SE 16 GIORNI VI SEMBRAN POCHI….

 

Ancora in alto mare il contratto dei medici ospedalieri, scaduto nel 2001 e oltretutto gravato della confusa legge sulla reversibilità medica, stanno arrivando al pettine anche le convenzioni con gli 85.000 medici generalisti, scadute il 31 dicembre 2000.

Esauriti i convenevoli durati dal gennaio scorso, complici anche le elezioni, nelle ultime settimane, di fronte alle manovre dilatorie forse dovute alla mancanza di direttive poste in essere dalla parte pubblica, i sindacati dei medici convenzionati hanno assunto un atteggiamento di aperta e durissima contestazione, programmando ben 16 giornate di sciopero tra il 27 settembre e il 23 ottobre prossimi e reclamando la fine della latitanza del ministro Sirchia e delle Regioni.

Mario Falconi, segretario della Fimmg (Federazione medici di medicina generale) l’organizzazione sindacale più rappresentativa del settore, al pari di altri suoi colleghi ha rilasciato una durissima dichiarazione a conferma della stato di crescente insofferenza nei confronti della politica governativa.

Nel mirino dei medici convenzionati, oltre alle proposte contrattuali considerate  inaccettabili per la parte normativa e totalmente insufficienti per la parte economica, c’è anche il decreto del ministro Sirchia sui “requisiti che devono possedere le Società Scientifiche e le Associazioni tecnico-scientifiche delle professioni sanitarie” per partecipare alla Educazione continua in medicina (Ecm). Su questo si è dovuto perfino assistere ad un evento mai accaduto precedentemente: la sfiducia al ministro Sirchia, con l’aggravante di essere medico, e l’invito a dimettersi da parte del Consiglio dell’Ordine provinciale dei Medici di Roma. Una vicenda, rattoppata all’italiana, che la dice lunga sullo stato dei rapporti e sulla confusione sempre più pericolosa che regna tra le varie istituzioni.

I contratti  e le convenzioni verranno prima o poi firmati, com’è naturale che accada, ma è ormai certo che Berlusconi, “l’uomo della provvidenza” come l’ha definito il suo amico don Verzè, non è riuscito nemmeno stavolta a fare il miracolo più volte annunciato, quello di diminuire le tasse, aumentare lo stipendio a tutti i medici dipendenti del Servizio Sanitario Nazionale o convenzionati che siano e fare in modo che i poveri possano ricoverarsi nelle case di cura private come i ricchi (sic).

Purtroppo per lui (e per noi) la realtà non è un manifesto sul quale si possono crescere i capelli che non ci sono e far sparire le rughe che ci sono, i problemi non si risolvono con una barzelletta e una pacca sulla spalla, la società non cresce adoperando un tacco rinforzato.

Quello che disarma è la vacuità e superficialità costanti con le quali vengono affrontate questioni fondamentali per il futuro del Servizio Sanitario Nazionale (e non solo).

La proposta del Sisac (organismo di parte pubblica competente per le convenzioni) per il rinnovo della convenzione, consegnata a gennaio 2004, alle organizzazioni sindacali dei medici generalisti, aveva tutte le caratteristiche di un documento in completa contraddizione con gli orientamenti politici dell’attuale governo.

Il richiamo iniziale ai principi e valori della legge 833/78 sui quali puntare per la ridefinizione della politica sanitaria con l’individuazione del territorio come punto di forza di un’organizzazione in grado di rispondere alla crescente domanda di salute in modo adeguato, etico, deontologico, è una affermazione assolutamente estranea e probabilmente ignota alla cultura del centro destra.

Come pure le è estranea “la validità del Servizio Sanitario Nazionale solidale, universale ed equo, quale organizzazione fondamentale per la tutela e la promozione della salute.”

Infine, la proposta di riorganizzazione territoriale consistente nella costituzione di consorzi di medici disponibili 24 ore su 24, la remunerazione per funzioni e la sperimentazione di rapporti extra convenzione (mah) non fa i conti con i “problemi di sostenibilità economica” richiamati in apertura della proposta e, cosa ben più importante, con la promessa governativa, cassata come tante altre, di calo indiscriminato delle tasse.

Insomma, una proposta che non poteva andare da nessuna parte, proprio perché mancavano i presupposti di base per il suo successo e cioè la presenza di una strategia politica per la sanità italiana e il relativo indispensabile finanziamento per la sua riuscita.

Questo governo abituato a vendere sogni di cartapesta, non ha certamente nella testa né l’una né l’altra.

Per questo chi crede nel diritto alla tutela della salute, gli operatori sanitari, in questo caso i medici, che lavorano affinché venga rafforzato e i cittadini non hanno nessun motivo per condividerne l’ottimismo surreale e molti per combatterne la deriva.

 

Roberto Buttura

 

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