ad una infinità di controlli, con qualche timore da parte mia perché la valigia non voleva saperne di aprirsi per cui hanno minacciato di rompere la serratura. Fortunatamente ho usato il “metodo Gianni” (un bel pugno nel punto giusto) e come d’incanto la valigia si è aperta. Il resto da Lod a Vienna a Verona è tutto di ordinaria amministrazione.

Prima di scendere Flavio ci ha raccontato un ultimo aneddoto sull’ironia feroce degli ebrei. Un comico racconta che ormai quando qualcuno presenta un progetto di pace per il Medio Oriente, un incaricato al ricevimento gli impone: “Vada a prendere il numero, e aspetti il suo turno!”.

Ciao, un bacio da

 

papà

 

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